Lo Stato laico non esiste

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Il problema dello Stato laico è onnipresente, e benché di norma in penombra nei dibattiti da salotto tv, resta in un certo senso insuperabile. Dietro alle derive dell’islam politico terroristico, che ormai ha insanguinato metà delle storiche nazioni dell’Europa (ex) cristiana, come Spagna Francia Germania Russia e Scandinavia, c’è evidentemente il problema dell’accoglienza di persone di diversa religione, e dell’armonizzazione tra islamismo e tradizione cristiana.

Armonizzazione che la destra e i conservatori solitamente avversano, mentre i laicisti ammettono a priori, vedendo nelle masse islamiche delle periferie quei nuovi ceti popolari che dovrebbero essere difesi al posto degli operai i quali, aggrediti dalla realtà e danneggiati proprio dai moti migratori, ormai da decenni votano reazionario.

Ma per mostrare i paradossi e le contraddizioni della nozione di Stato laico è sufficiente rispolverare la recente storia d’Italia.

Lo Stato italiano dal 1870 al fascismo fu uno Stato laico? E lo Stato italiano sotto la guida di Benito Mussolini era laico, laicista o clericale (specie dopo il Concordato del ’29), o tutte e tre assieme? L’impossibilità di rispondere in modo incontrovertibile a siffatte domande è un forte argomento per sostenere che tutta la mitologia politica della laicità riposa su un abuso di linguaggio. Abuso di linguaggio voluto fortemente dai laicisti per decostruire la politica come essa è in un dato momento storico, a profitto della scristianizzazione più totale, dell’accoglienza indiscriminata, del progresso democratico rappresentato da conquiste come le nozze gay, la fecondazioni assistita, il divorzio express, il diritto alla bestemmia, etc. etc.

Sei contro le nozze gay e l’idea che un neonato cresca con due padri, oppure contro l’utero in affitto e la teoria del gender? Allora ti stai opponendo al moloch dello Stato laico. E se ti opponi ad esso, non hai più voce in capitolo. Chiaro il sofisma?

Ma: la mitizzata Repubblica italiana che ha fatto seguito alla seconda guerra mondiale (1939-1945) e che ha trovato un fondamento assiologico nella Costituzione del 1948 è uno Stato laico?

E’ evidente che si potrebbe dirne di tutto e anche il contrario di tutto. Se si affermasse che essa Repubblica parlamentare, dopo il 1945 e sino ad ora, non sia laica (abbastanza), è evidente che allora si porrebbero una serie di questioni, a prima vista insolubili. Perché mai per esempio festeggiare la Liberazione ogni 25 aprile in mancanza di una parallela laicizzazione della politica e delle istanze di governo? E se la Costituzione non ha dato luogo ad uno Stato davvero laico, neppure dopo mezzo secolo, essa diviene fragile e in qualche modo ridicola e inetta. Tutto ciò, se si voglia sostenere che lo Stato italiano dopo il 1945 non sia (ancora) uno Stato (pienamente) laico. Se invece lo è, si aprono altri interrogativi e altri dubbi non meno angosciosi, specie per il laicista di stretta osservanza.

Lo Stato sarebbe divenuto laico con la Repubblica post-fascista? Ma allora anche uno Stato che ammette la censura e l’autorità del paterfamilias, o che vieta il divorzio e l’aborto – tutte cose tipiche dell’Italia nei decenni successivi alla proclamazione della Costituzione (più bella del mondo) – sarebbe laico! E questa, per chi non crede affatto alle virtù taumaturgico-sociali della laicità, sarebbe una magnifica sorpresa.

Uno Stato laico – democratico, progressista e moderno – che però (anzi senza però) non approva nessuna delle conquiste della cosiddetta società civile dell’ultimo mezzo secolo (tutte a base di femminismo, giacobinismo, pansessualismo e nichilismo): ecco che questo Stato potrebbe interessare molti che con la storia italiana-occidentale della laicità non hanno molto a che spartire…

Ma in realtà, e al di là delle mille possibili riflessioni sul tema, la nostra convinzione è che l’aggettivo laico, specie se aggiunto al sostantivo Stato (Etat laïc) non significa niente, proprio perché significa troppo e contiene elementi contraddittori al suo interno. Persino ciò che pareva laico ieri, pare a volte clericale o fascista oggi, almeno secondo i portavoce ufficiali del laicismo politico.

Ma allora?

Allora, ci pare strumentale discettare sulla presunta mancanza di laicità di questo o quel paese. Esiste infatti un concetto interamente cattolico di laicità, accennato da Pio XII e ripreso dal cardinal Joseph Ratzinger molti anni dopo (si veda in proposito lo studio sempre attuale di Stefano Fontana, Per una politica dei doveri, dopo il fallimento della stagione dei diritti, Cantagalli, 2006).

Il 23 marzo 1958, papa Pacelli in un’allocuzione ai marchigiani dell’Urbe disse così: “Vi è, in Italia, chi si agita, perché teme che il cristianesimo tolga a Cesare quel che è di Cesare. Come se dare a Cesare quello che gli appartiene, non fosse un comando di Gesù; come se la legittima sana laicità dello Stato non fosse uno dei principi della dottrina cattolica; come se non fosse tradizione della Chiesa il continuo sforzo per tenere distinti, ma pure, sempre secondo i retti principi, uniti i due Poteri; come se, invece, la mescolanza tra sacro e profano non si fosse il più fortemente verificata nella storia, quando una porzione di fedeli si è staccata dalla Chiesa”.

Chi ha orecchie per intendere, intenda. E ciò sia detto sia per gli anticlericali vecchi e nuovi, che per i neo-clericali (assai più patologici dei primi) che vorrebbero il papa come capo di Stato, presidente della Repubblica e primo ministro.

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