Intervista allo storico Stanley Payne

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Intervista allo storico Stanley Payne di Javier Torres

«Ho votato Trump perché era più facile destituirlo, rispetto alla Hillary»

La storia della settimana, da ACTUALL di HazteOir, periodico spagnolo di informazione online diretto da Alfonso Basallo – 4 febbraio 2017 (con VIDEO)

Conosco personalmente ormai da 20 anni il cattedratico e ispanista nordamericano Stanley G. Payne

e ho avuto più di una volta l’opportunità di intervistarlo su temi molto appassionanti, come il ruolo della Falange, la vittoria del Fronte Popolare nel febbraio del 1936, le connessioni del Partito Nazionalista Basco e l’ETA, o le figure di Alfonso III, Franco, Carrillo, Suarez o Felipe Gonzáles.

Se dovessi descriverlo con un tratto della sua personalità di storico, ne segnalerei uno che lo onora in modo particolare: il rispetto e attaccamento ai fatti. Già conoscerai la famosa frase di C. p. Scott, editore del giornale “Manchester Guardian: “Comment is free, but facts are sacred” (I commenti sono liberi, ma i fatti sono sacri), a proposito della sacralità dei fatti.

A differenza di certi storici che distorcono la realtà o manipolano gli accadimenti del passato, Payne è particolarmente rigoroso nel trattamento dei dati, e non dà mai opinioni che non siano sostenute da fatti comprovati. Questo spiega come nelle interviste egli abbia l’onestà di dire: “non ho nessun’idea”, quando non conosce un argomento o non ha la preparazione sufficiente per rispondere su una certa materia. Riesci a immaginare un professionista così in uno dei chiassosi dibattiti (radiofonici o televisivi), in cui si parla con irresponsabile frivolezza del divino e dell’umano, ammettere qualche volta la sua ignoranza? Meglio morto che umile, diceva una certa canzone …

Niente a che vedere con lo stile equanime e il talento rigoroso di Payne, che è una garanzia, in un’epoca in cui la storia è sommamente ideologizzata e politicizzata, ed è quasi impossibile, per esempio, trovare un libro sulla Guerra Civile del 1936, che non sia di una parte o di un’altra, come se la divisione tra azzurri e rossi, repubblicani e franchisti, fossero passati con un salto dalle trincee alle cattedre o agli editoriali.

Questo attenersi testardamente alla realtà, senza letture ideologiche, ma attraverso lo studio dei documenti, he molto costato a Payne. Perché quando, negli anni 60, venne in Spagna, si dedicò a dissezionare la Falange con lavori come: Falange, Storia del fascismo spagnolo (1965), lo bollavano come “rosso”, e ora che mette il bisturi nella Repubblica, con libri come Il cammino del 18 luglio: la erosione della democrazia in Spagna (2016), lo tacciano come “ultra” e ”franchista”.

Non è però né l’uno, né l’altro. È solo un osservatore che analizza atti … come, per esempio, il broglio elettorale delle elezioni che portarono al potere il Fronte Popolare nel 1936. Potrà piacere o no a qualcuno, però i fatti sono questi. Può piacere o no il sapere che la Spagna sia l’unico paese dell’Europa medievale che scelse di tornare ad essere cristiana dopo l’invasione musulmana, e nessun altro può attribuirsi il merito di averlo fatto, dopo otto secoli di Riconquista. È un fatto di cui dà certezza proprio Payne nel suo saggio: “La Spagna, una storia unica”, di cui sottolinea anche il singolarissimo ruolo giocato dalla vecchia pelle di toro nella Scoperta ed Evangelizzazione del nuovo mondo.

Tutto ciò disturba l’establishment del politicamente corretto, come dà fastidio che un nordamericano illuminato scriva, assieme a Jesús Palacio, sulla figura di Franco in opere come Franco, una biografia personale e politica, e che abbia titolato una delle sue investigazioni: Perché la Repubblica ha perso la guerra? Forse perché alcuni storici pretendono di vincere retrospettivamente quella contesa, con 80 anni di ritardo, seguendo così i passi di un presidente spagnolo che si è impegnato a rimuovere del passato, riaprendo, con la legge di Memoria Storica, ferite che si erano già cicatrizzate.

Per tutti questi motivi è un lusso poter sentire le osservazioni di questo texano circospetto e signorile, innamorato della Spagna e dello Spagnolo, che, ormai più che ottantenne, continua a pubblicare libri tanto interessanti, come 365 momenti chiave della Storia della Spagna, di recente pubblicazione.

Javier Torres ha potuto conversare con lui, non solo del passato, ma anche dell’incandescente attualità dell’America di Trump, così come della decadente Europa, con la sua classe governante del politicamente corretto.

Ti raccomando i libri di Stanley G. Payne, perché non cerca di ingannare o manipolare; perché racconta ciò che vede – non quello che immagina o quello che dettano i commissari politici -, e perché ha un enorme rispetto delle persone. E perché, quando una volta gli chiesi se non fosse eccessivamente benevolo con Carrillo, dicendo che aveva “le sue luci e le sue ombre”, mi rispose: “Sono uno storico”

Stanley Payne a Actuall: «Ho votato Trump perché era più facile destituirlo che la Hillary».

Dottore in Storia alla Columbia University, professore emerito dell’Università del Wisconsin e membro della Reale Accademia Spagnola di Storia, Payne è considerato uno dei più grandi ispanisti viventi. Con noi parla del passato della Spagna e del futuro degli Stati Uniti.

03/02/2017

Stanley G. Payne è nato a Denton (Texas), nel 1934, durante il convulso periodo tra le due guerre, tempo in cui sorse il fascismo, uno dei fenomeni di cui più si è occupato e ha studiato. Per questo la sua è una voce autorevole nel rispondere alla domanda che oggi molti si pongono: “È fascista Trump?”.

Lui lo nega, e assicura che sì, forse il nuovo presidente ha tratti populisti. Ciò che non capisce – e lo preoccupa – è l’ondata di proteste suscitate dopo il suo arrivo alla Casa Bianca. Pensa che negli Stati Uniti questo clima antidemocratico non si viveva dal tempo della Guerra Civile dal 1861 al 1865.

Ma egli è anche un esperto della nostra Guerra Civile. È autore, fra le altre, di opere che hanno a che fare con la Falange, storia del fascismo spagnolo (1965), Il regime di Franco (1987), José Antonio Primo de Rivera (2003), Perché la Repubblica perse la guerra? (2010), Franco, una biografia personale e politica, scritta assieme a Jesús Palacios (2014), o Il cammino al 18 luglio, la erosione della democrazia spagnola (2016).

Come profondo conoscitore del passato della “pelle di toro”, ha scritto anche a riguardo della Spagna della Riconquista o del Carlismo. Nel 2009 è stato nominato cavaliere dell’Ordine di Isabella la Cattolica. La sua ultima visita in spagna è stata in occasione della pubblicazione di 365 momenti chiave della Storia della Spagna (edizioni Esparsa), un’opera enciclopedica nella quale mostra le luci e le ombre del nostro passato.

Qual è il momento più decisivo della storia di Spagna?

Ci sono stati molti momenti importanti perché è una storia molto lunga, però nessuno di essi ha determinato, in sé stesso, la storia. Ci sono senza dubbio delle date chiave, alcune molto negative, come l’invasione araba, e altre molto più positive come la Riconquista, o più tardi l’espansione della Spagna nel mondo con la Scoperta dell’America. Ma, a mio modo di vedere, nessuno di essi è preponderante.

Perché gli spagnoli mettono in questione e rinnegano la loro storia?

Può essere un’esagerazione. Ci sono vari fattori. Da un lato c’è la traiettoria storica della Spagna, soprattutto con il declino del secolo XVII. Un altro fattore è il ritardo nella modernizzazione che, da una certa prospettiva, ha creato nel paese una psicologia negativa, anche se in alcune occasioni è stato superato.

Mi riferisco alla più recente, soprattutto allo scorso secolo con la Guerra Civile.

C’è un fattore che non è specificamente spagnolo, e cioè il cambio di attitudine di fronte alla storia, come conseguenza della nuova cultura del progressismo radicale e della correzione politica, che si impone in tutti i paesi occidentali. È un rifiuto frontale della Storia, la stigmatizzazione della propria Storia, col desiderio di eliminarla.

Perché il franchismo e la II Repubblica continuano ad essere un campo di battaglia più politico, che storiografico?

Questa è una specifica lotta del XXI secolo. Durante la transizione si era superato in gran parte il trauma della Guerra Civile con le vecchie lotte. Ci fu un accordo tra i leader politici perché la storia venisse lasciata agli storici. Però poi le cose sono cambiate per due ragioni. Prima di tutto per il cambio culturale dell’Occidente, poi perché in Spagna c’è un altro suo aspetto, ed è stata la pratica della sinistra e dell’estrema sinistra, di utilizzare la Storia come arma politica e come stigmatizzazione e denuncia di chi gli si oppone.

Era legittima la II Repubblica? Mi riferisco alla sua proclamazione.

È stata irregolare perché è stata come la conseguenza di un pronunciamento civile e non attraverso di un plebiscito popolare. Queste sono però cose che succedono nella Storia, anche se alla sua origine fu un processo irregolare, venne subito accettato dalla maggioranza del popolo spagnolo come un regime legittimo. Franco, che non era repubblicano, non mise in questione la sua legittimità.

Uno degli episodi più polemici della Repubblica fu quello delle elezioni del febbraio del 36 che portarono al potere il Fronte Popolare. Ci furono brogli elettorali?

Si trattò di una grande irregolarità, certamente con la frode, la coercizione e la violenza, però se messa in comparazione con l’insurrezione degli anarchici e dei socialisti, non è la maggiore, anche se fu la più importante perché con quella iniziò un nuovo processo politico. Fu una pista, un percorso verso maggiori irregolarità e abusi contro la Costituzione, la legge, la proprietà, con violenze politiche che aprirono quel processo.

Continua ad esserci anche una grande controversia su quella che doveva essere una possibile entrata della Spagna nella II Guerra Mondiale. Franco non volle mai entrare o non vi entrò per le condizioni troppo esigenti di Hitler?

Franco non era nelle condizioni di entrare in guerra. Altra cosa è pensare cosa avrebbe fatto nelle migliori condizioni. Franco aveva un ristretto margine di manovra perché era molto amico della Germania. Era un fatto evidente, dato che gli italiani e i tedeschi aiutarono i nazionalisti nella Guerra Civile. È anche vero che nei negoziati Franco chiese una serie di cose alla Germania, ne promise alcune ed altre no.

Allora, che cosa avrebbe fatto Franco se Hitler avesse acconsentito a tutte le richieste?

Con l’aiuto economico e militare, e in tali utopiche condizioni, probabilmente sarebbe stato tentato ad entrare in guerra. Sono però supposizioni su fatti che non si verificarono.

Ho letto che lei ha votato Trump. Perché?

Al principio mi sono opposto a Trump. Per diversi mesi dissi ai miei amici che non avrei votato, cosa sorprendente per me, che ho sempre votato. Ma quattro giorni prima delle elezioni ho deciso di votare Trump perché ho pensato che se avesse fatto qualcosa che avesse meritato la sua destituzione, sarebbe stato più facile destituire lui, che Hillary Clinton.

Una delle grandi conseguenze della vittoria di Trump è stato il discredito della stampa (dei media).

È evidente che i principali mezzi di comunicazione degli Stati Uniti non hanno avuto un grande influsso sulla gente comune. Questi media sono abbastanza deviati, settari ed egoisti. La gente (il popolo, o quelli che vengono spregiativamente definiti populisti. Ndt), hanno ragione.

Quali sono le cause della vittoria di Trump?

Vi hanno concorso vari fattori. C’è un’opinione molto generalizzata che non vi sia stata una grande attenzione per gli interessi economici delle classi medie, che sono in opposizione ai grandi gruppi. Classi medie che non sono favorite dall’immigrazione e da una globalizzazione che è un fattore di rischio per il mantenimento del proprio impiego. Ma non solo per questo: era anche un rigetto della amministrazione di Obama e delle élite politiche, i cui interessi sono in contrasto con quelli della gente.

E la correzione politica?

C’è anche un rifiuto alla correzione politica (al politicamente corretto), ai suoi dogmi e alla nuova ideologia. Ci sono anche alcuni leader del Partito Repubblicano che agiscono come se fossero d’accordo con i loro avversari. Al contrario Trump, con il suo parlare diretto e aggressivo, ha contrastato questa logica richiamando l’attenzione su di lui. Si ha la sensazione che il Partito Democratico non sia un partito effettivamente democratico, ma espressione di interessi identitari di gruppi minoritari (molto potenti. Ndt), e non dei cittadini degli Stati Uniti.

È fascista Trump?

Il fascismo è un termine politico che nacque in alcuni movimenti nazionalisti nel periodo fra le due guerre mondiali, con caratteristiche molto concrete. Affermare che Trump sia un fascista è una sciocchezza, perché non a nessuna di quelle caratteristiche più di qualsiasi altro politico. Durante la campagna elettorale negli USA mi hanno fatto sei o sette interviste sulla questione. In tutte ho risposto che “no”, che Trump non è un fascista. (Sappiamo però che per la cultura dominante radical chic e di sinistra, già l’esser considerato populista, è come essere fascista. Ndt).

È forse populista?

Al contrario, il populismo, che è un termine abbastanza elastico, è un movimento contro le élite e in favore della gente comune, qualcosa che può essere espresso da molte correnti. Ci sono molti tipi di populismo.

Non la sorprende la reazione violenta nelle strade contro Trump? Non si ricorda nulla di simile nei primi giorni dopo l’elezione di altri presidenti.

La presenza di Trump è una sfida per certe idee e per certe politiche che sono state dominanti negli ultimi anni, e che in certi casi erano state appoggiate anche da settori del Partito Repubblicano. (Le politiche dei “diritti civili, dell’autodeterminazione, della promozione dell’aborto, dell’eutanasia, e dell’ideologia di gender. Ndt). Era dal tempo della Guerra Civile americana che non si vedeva qualcosa di simile.

Non la sorprende che la sinistra anticapitalista si unisca con George Soros e all’establishment nella sua lotta contro Trump?

Soros è un uomo confuso (Qui non sarei per nulla d’accordo. Ndt), perché ha sempre appoggiato l’estrema sinistra. È il milionario che favorisce le sinistre. Ma questo non è affatto nuovo, visto che abbiamo il precedente di un Lenin che, all’inizio del Partito Bolscevico , godette dell’appoggio di uno dei principali milionari russi dell’epoca.

Parlando di Russia, quali scenari possiamo immaginare dalle relazioni di Trump con Putin?

Non ne ho la più pallida idea, non essendo partecipe del loro mondo, però possiamo supporre che verrà riconosciuto il diritto dei cittadini dell’Est Ucraina, che si considerano russi e non ucraini. Questo può essere illegale e incostituzionale, ma non antidemocratico, perché esprime il desiderio degli abitanti di quelle regioni. Penso che questo potrebbe far parte di una specie di accordo che riconoscerebbe che la stessa Ucraina diventi un’entità statale neutrale anche fra l’Unione Europea e la Russia. Consideri però tutto ciò il frutto di una mia congettura.

Lei è stato docente universitario: crede che siamo in una crisi educativa?

L’educazione è in un declino molto grave e a tutti i livelli: nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università, tanto negli Stati Uniti, come in Spagna. Nelle università americane, sia quelle a indirizzo umanistico, come in quelle di Scienze Sociali, il deterioramento è molto grave. (Anche in Italia si parla da anni di emergenza educativa. Il problema è che non sappiamo cosa significhi educare e quali siano i valori da “educere”, tirar fuori dall’intelligenza e dal cuore degli alunni. Ndt).

Dove ci porta questo deterioramento?

I cambiamenti sociali e culturali in generale sono il frutto dell’adozione, da parte delle élite, dei professori e delle Università, di una nuova ideologia, per imporre questa dottrina promossa dalla “correzione politica”.

Quindi il politicamente corretto “la correzione politica” è il maggior nemico della libertà?

Nei paesi occidentali, si! Anche nelle università non troviamo una vera libertà di espressione, perché bisogna seguire certe linee di pensiero. È necessario dire, per amore di verità, che non si stipulano contratti con professori che non seguono questa linea.

È lo jihadismo la maggior sfida che attende Donald Trump?

È una delle due o tre sfide principali. La sfida principale per lui è il ruolo nell’economia delle multinazionali. Lui vuole fare alcuni cambiamenti importanti in questo senso. Per questo credo che, assieme al terrorismo islamico, questa sia la sua migliore sfida.

Vede un’Europa più debole che mai?

Difendere la propria identità va contro il politicamente corretto e contro il pensiero dominante nell’Europa occidentale, dove viene favorita l’identità altrui, più che la propria. Ma questa è una dottrina suicida, quella della sottomissione, come dice il romanziere francese Michel de Houellebecq; ma è l’ideologia dominante, che ha generato una grande contraddizione rispetto agli stessi interessi dell’Occidente.

Europa: è cristiana o non lo è?

È così, parlando delle fedi più fondamentali. Per un tempo può essere altra cosa, però alla fine ci sarà il collasso.

Fonte: http://www.actuall.com/entrevista/democracia/stanley-payne-a-actuall-vote-a-trump-porque-era-mas-facil-destituirle-que-a-hillary/?mkt_tok=eyJpIjoiWkRaaFpqRmlaalE1WlRGaSIsInQiOiJyRnFkaWRLeTdMc1BlSDc0Q1ZjbHd6eEhZUkk4dHd1N0lhbzdDa3RcL0xaRjhUVXZXYUtHRjRGcGxGTjZoenZZWlBKaENxQlRcL3dCWjN3N1d0SkZ4anhES2JSVm1nNHppYmxnOURmS3FYSjV2S2hRUWFpQVowRTNVVmlJNjdGR0FRIn0%3D – Traduzione di Claudio Forti

 

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