La storia della settimana: Ogni governo ideologico ha il suo progetto educativo

gino

da ACTUALL. Periodico spagnolo di informazione online.

Caro lettore,

In Spagna, Il settore lavorativo più in crescita è quello dell’industria alberghiera, in esso i camerieri sono 210.000 in più dall’inizio della crisi. Questo dato è particolarmente significativo, perché questo settore è il paradigma dell’impiego precario e temporaneo che ci ha lasciato la crisi.

Il poco lavoro che c’è in Spagna è un prendi e lascia, instabile, che non richiede qualificazione, che condanna buona parte dei giovani a emigrare, perché nella antica prospera potenza economica (agricoltura, allevamento del bestiame, pesca, non c’è futuro.

Le cause però non sono solo di carattere economico, ma molto più profonde, sono infatti educative. Diversi governi si sono lasciati scappare le opportunità di fare riforme strutturali per superare la politica del mattone e rendere competitiva la Spagna.

Con l’educazione si formano cittadini responsabili (quelli che nel secolo scorso si chiamavano uomini onesti), consci del fatto che stanno decidendo il futuro del paese. Quello della Spagna è poco lusinghiero, tenendo conto che le leggi educative dei governi socialisti hanno sostituito la conoscenza con l’indottrinamento, portando i ragazzi al fallimento scolastico. (Pare la descrizione di tanta nostra realtà scolastica, che pur dovrebbe conoscere l’avvertimento di Dante: “Riconoscete la vostra semenza/ fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e conoscenza”. N d t).

Ma nemmeno il PP si è granché impegnato. Col ritorno a scuola alla fine dell’estate, anche in comunità governate dal PP, come Madrid e Murcia), ai nostri figli verranno impartite lezioni di ideologia di Genere. È un po’ come l’Educazione alla cittadinanza, voluta da Zapatero, però con conseguenze più drammatiche e, naturalmente, liberticide e totalitarie.

Questa preoccupazione riguardante qualcosa di tanto sacro, come i nostri figli, ci ha portati a intervistare il filosofo e pedagogo Gregorio Luri, i cui libri, come Il valore dello sforzo, y Mejor educadores: l’arte di educare con buon senso, sono imprescindibile per gli educatori e i genitori.

Luri unisce alla competenza professionale il buon senso, qualcosa che la pedagogia moderna sembra aver perduto. Della sua esperienza fa parte il suo insegnamento nella scuola di base, fino a diventare docente universitario.

Ce ne da un saggio nella conversazione che ha avuto con Pablo Gonzáles de Castejón, in cui, tra le altre cose, parla della felicità dei bambini, della perdita dell’autorità, dell’iperprotezione, del futuro dei patti educativi.

Te la offriamo in seguito come sottoscrittore di Actuall. Spero ti piaccia Penso possa essere una utile bussola per navigare in un terreno tanto delicato come l’educazione di colui che più ami: tuo figlio.

A Sabato prossimo!

Alfonso Basallo e la Redazione di Actuall

Gregorio Luri, pedagogo: «Unisce di più l’ideologia di genere o la conoscenza della storia della Spagna?»

Di Pablo González de Castejón

«Non c’è alternativa pedagogica all’”olio di gomito”»; «bisogna fuggire dalle scuse, perché sono quelle che più ti “infettano”»; «il relativismo favorisce l’esibizione dell’io». Gregorio Luri, autore di queste frasi, è un filosofo e pedagogo della Navarra, che ora vive a Barcellona. Coi suoi libri sull’educazione apporta, non solo la sua perspicacia tecnica, ma qualcosa che sembra dimenticato, e cioè il buon senso.

È autore di libri che ogni genitore dovrebbe leggere, come Il valore dello sforzo e Più educati, “l’arte di educare con buon senso”, ma anche di La scuola contro il mondo e vari saggi su Socrate. Non è però un tecnico. Ha fatto la sua esperienza nelle aule scolastiche, cominciando dalle primarie per poi divenire docente in filosofia all’Università Complutense di Madrid.

Non crede che le grandi vittime delle leggi educative dal maggio del 68 fino ad ora, sono i professori, avendoli privati dell’autorità?

Penso più che altro che i professori siano stati eccessivamente frivoli giocando con la loro autorità e con la centralità del loro sapere.

La loro autorità è stata sostituita dal cameratismo e la conoscenza con l’indottrinamento?

La pedagogia ha perso chiarezza su quali siano i fini dell’educazione, per questo nella scuola entrano tutte le buone intenzioni, soprattutto se sono formulate in modo ambiguo e generico. Nelle facoltà di educazione è più probabile che si faccia pubblicità a una teoria poco seria, come quella delle intelligenze multiple, che dei metodi educativi che hanno una base empirica acquisita a loro favore. I genitori, specialmente quelli che non si entusiasmano per la pedagogia New-Age, vedono chiaramente che la formazione dei loro figli richiede un complemento extrascolastico.

Come trasmettere conoscenze e valori in un epoca relativista?

A chi gestisce l’educazione piace molto essere a favore di tutto ciò che è buono e contro tutto ciò che è cattivo. Per questo continuano a pensare a come mantenere la loro coscienza tranquilla. La conseguenza è l’inibizione dell’insegnamento. Sappiamo tutti come vengono trattate in classe tali questioni; con un dibattito inconcludente, nel quale ogni opinione vale l’altra. Credo, onestamente, che si deve essere contro ogni discriminazione, ma anche contro l’ipocrisia.

Questa legge obbliga tutte le scuole a insegnare “diversi modelli di famiglia”, qualcosa su cui molti genitori non sono d’accordo. Possiamo chiamare tutto ciò libertà di insegnamento

Ciò che è legale non può scandalizzarci. Non credo però che questo sia il problema, il problema nasce dal fatto che, a causa dell’eterogeneità dei valori riconosciuti dai poteri pubblici, ai governi risulta sempre più difficile raggiungere il consenso educativo. La reazione più facile è quella di dare più autonomia ai centri educativi. Se prendiamo sul serio quest’autonomia, o la accompagnamo con una effettiva libertà di scelta del centro, o finiamo col far si che le fazioni condizionino ogni scelta.

Ai bambini viene insegnato anche che essi sono quello che si sentono di essere (Bambino, bambina, l’uno e l’altro, o nessuno di questi). Lai, che è stato insegnante alle primarie, come reagiscono i bambini a questi insegnamenti?

A mio modo di vedere, tutto ciò è solo un sintomo in più del dominio di una ortodossia ideologica secondo cui ciò che importa è l’apertura all’individuo, fin da bambino, al senso di questa possibilità. Freud definì il bambino come un “perverso polimorfo”. Però, quanto più si fomenta il senso del possibile, tanto più si riduce il senso della realtà. Se una famiglia si trova nella necessità di contrastare l’ideologia della scuola, è logico e giusto che cerchi un’alternativa. O si protegge la libertà di scelta del centro in maniera effettiva, o sempre più verrà scelta l’educazione familiare.

Imporre un’ideologia come quella di genere, non è un po’ rompere la neutralità dello Stato rispetto ai genitori, che sono coloro che hanno il diritto di scegliere l’educazione dei loro figli, come è stabilito dalla Costituzione?

Non credo che lo Stato debba essere neutrale rispetto ai genitori. Se prendiamo questa affermazione nel suo senso letterale, finiremmo col difendere l’inibizione dello Stato, qualsiasi sia la condotta famigliare. Il compito dello Stato è quello di promuovere quello che unisce e crea legami di competenza. Pensiamo, per esempio, che l’ideologia di genere unisca più che la conoscenza della storia della Spagna? Credo di no!

Sembra che in questo XXI secolo si stia imponendo l’«emotività». Però argomenti e sentimenti finiranno con un combattimento inutile, e quindi nullo.

Non abbiamo inventato noi l’opposizione fra cuore e ragione. E non abbiamo nemmeno inventato l’educazione emozionale. Tutte le grandi filosofie sono progetti di educazione emozionale. E che cos’è il cristianesimo? C’è qualche comportamento umano che non esiga la presenza equilibrata della prudenza, della fortezza, della giustizia e della temperanza? A mio modo di vedere, colui che educa emozionalmente è un esempio di persona che ammiriamo (e in questa ammirazione si concretizza sempre una emozione), e una riflessione razionale sul nostro mimetismo.

La scuola del XXI secolo, è una scuola di emozioni?

A me piacerebbe. Voglio dire: mi piacerebbe che, per esempio, la scuola promuovesse l’emulazione dell’uomo prudente, o che insegnasse veramente ad auto analizzarsi, perché poche cose sono difficili come l’analizzare se stessi. L’anima (che è qualcosa che pochi nel mondo sembrano convinti di avere), non è né quieta, né ben illuminata. Per captare i suoi movimenti dobbiamo disporre di parole che li sappiano definire. Per questo dobbiamo essere linguisticamente competenti. La conoscenza di se stessi è però solo una parte dell’attenzione verso di sé. Abbiamo cura di noi stessi a seconda dell’esperienza di ordine o disordine in cui viviamo.

Lei sottolinea il fatto che si parla più di far felici i bambini, che di educarli, che è la funzione della scuola. Quali sono le conseguenze di questo comportamento?

Si intende per felicità come qualcosa di simile a un blando benessere unito a una coscienza tranquilla. Per questo Goethe diceva che la felicità è una aspirazione plebea. Tutti abbiamo sperimentato momenti di pienezza, però è un po’ infantile pretendere che si prolunghino indefinitamente.

Che fare?

Mi pare più nobile aspirare ad amare la vita con le sue complessità, che cercare a tentativi la felicità. Amare la vita è facile quando “ricevi le carte buone”; il difficile è apprendere e trarre profitto anche quando ricevi carte meno buone. È interessante scoprire come gli antichi cercavano la felicità attraverso la virtù, mentre noi pensiamo che se non siamo felici non possiamo essere virtuosi. E così, a forza di cercare la felicità, finiamo sul lettino del terapeuta.

Che cosa succede, allora, se il bambino non è felice?

L’infanzia è una tappa turbolenta. L’intensità delle gioie e delle tristezze è rafforzata dal fatto che essere bambino significa avere molta più energia, che capacità di controllarla. È precisamente per questo – e perché ci sono sempre mostri sotto il letto -, che i bambini hanno sempre bisogno di figure con autorità. Facciamo in modo di non aumentare la loro infelicità, ma offriamo loro anche esempi di controllo di sé, di autocontrollo e di equanimità. Non affrettiamoci a dar loro molte cose, che ci facciano dimenticare di proporzionarle con esperienze del mondo adulto. C’è una tolleranza profondamente repressiva: quella che concede al bambino una autonomia senza criteri, che lo condannerà al fallimento.

Perché nelle scuole vogliono rompere con tutto ciò che è passato, dichiarandosi scuole del XXI secolo? C’è stato qualche trauma nella passata generazione?

Tutte queste luci, tanto creative da sembrare capaci di sapere come sarà il futuro, come se ne avessero la mappa, hanno studiato nelle scuole del XX secolo. Se hanno insegnato a loro, non possono essere tanto cattive. Rimango scandalizzato dalla mancanza di rigore intellettuale, dalla esibizione di ingenuità piene di buone intenzioni e di superiorità morale. Comunque la metodologia che ci viene proposta da questi innovatori, ha ormai più di cento anni, ma non ha mai dato buoni risultati, eccetto nei casi di bambini con un buon livello culturale e famigliare.

Si cerca di limitare l’apprendimento a memoria, potenziando invece le diverse intelligenze. È forse la memoria un ostacolo a internet?

Si è forse appreso qualcosa che non è nella memoria? Si può essere creativi senza conoscenza? Conosci forse qualcuno che non desideri avere più memoria di quella che possiede? C’è qualche impedimento alla conoscenza che ci impedisca di essere autonomi o critici? O ancora: ha forse la conoscenza qualche proprietà che le impedisca di essere trasmessa?

Ci sono due tipi di memoria di base: la memoria di lavoro e la memoria a lungo termine. La prima è molto limitata, mentre la seconda non lo è. Per questo la memoria di lavoro è come un’opera teatrale che va sostituendo i personaggi con lo svolgersi dell’azione. Ma se non ci sono personaggi, non c’è azione. Sappiamo anche che la capacità di apprendere qualcosa di nuovo dipende dalle connessioni che abbiamo con ciò che già sappiamo. Quanto più sappiamo, tanto meglio impariamo.

Come può il bambino confrontarsi con la realtà dell’adulto, se non glie lo abbiamo insegnato? Trafugare al bambino esperienze del mondo adulto mi pare una perversione dell’affetto verso di lui.

È vero, come spesso si ripete, che l’attuale generazione è la meglio preparata della storia?

Incrementare la competenza linguistica dell’alunno è forse insegnare o educare?

Come dovrebbe essere rinnovata l’educazione? Come implementare i progressi tecnologici?

La chiave sono le pratiche di riflessione. La scuola deve avere una traiettoria chiara. Una scuola che fa troppe cose non è una buona scuola, se non sa integrarle con una meta. A partire da qui deve saper apprendere dai suoi successi. E soprattutto, dai suoi insuccessi. Per questo motivo dovrebbe essere più interessata al bene, che al nuovo. E dovrebbe almeno mostrarsi tanto sensibile alle nuove tecnologie, quanto alla permanenza antropologica, cioè a quello che non varia nella natura umana, perché avendone cura, avremo a cuore il futuro dell’alunno. Penso alla necessità di dominare l’attenzione, la concentrazione, la convenienza di imporre un tempo di riflessione fra la presenza di un desiderio e l’azione, la capacità di distinguere una opinione da un ragionamento, la resilienza, eccetera.

Si può approfittare delle tendenze tra i giovani per insegnare? PokemonGo ha fatto uscire in strada molti bambini e ragazzi. Molti di essi si sono esercitati e hanno appreso qualcosa (magari la storia dei monumenti, Eccetera).

Si può e si deve approfittare, sempre che si integrino organicamente nella traiettoria del centro. Che sappiano perche e per che cosa si integrano e si coinvolgono nei risultati.

Non è forse un guaio il fatto che i giovani debbano andarsene dalla Spagna?

No. Il fatto è che i giovani sembrano essere gli unici a credere veramente nell’Europa.

Senza educazione non c’è futuro …

Senza educazione non c’è né futuro, né passato. Non c’è trasmissione (del sapere e dei valori. N d t). una cultura che non crede nel valore della trasmissione del meglio di se stessa alle future generazioni, crede poco in se stessa. Però la fiducia in se stesso di un paese è un capitale sociale importantissimo, perché gli permette di essere ben equipaggiato nel momento dell’incertezza.

Avranno successo nel lavoro quelli che più sanno?

Per quanto riguarda il futuro, in questi ultimi anni la crescita di offerta di impiego sembra indicare una tendenza chiara: si chiederebbero sia persone ben formate, principalmente in STEM (Science, Tecnology, Engineering, Mathematics), come persone con poca formazione. Ai primi saranno offerti contratti di lavoro stabile, che serviranno loro per gestire autonomamente la loro conoscenza.

I secondi troveranno lavoro stabile, ma solo in impieghi precari. Coloro che avranno una formazione mediocre, dovranno adattarsi alla realtà. È probabile che assisteremo all’emergere di una nuova elite cognitiva. Chi la formerà? Mi limiterei a dire che gli alunni di Shangay con i peggiori risultati in matematica nelle prove PISA, superano gli alunni più brillanti della Gran Bretagna.

Senta, ma i robot non finiranno col portarci via il poco lavoro che rimane?

Riguardo alla robotica, credo che la mano d’opera rimarrà solo nei paesi in cui la mano d’opera sarà cara.

Pablo González de Castejón

Per Actuall di HazteOir

Fonte http://www.actuall.com/entrevista/educacion/gregorio-luri-pedagogo-la-ideologia-genero-une-mas-saber-historia-espana/?mkt_tok=eyJpIjoiTVdFNE56QmtaV0ZsTlRFeSIsInQiOiJ6M1ZDSnhLU09JYjFtYmd0cVwvQWE3VmtGb2luclRGalwvaHVMRkorRFZyTmprRjgrU3ZQaXd6dytQb01lUVwvbEp6eGNGbkgxWHY0dGFZRFhoNnl6YTFyWWVrZFRMQytZd1JOY2F0ZW1HVFBpaz0ifQ%3D%3D

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