NELL’ANNO STRAORDINARIO DELLA MISERICORDIA IL DONO DELL’ORDINE RICEVE NUOVA LUCE

Prima di continuare la pubblicazione di alcune lettere di R.D., offriamo la lettura di un suo nuovo testo, nel quale, questo sacerdote religioso, ritiratosi da molti anni dal ministero, rivede la misericordia di Dio nella propria vita.

 

13 Dicembre 2015, Santa Lucia

Carissimi amici,

siamo all’inizio dell’Anno Santo della Misericordia e come non guardare alla misericordia che il Signore mi ha usato in tanti anni, inserendomi nella Sua Chiesa con il sacro Battesimo e, poi, riavvicinandomi ad Essa passo passo, con grande pazienza?!

Avevo dieci anni quando trascorsi un periodo estivo in un paesetto collinare nelle assolate terre del Sud d’Italia; un paesetto, che porta il nome del proprio Santo Patrono, antico eremita.

Ricordo la bella pineta, che scende veloce, consigliando di percorrere una via più sicura, ma non comoda: una scala in pietra, che conduce al Santuarietto, sede di una piccola fraternità eremitica, che, a quel tempo, custodiva il luogo; oggi, non più.

Scalinata che conduce all’eremo

 Ritornato a dodici anni, imparai da un mio spericolato cuginetto a salire e scendere di corsa l’ermo dirupo,

benché mi battesse il cuore, abituato solo alle comode vie di città.

Nel dopo pranzo, così, più volte scesi solo, a salti, per raggiungere il luogo e goderne la frescura, che, là, in fondo alla gola, accoglieva dopo la corsa in pineta.

 

 … Quante volte scesi là. Il silenzio e l’asperità di quel luogo mi attraevano!

 

La mia famiglia, quasi, non mi aveva educato alla fede cristiana. Da piccolo, a sette od otto anni, già non frequentavo la Santa Messa e la Mamma, non volendomi forzare, non mi vi accompagnò più.

Ben presto, smisi anche di recitare le preghiere della sera, peraltro molto semplici: un Pater, un’Ave, un Gloria, un Angelo di Dio ed un Eterno Riposo, quelle preghiere, che, veramente, mi resteranno sempre ben impresse e mi accompagneranno in seguito, a distanza d’anni.

Avevo sempre nutrito un fascino per le biblioteche antiche, così, mi rivolsi all’eremita, che accoglieva i pellegrini nella cancelleria, ove facevano bella mostra di sé simpatici ricordini ed immaginette per i devoti, insieme ai numerosi ex voto.

Mi trattenni a parlare con lui più volte, benché fosse un uomo di poche parole. Mi raccontò che lì vivevano in tre eremiti. Venivano da Milano.

Nel suo abito marrone scuro, raccolto da una cintura di cuoio nera, il cappuccio e la lunga e folta barba, gli incorniciavano il viso, rendendolo non un uomo di altri tempi, ma un uomo senza tempo. Tranquillo, gentile, non si tediava per le mie domande.

 

Il Santo Eremita

 

Mi feci coraggio e gli domandai se non fosse stato possibile visitare la loro biblioteca. Dalla storia, e dai racconti di mio padre, infatti, sapevo che ogni convento, od eremo, o monastero, ne ha sempre una. Il buon eremita, che era anche il Superiore della piccola famiglia, mi concesse di intrattenermici più volte.

L’eremo, quasi nascosto

 Una stanzetta con una finestra vecchia, in legno laccato, color panna, i vetri sottili. Semplici scaffali di legno chiaro, non verniciati, che reggevano alcune centinaia di libri antichi, non di più. Tutto, lì, era silenzio. E qui cresceva il fascino.

 

Veduta di scorcio di un’analoga piccola biblioteca

Dove mi trovavo?

I libri risalivano al sei, settecento, e i più datati si caratterizzavano per quei caratteri piccoli, con le “s” a forma di “f”, scritti in un italiano per me quasi sconosciuto, per me scolaretto delle medie, del tutto inesperto.

Più volte li sfogliai in cerca di sempre nuove cose. Tre libri attrassero la mia attenzione: L’Imitazione di Cristo, l’Introduzione alla Vita Devota di San Francesco di Sales, Storia della Sua Vita, scritta da Santa Teresa di Gesù.

 

Edizione del 1877. Opera anche oggi sempre più ristampata in tutte le lingue

 

Tornato nella mia città, al Nord, cercai se quelle operette, della cui importanza nella storia della Chiesa e della cultura ero assolutamente ignaro, fossero ancora in commercio. Le trovai tutte e tre, nelle edizioni economiche della B.U.R, collana anche oggi ben nota. Poi, preso dallo studio, dai miei giochi e dalla mia preadolescenza, riposi quei libri senza più guardarli.

Fu a sedici anni che, interessatomi alla lettura del Santo Vangelo – non sto qui a narrare come vi giunsi- tornarono alla mente quei libretti e quei luoghi, il cui ricordo, evidentemente, mai si era del tutto sopito.

Il travaglio interiore aveva avuto inizio e non mi dava tregua, solo la lettura avida del Vangelo e, in un secondo tempo, dell’Imitazione di Cristo, mi dava un poco di tregua. Dovevo cambiare vita. Volevo vivere secondo il Vangelo. La storia sarebbe lunga: una storia di grande misericordia, grazie alla quale il Signore mi disponeva non solo a cose grandi, assolutamente più grandi di me, come di ogni uomo, ma, più volte, mi salvò anche la vita fisica, insieme alla vita spirituale. Questo senza alcun merito da parte mia. Come non dire grazie se tutto è grazia!

Poi quei libri mi accompagnarono a più riprese negli anni successivi, particolarmente L’Imitazione di Cristo e L’Introduzione alla vita devota.

L’Imitazione di Cristo, probabilmente, nacque in un eremo certosino nel XIII-XIV sec., mentre L’Introduzione alla vita devota è il frutto della direzione spirituale di San Francesco di Sales alla sua figlia spirituale Santa Francesca di Chantal. Un libro di educazione alla interiorità nel mondo.

San Francesco di Sales, Dottore della Chiesa e Maestro d’anime, 1567-1622

Questo Vescovo, che poi ispirò San Giovanni Bosco in tutta la sua opera anche sociale, fu fortemente centrato nella vita in Cristo, nell’azione riformatrice della Chiesa, nelle opere caritative, ma sempre tutte fondate nell’amore di Dio e nel colloquio con Dio. Diceva il Santo Vescovo: «Lasciare Dio per Dio», intendendo che, se per attendere ad un povero, o, ad un malato, devi interrompere la preghiera liturgica, come l’ufficio, puoi farlo, ma, dopo, tornerai a praticare l’orazione, particolarmente mentale, poiché, senza di essa, l’anima muore.

A distanza di decenni, il ricordo di quei luoghi, dei suoi religiosi e pellegrini, non mi hanno più lasciato. Sempre mi ritornano alla mente quella bibliotechina e quei libretti. Anche oggi ho più copie di quei testi e, proprio pochi giorni fa, me ne sono giunte una copia di ciascuno dei tre, donate da una cara persona. Proprio tutti e tre, a distanza di quarantasei anni. Un filo che prosegue nel tempo. In effetti, pur avendo letto numerosissimi libri di spiritualità, occidentale ed orientale, mi rendo conto, e ne sono sempre più convinto, che in quei tre libri è testimoniato l’essenziale: l’amore per Cristo e per la vita di perfezione, che è sempre un combattimento interiore, nella Chiesa.

Negli ormai numerosi decenni seguiti al Concilio Ecumenico Vaticano II, nella formazione spirituale delle vocazioni spesso la pratica degli insegnamenti di questi libri è stata trascurata, benché questi testi vengano spesso pubblicati e letti da molti laici assetati di vita interiore. Il punto è decidersi a praticarne i profondi insegnamenti, solo in apparenza lontani dalla vita. In realtà essi non sono lontani dalla vita e dai fratelli, ma dal mondo in quanto categoria mondana, soggetta al Principe di questo mondo, e opposto al Regno di Dio.

Essi sono, invece,  libri sempre attuali e che hanno formato e formano schiere di santi, ricchi di Carità, che è Dio. Non è vero che si debba tralasciare la cura della vita interiore per dedicarsi agli altri, come unica forma di vita cristiana. Questo è stato l’errore del nostro tempo che nella Chiesa ha ridotto la teologia ad arido studio ed a ricerca di pensieri originali ed alquanto razionalisti e l’amore cristiano a servizio sociale, abbandonando la pratica dei sacramenti, fonte della Grazia, e gli esercizi della vita interiore. Quante volte Papa Francesco, -ma tutti i pontefici a proprio modo-, ci ripete che la Chiesa non è un’ONG!

Anche da qui un cristiano in crisi di identità e in crisi di vocazione deve ripartire.

 

Per parte mia, dopo i travagli interiori di questi anni, e da lungo tempo ritiratomi dal sacro ministero, sono consapevole che nella mia nuova condizione di laico e con famiglia, -una bella famiglia!-, dentro di me, come ogni cristiano, non posso che cercare quell’uomo interiore, che è Cristo, nel ritiro del cuore.

Non sono un eremita, che vive fisicamente lontano dal mondo, ma sono un cristiano, pellegrino in questo mondo; per le vie del Regno; incamminato verso la Patria del Cielo, nell’adesione all’Unicum necessarium: eremita nel cuore. Immerso tra la gente, stretto ad essa da amore e servizio fraterno, di fatto, molto attivo, eppure nell’attesa silenziosa e vigile, curando che questa volta la lanterna non si spenga.

Non è ciò conforme a quel testamento, che fece, e fa scuola, lasciatoci dal grande Benedettino Dom Chautard, autore del famosissimo e sempre ripubblicato libretto L’anima di ogni apostolato?

Ave Maria, R.D.

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