Oriana Fallaci. Una Donna.

Quanto bisogno avremmo oggi di Oriana Fallaci, della verità purissima, ingenua, “quasi infantile”, delle sue parole. Come la Grecia, seviziata dal regime dell’eurofinanza avrebbe bisogno di Panagulis, l’Uomo, il poeta, il non politico.
Oriana èra fatta così, una toscanaccia dalla battuta corrosiva e dalla scorza durissima temprata

negli anni della resistenza al sacro valore della libertà. Era dura eppure tenera, come certi frutti dalla scorza che rompe i denti ma ricolmi internamente di un siero che sapeva essere dolcissimo.

Non si scrivono pagine come quelle di Lettera a un bambino mai nato, se non si è donne e se non si è avvertito il nodo d’amore assoluto che permea ogni fibra di ogni madre. Eppure, madre non lo fu mai, fu figlia ed eroina accanto al suo Alekos il martire della resistenza greca che si oppose al regime dei colonnelli. Fu un amore travolgente, difficile, forse l’unico nella vita di Oriana. Per quell’amore, lei, per un po’ persino trascurò l’altra sua grande passione, il giornalismo e la scrittura, ma poi…la vita si prese la briga di portarglielo via l’amore.

Alessandro morirà in un equivoco “incidente” mentre indagava sulle collusioni fra il nuovo governo greco e il decaduto regime che l’aveva per cinque anni incarcerato. Con Panagulis se ne andava il grande amore che aveva fatto breccia nel suo cuore guerriero di donna. Oriana si rialzò anche da questa ferita dopo il dolore per la perdita del figlio di Alekos che teneva in grembo. Riprese a scrivere, febbrilmente, tra una sigaretta e l’altra. Frenetica, minuziosa come un orefice, ossessiva nel pesare ogni parola si gettò nel racconto della vita di Panagulis; fu così che nacque, Un uomo. Romanzo verità, epica avventura narrata con il cuore ancora aperto per la perdita dell’eroe. Un racconto poetico, forte, colmo della potenza del dovere gridato, pervaso da un bisogno di giustizia che si infrange contro lo scoglio della pavidità, del calcolo meschino, dell’umana debolezza, della protervia e violenza d’ogni potere. Come ogni visionario innamorato della verità Alekos fu un poeta solo e perciò morì solo.

Adoro questo scritto che mi pare una lettura irrinunciabile per ogni ragazzo, una lettura che educa alla gratuità e alla purezza dei valori. Anche Oriana era così, una donna che difese le donne senza essere una femminista, una donna che si tolse il velo davanti a Khomeini, la sacra guida spirituale dell’Iran teocratico, una donna che raccontò l’unicità delle femminilità esaltando il valore della maternità contro tutti i calcoli egoistici e i conformismi ipocriti di cui è pieno il mondo. Quel mondo che vide vacillare quando oramai vinta dal cancro, fu testimone dell’attentato alle torri gemelle. Si scagliò allora contro il nucleo oscuro dell’islam, ne denunciò i mortiferi risvolti, urlando la propria rabbia e il proprio orgoglio di donna d’occidente. E fu sola, amata e odiata divise il pubblico dei “mediocri”, dei meschinotti, in sostenitori del suo “ verbo” e in detrattori dello stesso. Ma fu sola, con l’incomprensione, la derisione, persino l’imbarazzo degli ex amici che giudicavano i sui scritti contro l’islam frutto di una mente debilitata dal male, sola come il Suo Alekos. Oggi, davanti all’ondata montante del terrorismo islamico, forse dovremmo chiederle scusa. Perché Oriana scrisse con la forza e i toni di una profetessa ferita che vedeva il sacro tempio della nostra civiltà violato da un retaggio primitivo di violenza che si faceva presente, che si faceva sangue e carne innocente. Ora la scrittrice Fiorentina conosciuta in tutto il mondo era pronta per morire. Spirito inquieto e perciò contraddittorio nel suo urlo di animale offeso, scevro da ogni sociologismo o calcolo opportuno, forse non comprese che dietro la morte di Panagulis c’era un regime, “c’era l’alta politica”del fiorentino Machiavelli. I Colonnelli greci qualche rapporto con la Cia l’avevano pur avuto. O forse semplicemente non volle vedere, perché vinta dal dolore, perché troppo innamorata del sogno di libertà incarnato dagli Stai Uniti. Allora, si prese solo ancora un po’ di tempo, lo chiese al padreterno e scrisse, scrisse, scrisse, Un cappello pieno di ciliegie, la storia plurisecolare della sua famiglia. Opera singolare, ricchissima, scritta mirabilmente con capitoli di una bellezza rara alternati ad altri più difficili, quasi Oriana non volesse mai apporre la parola fine, quasi in quel punto il sipario della vita calasse. E amò la vita, tanto da chiamare la morte, uno spreco, forse per questo negli ultimi mesi aprì il suo cuore a mons. Fisichella quasi a voler sfidare, per ultimo, il mistero di Dio.
marcolusciablogilracconto dell’uomo

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