Il contadino e il selvaggio

L’uomo nasce nomade, emerso dalla natura egli vaga per foreste e lande animato dalla speranza di un luogo, di un rifugio.
Il primo di questi “rifugi” fu la terra, stabile come il cielo la terra non tradiva. Per questo i nostri porgenitori ravvisarono nei cieli e nella terra il luoghi privilegiati del Divino.
Nella terra l’uomo vide la fecondità e nella natura ravvisò un ordine fatto di regolarità.

Lo scorrere del tempo, il ciclo della morte e della rinascita, il ripresentarsi del sole e delle stagioni fece meno angoscioso lo svolgersi dell’esistenza. La terra poteva essere feroce, arida, avara, ma alla lunga non tradiva. In breve, la terra non fu solo il luogo dei passi ma divenne lo spazio della casa, dei primi insiediamenti stabili, delle radici.
Attorno e sopra le radici prese consistenza una nuova sicurezza prima d’allora sconosciuta. Fu solo in quel momento che l’uomo osò allontanarsi dalla propria casa, per poi, farvi ritorno dopo la caccia e le relative esplorazioni del mondo circostante.
La donna però vide anche altro, colse delle corrisondenze che la facevano sentire in qualche modo simile al suolo, fu quando fece la scoperta della propria fertilità. Davanti al mistero della nascita fu costretta a fare della casa il proprio regno, l’attenta custode del fuoco e delle mura.
La forza di questo realismo si depositò nello spirito dell’umanità contadina
Uomo e donna concretamente, con questa divisione dei compiti diedero vita al grande albero della civiltà sedentaria, del villaggio, della città, dei ritmi del lavoro e del riposo, del giorno e della notte, della semina e del raccolto, delle stagioni con i loro cangianti e multiformi colori.
Queste radici si fecero tradizione, divennero modelli esemplari che ebbero modo di fiorire nelle mutevoli espressioni dell’arte, della fede e della civiltà.
La terra raccontava l’essere del mondo e per questo fu sempre gravida di lezioni dal carattere morale La terra costringeva l’uomo alla fatica per trarre il sostentamento, esigeva rispetto, pazienza e cura, la terra dava, la terra toglieva, feroce e misteriosa, avara e generosa.
Oggi questa lezione che durò per millenni sino alle porte del nostro secolo, sembra via via smarrita.
L’uomo ha progressivamente abbandonato la realtà votandosi all’attualità. Ha reciso le radici e si è distanziato dal suo mondo regredendo allo stato di nomade. Ma a differenza del nomadismo di millenni orsono tutto volto ad una qualche stabilità, l’uomo d’oggi appare senza meta.
Il mercato globale alimentato dallo scorrere ubiquo del denaro reale e fittizio, vive di vita propria, lontanissimo dalla concretezza cui l’uomo anela. L’essere del denaro ha deciso di rendere tutto ciò che è stabile inutile o meglio inattuale. L’unica realtà cui tutto deve riferirsi è il denaro stesso.
L’attualità pare l’unico valore, e alla concretezza dei vincoli biologici, sociali, sessuali, affettivi, territoriali, lavorativi ha sostituito il potere del denaro che diventa misura di tutto, misura che vuole crescere e per crescere deve rendere ogni valore alternativo ad esso un nemico da abbattere.
Scuola, famiglia, pazienza, parsimonia, fedeltà, fiducia, lavoro stabile, complementarietà fra i sessi, religione, valori spirituali; tutto quanto, impedisce il dispiegarsi del potere del denaro finanza deve essere, prima ridicolizzato, quindi, se oppone resistenza, abbattuto. Ogni principio identitario è a tal fine accusato di intolleranza, integralismo, in nome di un relativismo che ha come unico criterio fondativo la tolleranza di ogni forma spontaneistica legata al territorio delle voglie e dei desideri.
Il denaro non ammetta ostacoli culturali, religiosi, tradizionali, naturali, esso vuole correre lungo tutti i gangli del corpo sociale stravolgendo ogni principio di realtà.Ildenaro da mezzo in fine.
Pensiamo, per fare un esempio tristemente attuale, ad una città che sia più volte colpita da un’alluvione.Immaginiamo che i cittadini, ingegneri, muratori, elettricisti, piccoli artiginai, carpentieri, lavorassero gratuitamente per rimettere in piedi la loro città rasa al suolo.
Tutto questo lavoro darebbe origine a ricchezza, un valore costituito da opere concrete che prescindono dal denaro. A questo punto potremmo immaginare di quantificare il valore prodotto, di misurarlo, per far questo utilizzeremmo ovviamente l’unità di misura denaro. Ma come un metro di legno è uno strumento e come il litro in sè non è nulla se non in rapporto con un liquido reale, così è per il denaro.
Cosa accade invece nel nostro mondo, continuando con il paradosso dei liquidi, i valore di un litro di vino dovrebbe coincidere con la bottiglia vuota.
Nel mondo capovolto, il denaro, monopolio di banche private e finanzieri, è creato a costo zero e distribuito non secondo i criteri del bene comune, ma secondo quelli della creazione di altro denaro, tutto in rapporto puramente autoreferenziale, potremmo dire che il denaro lavora in vista di se stesso. Così, nessuna buona volontà ha il potere di creare ricchezza e la citta colpita dall’uragano resta distrutta.
Nella battaglia ingaggiata dal sistema denaro contro l’uomo come non ricordare la progressiva sostituzione dell’uomo dei desideri all’uomo dei doveri.
Il dovere infatti solitamente presuppone un mondo comunitario, il desiderio invece è più legato all’attualità e al consumo.
Il desiderio si associa a piaceri momentanei e a progetti di breve raggio.
La storia dell’uomo come ho ricordato è stata lungo i secoli una storia fatta di radici via via più solide.
Oggi sta accadendo il contrario, l’ideologia mercatistica, non vuole radici, vuole persone disponibili al perenne cambiamento.
La perdita del senso della terra, del senso di realtà ha rovesciato la gerarchia dei valori.
Oggi si presenta come un valore l’intraprendenza e la volontà di cambiamento dimenticando che è solo nel vincolo e nella stabilità che lo spirito umano trova pace. Oggi si esaltano la precarietà e il nomadismo come indice di realismo e di attualità, quando invece è il mercato gestito da pochi ad esigere, per agire indisturbato la distruzione in primis delle comunità nazionali.
Oggi si esalta “il governo planetario” dimenticando che le radici, fonte di ogni vita materiale e spirituale, affondano in una tradizione, in una lingua, in un paesaggio che è diverso da popolo a popolo.
Oggi si esaltano attraverso stampa e mass-media asserviti ai loro finanziatori una pletora di pseudo diritti che feriscono al cuore il luogo naturale di ogni generazione: la famiglia.
Oggi si getta a mare l’autorità paterna e si mascolinizza la natura femminile in nome di un’opportunità lavorativa identica per uomo e donna che in tal modo potranno competere nel mondo di un lavoro che non c’è.
Oggi si esalta l’irrealtà del mondo globale dimenticando la realtà delle “piccole patrie” e delle comunità concrete fatte di sapori condivisi, valori, tradizioni, suoni, linguaggi comuni, in cui il singolo si sentiva parte di un tutto dotato di senso, anche nelle condizioni di crisi.
E’ questa varietà del mondo che il globalismo avversa.
In un mondo nel quale tutto costantemente muta, l’uomo torna selvaggio, nomade, cacciatore, nemico, il presunto villaggio globale riproduce su scala planetaria la lotta selvaggia, semplicemente per sopravvivere.

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