Il reato di negazionismo

 

Sembra che il sistema escogitato dai nostri parlamentari  per introdurre   nuove fattispecie penali  in  contraddizione con   principi fondamentali della   Costituzione sia di procedere attraverso aggiunte e modifiche a  norme  già esistenti. Così per il reato di “omofobia” si è  utilizzata la legge Mancino (quella che punisce la discriminazione razziale). Per il cosiddetto “negazionismo” si fa ricorso all’art.  414 del codice penale, che punisce con la reclusione da uno a cinque anni  chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più  delitti   o chi ne fa pubblicamente l’apologia. Il 15 ottobre la Commissione Giustizia del Senato ha approvato a larga maggioranza l’inserimento  di un  nuovo comma, che aumenta la pena fino alla metà  “se  l’istigazione o l’apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo, crimini di genocidio, crimini contro l’umanità, o crimini di guerra”, e prevede che   la stessa pena  “si applica a chi nega l’esistenza di crimini di genocidio o contro l’umanità”.

    Evidente l’intento di  diminuire l’impatto sull’opinione pubblica con l’evitare, in apparenza, la creazione di un nuovo reato. La stessa funzione silenziatrice aveva  la proposta, avvallata dal presidente del Senato Grasso, che  la Commissione procedesse in sede deliberante. Manovra  fallita per l’opposizione dei  senatori 5stelle (anche loro a volte fanno qualcosa di buono). Ci sarà, quindi, il dibattito in aula e, per fortuna, già si sono levate le prime autorevoli voci contrarie, provenienti soprattutto dal mondo dei giuristi, che ben conoscono le conseguenze cui portano le derive del diritto penale.   Appunto di “deriva simbolica del diritto penale”  parla l’Unione delle Camere penali, che  ricorda  il “diffuso dissenso” di storici e giuristi, anche in Francia dove esiste da tempo il delitto di negazionismo, ed evidenzia  che, se “operazione di retroguardia” vivificare la categoria de reati di apologia,  ancora più sbagliato è inserire nel nostro ordinamento giuridico un reato di opinione. L’Unione Camere penali fa specifico  riferimento al genocidio ebraico, affermando  che questo  fa  così profondamente parte della storia e della coscienza collettiva  del nostro Paese, da “non temere alcuno svilimento se una sparuta minoranza di persone la pone in dubbio o ne ridimensiona la portata”.  Anzi proprio il rispetto che si deve al dramma della Shoah dovrebbe consigliare di evitare di trasformare il codice penale “senza tenere conto dei principi fondamentali del diritto moderno”. In ogni caso  il tentativo di  arginare un’opinione – anche la più inaccettabile o infondata – con la sanzione penale contrasta “con uno dei capisaldi della nostra Carta Costituzionale, la quale all’art. 21 comma 1 non pone limiti di sorta alla libertà di manifestazione del pensiero”.

    Identica, in un loro dibattito interno,  la reazione di molti magistrati, solleciti anch’essi a ricordare che  tra i diritti inviolabili dell’uomo vi è la libertà di pensiero e di espressione, principi che, appunto perché inviolabili,   non possono, a pena di non essere più tali,  ammettere eccezioni di sorta. Difatti    la democraticità di uno Stato si misura proprio sul grado di libertà di pensiero garantita a chi è più distante dai valori condivisi dalla maggioranza.

     Le  Camere penali mettono al centro della  riflessione  il genocidio ebraico, ma   la norma varata  in Commissione  ha carattere generale e generico,  facendo  riferimento non specificamente, come invece in  Francia, al genocidio ebraico o a quello armeno, ma a tutti “i crimini di genocidio o contro l’umanità”.  Questa genericità aumenta  di molto la pericolosità della norma. Manca difatti la definizione  giuridica di genocidio e se anche si tentasse di fornirla la sua applicazione pratica sarebbe di estrema difficoltà. Molti considerano genocidio quello degli indiani del nord America.  La grande maggioranza degli storici e la legislazione francese ritengono genocidio l’eccidio del popolo armeno compiuto dai turchi, ma in Turchia commette reato chi lo definisce genocidio.  Nel loro dibattito i magistrati  si pongono la domanda, estrema ma non  assurda, come la mettiamo se qualcuno nega il genocidio di Gerico esaltato nella Bibbia?

    La strada intrapresa dai senatori della Commissione Giustizia è di estremo pericolo. Se vi si procede tutti noi  perderemo la certezza  di vivere in uno Stato dove ciascuno è  libero di avere  e professare le proprie opinioni. Prima di parlare cominceremo a guardarci intorno per vedere chi ci ascolta. Questa proposta di legge somiglia tanto alla storia di quel tale che per anni  dopo la caduta del nazismo continuava a ritenere di essere perseguitato dai nazisti. Trovò pace solo quando, con l’aiuto di un bravo psicanalista, scoprì di essere anch’egli nazista.

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