Teologia della liberazione, incidente diplomatico tra prelati

Sulla teologia della liberazione dobbiamo registrare un incidente diplomatico tra prelati. L’Arcivescovo di Lima (Perù), Mons. Cipriani, ha dichiarato che il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – il Card. Muller – è “un buon tedesco, un buon teologo, un po’ ingenuo”.

Il giudizio, decisamente tagliente, riguarda la sponsorizzazione che il prefetto vaticano ha fatto per l’opera di Gustavo Gutierrez, teologo domenicano, caposcuola nobile della cosiddetta teologia della liberazione.

Questa corrente teologica sud-americana è stata oggetto di due interventi della stessa congregazione che oggi è retta da Muller, ma erano gli anni ’80 e il “dog-watch” della Fede era niente meno che il Card. Ratzinger. Allora venivano censurate le teologie della liberazione che si rifacevano ad un approccio marxista, cioè che finivano per confondere la liberazione proposta dal Vangelo con una meramente terrena.

Mercoledì scorso Gutierrez è stato ricevuto da Papa Francesco, mentre l’Osservatore romano ha dedicato ampi spazi al lavoro del teologo peruviano. Tutto lascia pensare ad una sorta di riabilitazione di una teologia fino a ieri considerata un po’ “brutta, sporca e cattiva”. A ciò ha lavorato particolarmente proprio il Card. Muller che, tra l’altro, ha pubblicato un libro a due mani con il Gutierrez.

Secondo Mons. Cipriani, vescovo di Lima appartenente all’Opus Dei, la situazione però non sarebbe così liscia. A proposito dell’incontro con Papa Francesco dice: “La mia lettura (di questa riunione) è che Muller ha voluto avvicinarsi al suo amico (Gutierrez) che gli è caro, e che vuole in qualche modo aiutare a correggersi e a inserirsi nella Chiesa Cattolica.” Il prelato avverte il pericolo di chi sta utilizzando questo incontro per sottolineare l’avvicinamento ad una teologia che ha “provocato danno alla Chiesa”. Addirittura, secondo Cipriani, il Card. Ratzinger, nel 1984 e nel 1986, chiese a Gutierrez di “rettificare due suoi libri” che, appunto, “hanno danneggiato la Chiesa”.

Un giudizio molto diverso da quello del Card. Muller che ha definito la teologia della liberazione di Gutierrez “tra le correnti più significative della dottrina cattolica del XX secolo”. Insomma, c’è materia per sollevare un polverone.

Ma come stanno veramente le cose? E’ vero che c’è una teologia della liberazione “buona”, rispetto ad altre “cattive”? Il curialese, o il teologhese stretto, potrebbero certamente dire che sì, ci sono varie forme di teologia della liberazione, alcune “buone”. A giudizio del Vescovo Cipriani, invece, sembrerebbe di no, che la teologia della liberazione, tutta intera, ha in sé dei contenuti “infetti” per la vita della Chiesa.

La teologia della liberazione— scriveva Gustavo Gutiérrez nel suo “La forza dei poveri” (1983) — è un tentativo di interpretare la fede a partire dalla prassi storica concreta, sovversiva e liberatrice, dei poveri di questo mondo, delle classi oppresse, dei gruppi etnici disprezzati, delle culture emarginate.

I poveri qui vengono inseriti come leva di una “prassi storica concreta, sovversiva e liberatrice”, in una parola rivoluzionaria, che sembra a tutti gli effetti riecheggiare un approccio marxista. Quindi, pur con tutte le distinzioni del caso, pare che l’humus su cui cresce la teologia di Gutierrez assomigli a quello condannato dal Prefetto Ratzinger: un pericoloso sbilanciamento del Vangelo verso una salvezza tutta terrena. Ovviamente non è in discussione la doverosa attenzione della Chiesa ai poveri e agli oppressi, ma l’interpretazione esclusivamente politica del concetto di liberazione.

La faccenda della teologia della liberazione ha contorni ambigui. A furia di dire e non dire va a finire che al posto del “Christus Vincit”ci si ritrova tutti a cantare “El pueblo unido jamas serà vencido”. (La Voce di Romagna, 19/9/2013)

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