Droga. A proposito di: “Creare un mercato legale per sottrarre mercato e guadagni alla criminalità”

Un altro slogan ripetuto con insistenza dagli antiproibizionisti è quello secondo cui la droga libera consentirebbe di sottrarre mercato e introiti alla criminalità organizzata, rendendola così più debole, meno capace di corrompere apparati dello Stato, e meno in grado di infiltrarsi nell’economia legale.

Scrive[1] Roberto Saviano:

“Non voler affrontare il problema del consumo di droghe, se non come un problema di repressione, ha ricadute e costi che il nostro Paese non può sostenere: i tribunali si riempiono di cause e la popolazione carceraria aumenta, mentre le organizzazioni criminali continuano a guadagnare mercati e quattrini”.

“In situazioni di estrema necessità è possibile avviare un dibattito che può dare anche risultati virtuosi: sottrazione di guadagni e del mercato della marijuana alle organizzazioni criminali. Che è possibile trovare un percorso condiviso su argomenti spesso troppo difficili da trattare, come la legalizzazione delle droghe leggere”. Perché – conclude Saviano – “Legalizzare non significa incentivare, ma sottrarre mercato alle mafie, […] una politica di legalizzazione toglierebbe ricchezza ai criminali”.

Ribadisce[2] Mario Staderini, segretario del Partito Radicale:

“Il proibizionismo ha fallito, non funziona e non conviene. La gente deve capire che, grazie al fiume di denaro che arriva dalle droghe, le mafie hanno inquinato le nostre economie, hanno invaso le nostre città e corrompono lo Stato”.

E poi: la legge Fini-Giovanardi “ha fatto aumentare il fatturato di una sola azienda: quello della criminalità organizzata”.

Scrive[3] Jacopo Fo:

“Nei Paesi dove sono in vigore divieti, anche i consumatori di droghe leggere si devono rivolgere agli spacciatori e quindi alla malavita organizzata, che trae vantaggi maggiori dalla vendita delle droghe pesanti e quindi ne incoraggia il consumo. A questo danno si aggiunge il fatto che la droga fornisce alle organizzazioni criminali ingenti mezzi finanziari che permettono alle mafie di diventare potenti e capaci di corrompere ampi apparati dello Stato e infiltrarsi nell’economia legale, inquinandola”.

“Inoltre, i tossicodipendenti da droghe pesanti sono costretti a delinquere per procurarsi il denaro per acquistarle e quindi si mettono nei guai, diventa sempre più improbabile che combinino qualche cosa di buono e quindi diminuiscono le probabilità che riescano a uscire dalla droga e rifarsi una vita. Si ottiene, anzi, un grave danno sociale aggiuntivo derivante dai reati commessi dai tossicomani e dal costo spaventoso della repressione di questi reati, che si aggiunge al costo della repressione del consumo. Ovviamente tutto questo non succede laddove le droghe pesanti sono somministrate da strutture pubbliche sotto controllo medico. In effetti, anche in ambienti di destra, proprio il costo economico della repressione del consumo delle droghe, ha convinto molti della necessità di cambiare tattica”.

Sembra, insomma, che per contrastare la criminalità organizzata che vive col mercato illecito delle droghe, lo Stato abbia davanti a sé un’unica strada percorribile: la legalizzazione delle droghe. Tuttavia basta calare la tesi al livello pratico, per rendersi chiaramente conto del suo carattere superficiale e utopico, che si tratta di una teoria senza alcun fondamento scientifico, dietro la quale vi è in realtà un fine preciso: ottenere il libero accesso alle droghe e l’impunibilità dell’uso.

 

Inattuabile legalizzazione per tutte le persone e per tutte le sostanze

 

Affinché la legalizzazione delle droghe sia efficace nell’abbattere i guadagni della criminalità – si legge nel documento[4] del Dipartimento Politiche Antidroga (DPA) -, la disponibilità di sostanze stupefacenti dovrebbe essere garantita a tutti coloro che ne vogliano far uso, indipendentemente dall’età e dalle mansioni svolte, per evitare che i gruppi criminali, invece di scomparire, si indirizzino proprio verso le persone escluse dalla fornitura di Stato, in quanto non autorizzate a riceverla. Tuttavia risulta evidente che nemmeno lo Stato più liberale potrebbe consentire l’accesso alle droghe in maniera generalizzata a tutta la popolazione, si pensi, per esempio, ai minori, alle donne in stato interessante, ai lavoratori che svolgono particolari mansioni come pilotare aerei, guidare scuolabus e altri mezzi pubblici, eseguire interventi chirurgici o azioni militari, ecc. Un folto gruppo di persone per il quale l’uso delle droghe dovrebbe essere chiaramente vietato, rendendoli in questo modo clienti appetibili per il mercato sommerso che, quindi, continuerebbe a porre in atto i suoi traffici illeciti.

L’accesso alle droghe andrebbe sicuramente vietato ai bambini e agli adolescenti, cioè a quella fascia di età compresa tra i 13 e i 18-21 anni, durante la quale il consumo di stupefacenti è in grado di provocare danni molto gravi sul cervello e sulla mente, essendo ancora in atto “la maturazione cerebrale con i processi di mielinizzazione, sinaptogenesi e ‘pruning’”[5] [6] [7] [8] [9]. La legalizzazione delle droghe renderebbe perciò meno protetti proprio i soggetti più sensibili e vulnerabili, coloro che tra l’altro sono anche i più attratti dalle sostanze, col richiamo del mercato illecito parallelo, che eserciterebbe su costoro una pressione ancora più forte, in quanto esclusi dalla fornitura legale.

Ma non solo, per sottrarre davvero ricchezza alle mafie, non basterebbe una legalizzazione generalizzata nei confronti di tutte le persone (senza limiti di età e mansioni), ma anche per tutti i tipi di sostanze. Sarebbe infatti del tutto insufficiente rendere legali le sole “droghe leggere” (marijuana e hashish), come scrive Saviano, perché la criminalità continuerebbe la sua attività illegale con le droghe più pesanti rimaste escluse (cocaina, anfetamine, eroina,…). Per ovviare a questa realtà, gli antiproibizionisti più baldanzosi propongono di rendere lecito anche il consumo di quelle “pesanti”: una posizione tutt’altro che percorribile da parte di uno Stato, viste le conseguenze devastanti sulla salute causate da questi stupefacenti. Anche se è importante ricordare che tutte le droghe, anche quelle dette erroneamente “leggere”, sono in grado di provocare molti e gravi problemi sulla salute.

In particolare, la legalizzazione delle sostanze stupefacenti porrebbe lo Stato in contraddizione con due principi cardine della Costituzione. Con l’art. 32 (comma 1), che recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”; e con l’art. 3 (comma 2) che stabilisce: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli… che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Ora, è certamente vero che “l’uso di sostanze è in grado di minare fortemente lo sviluppo della persona, soprattutto dei giovani e compromettere di fatto la possibilità di esercitare un’effettiva partecipazione alla vita sociale del Paese. Pertanto, sulla base di questi fondamentali principi, si ritiene che lo Stato debba necessariamente mettere in atto tutte le misure di tutela e di promozione della salute di cui sicuramente la legalizzazione delle sostanze stupefacenti, permettendone così un più largo consumo, non fa parte”[10].

 

Costi esorbitanti per lo Stato e minore competitività

 

Affinché il mercato illegale delle droghe sia efficacemente contrastato con la legalizzazione, lo Stato dovrebbe mettere in piedi un gigantesco sistema di produzione, controllo, custodia e distribuzione dei diversi tipi di sostanze che, dal punto di vista tecnico-sanitario, verrebbe affidato ad “industrie professionali che garantiscano le necessarie caratteristiche farmacologiche, di sicurezza, stabilità e purezza per uso umano, finanziate o direttamente gestite dallo Stato”, e che siano in grado di rispondere a tutte le tipologie di consumatori: occasionali, abitudinari e dipendenti. In tal senso, occorrerebbe istituire “una distribuzione di sostanze stupefacenti da parte di ‘dispensari’ (peraltro differenziati per sostanza) o ‘punti vendita controllata’ a soggetti dipendenti (e cioè in stato di malattia e quindi con necessità di cure) ma anche e soprattutto a semplici consumatori occasionali”[11]. Ma creare un apparato statale ben strutturato, di alto livello tecnologico, atto a gestire adeguatamente la produzione e lo smercio legali, si tradurrebbe di fatto nel sostenere costi esorbitanti da parte dello Stato e, quindi, dell’intera collettività.

La creazione di un mercato legale gestito e controllato dallo Stato, si dimostra in realtà molto complesso ed estremamente costoso, e quindi tutt’altro che competitivo con quello delle mafie e del crimine organizzato. Anche per questo “il mercato nero è una realtà non sradicabile da una semplice politica di legalizzazione”.

Ci sono poi da considerare anche le altre conseguenze che la legalizzazione avrebbe sulla tipologia dei consumatori. Ad esempio, il facile accesso alle droghe potrebbe disincentivare i consumatori dipendenti dall’entrare in strutture specialistiche per la riabilitazione e il recupero,  portando alla “perdita di un gran numero di pazienti tossicodipendenti in trattamento” e al “ritardo nell’intraprendere percorsi di riabilitazione e di recupero”.

Per i consumatori occasionali, invece, il problema maggiore sarebbe quello di vedersi garantito l’anonimato e la riservatezza nel momento in cui dovranno recarsi presso i dispensari per l’acquisto e il consumo. È facile vedere, come da questo punto di vista, lo Stato sia perdente già in partenza sulla criminalità, “che vede gli spacciatori utilizzare sempre tecniche personalizzate, ‘porta a porta’, di consegna a domicilio e senza richiedere alcun dato anagrafico al cliente”. Ancora una volta il mercato illegale non verrà contrastato in maniera adeguata, perché potrà continuare a realizzare i suoi guadagni con coloro che vorranno continuare a fare uso di droghe rimanendo anonimi.

Alcune organizzazioni sostengono che l’uso di sostanze dovrebbe essere reso legale solo per le persone che hanno una dipendenza, altre invece pensano che il “diritto a drogarsi” debba essere esteso anche agli occasionali o abitudinari. Ma in entrambi i casi le mafie non potranno essere contrastate con efficacia. Nella prima ipotesi, il mercato illegale potrà continuare a fare affari con i consumatori non dipendenti, esclusi dal mercato legale; cosa che accadrebbe anche nella seconda ipotesi, con i consumatori che desiderano restare anonimi.

 

Aumento del commercio via internet

 

La legalizzazione, in particolare della cannabis e dei suoi semi per la coltivazione, avrebbe conseguenze non solo a livello di spaccio territoriale, ma anche nel già oggi molto fiorente mercato via web. Non ci vuole molta immaginazione per riuscire a vedere che la droga legale porterà ad “un fiorire di siti internet che moltiplicherebbero le loro offerte in maniera iperbolica, con una ulteriore difficoltà di controllo del mercato e dell’offerta alternativa a quella legale”[12].

Data la sua natura sfuggente, il mercato in rete renderebbe più problematico il controllo dei flussi commerciali alternativi, creando una difficoltà in più per lo Stato nel mantenere un’unica distribuzione legalizzata controllata.

La legalizzazione delle droghe, pubblicizzata come mezzo idoneo a sconfiggere la criminalità organizzata rimane, pertanto, solo un’ipotesi astratta che non è avvalorata da alcuno studio né evidenza scientifica. Scrive il DPA che le organizzazioni criminali si muovono ormai su contesti internazionali, e anche se uno Stato legalizzasse alcune sostanze stupefacenti, “queste organizzazioni avrebbero la capacità e l’organizzazione per attivare mercati alternativi in pochissimo tempo e con estrema mobilità”. “È noto infatti che tali organizzazioni criminali trafficano e commerciano in vari tipi di droghe e che, legalizzando uno solo di questi prodotti quale ad esempio la marijuana, non si produrrebbero danni commerciali tali da mettere le organizzazioni in crisi, come dimostrato da studi statunitensi in merito, in quanto compenserebbero con altri introiti derivanti da mercati di altre sostanze e comunque da mercati sicuramente più competitivi con quelli legali anche sulla stessa sostanza. Pertanto, allo stato attuale, questa resta solamente un’utopica aspettativa di soluzione ‘chirurgica’”.

L’unica maniera in cui la liberalizzazione delle droghe potrebbe incidere sulla nascita di mercati legali paralleli difficilmente controllabili e nel sottrarre mercato alla criminalità – scrive il DPA -, è quella di una legalizzazione globale e contemporanea in tutti gli Stati del mondo, per tutte le sostanze disponibili e per tutte le persone. Solo in questo modo, infatti, si potrebbe contrastare la criminalità organizzata, impedendole di operare nei Paesi rimasti “proibizionisti”, con i consumatori esclusi dal mercato legale, e con gli stupefacenti rimasti illegali. Una soluzione dal chiaro carattere utopistico, impossibile da realizzare.

 

Maggiore competitività del mercato illegale e aumento dei fenomeni violenti

 

In generale, “I costi produttivi per le organizzazioni criminali, considerati i loro bassi standard di produzione, saranno sempre più bassi e competitivi rispetto a quelli della produzione industriale professionale che deve garantire sicurezza, qualità e stabilità del prodotto, caratteristiche che devono essere assicurate non solo per la produzione ma anche per il packaging e la distribuzione”[13]. Lo Stato, quindi, si troverebbe a pagare due volte: da un lato dovrà farsi carico dei costi enormi per regolamentare il mercato legale mentre, dall’altro lato, dovrà continuare a pagare per contrastare il mercato sommerso, tutt’altro che scomparso.

E non solo. Anziché contrastare la criminalità e quindi ottenere una riduzione dei fenomeni violenti ad essa associati, la legalizzazione delle droghe potrebbe ottenere esattamente l’effetto opposto, dato l’innescarsi di un pericoloso circolo vizioso. Infatti, l’entrata in campo dello Stato, farebbe aumentare anche la concorrenza, che a sua volta potrebbe indurre le organizzazioni criminali ad abbassare i prezzi, al fine di mantenere la propria fetta di mercato e restare competitive. Ma prezzi più bassi avrebbero come risultato quello di incentivare maggiormente il consumo di droghe, con incremento del numero degli assuntori, delle forme di dipendenza e delle pesanti ripercussioni sulla salute di un numero sempre più alto di persone, soprattutto giovani, che peraltro graverà interamente sullo Stato.

Infatti, come accade con alcool e tabacco, anche il consumo di droga è molto sensibile al prezzo, soprattutto da parte dei giovani e dei consumatori occasionali. Diversi studi[14] [15] [16] [17] hanno dimostrato che per tutte e tre queste sostanze, prezzi più elevati hanno il merito di tenere basso il numero di questi fruitori. Anche per questo la legalizzazione non potrà mai essere in grado di ridurre il numero dei consumatori di droghe, legalizzare significa, infatti, crollo dei prezzi e, quindi, maggiore facilitazione al consumo, come ha ben evidenziato un rapporto della RAND Corporation, un think tank conosciuto e accreditato su scala internazionale, secondo cui è proprio l’illegalità a mantenere i prezzi elevati e, di conseguenza, consumi più bassi[18].

Quindi, l’aumento della domanda derivante in generale dalla legalizzazione e, in particolare, della domanda nell’ambito del mercato illegale, visti i prezzi più appetibili di quest’ultimo, non solo non contrasterebbe i cartelli della droga, ma con tutta probabilità li rafforzerebbe, e con essi le loro attività di estorsione, traffico di esseri umani, pirateria, ecc. Insomma, un risultato diametralmente opposto da quello propalato dagli antiproibizionisti.

Ciò è dimostrato, ad esempio, da quanto accade in Olanda. Osserva[19] il DPA che “dove si è legalizzata la cannabis all’interno dei coffee shop, si è comunque assistito nelle aree limitrofe ad un incremento delle attività criminali in relazione con la produzione illegale e chiaramente non autorizzata, su tutto il territorio nazionale, con un conseguente aumento delle attività della giustizia penale”. In sostanza, in Olanda, la legalizzazione della marijuana non ha ridotto l’impatto e le attività legate al traffico di droga e alla malavita. Amsterdam, ad esempio, è una delle città più violente su scala europea[20].

Molti sono i coffee shop che, nel rapporto dell’Advisory Comittee on Drugs Policy olandese, sono accusati di interagire con il crimine organizzato, che perciò raccomanda: un maggior controllo da parte delle forze dell’ordine, una riduzione del numero dei locali, e la loro ubicazione lontano dalle scuole. Proprio a seguito degli effetti negativi seguiti alla legalizzazione, nel rapporto si evidenzia anche la necessità di riconsiderare la legislazione in materia di drug policies.

La criminalità e le mafie non sono affatto contrastate dal mercato legale, nel quale riescono ad infiltrarsi continuando i propri traffici e attività illegali.

In Italia, una situazione del genere si è verificata nell’ambito del gioco d’azzardo, dopo che è stato legalizzato. Grazie all’aumento dell’offerta giochi, all’espansione delle nuove tipologie di gioco più difficili da controllare (slot machine, video poker), all’incredibile aumento del numero e allargamento del target dei giocatori, non solo il gioco d’azzardo illegale non è stato contrastato, ma si è addirittura intensificato. Si calcola che il gioco illegale muova, solo in Italia, almeno 20 miliardi di euro l’anno, con tutto ciò che di negativo ne consegue: usura, truffe e riciclaggio[21].

Ad agosto 2012 l’Ansa ha reso note[22] le operazioni effettuate dalla Guardia di Finanza dall’inizio dell’anno nel settore giochi e scommesse: oltre 7mila controlli che hanno portato alla luce ben 2.358 violazioni e il conseguente sequestro di 2.010 apparecchi da gioco, nonché la scoperta di 1.059 punti clandestini di raccolta delle scommesse. I fenomeni illeciti maggiormente diffusi – precisava l’agenzia di informazione – sono risultati l’alterazione e la manomissione degli apparecchi da gioco; l’abusiva raccolta di scommesse sportive mediante agenzie clandestine, anche per conto di allibratori esteri privi di autorizzazione; le lotterie fasulle; e i siti di gioco artificiosamente collocati all’estero per sfuggire ai controlli e alle imposte.

“È ormai ampiamente dimostrato il preminente interesse” della criminalità organizzata nel settore del gioco d’azzardo – scrive[23] la Direzione nazionale antimafia (DNA) – “da alcuni procedimenti emerge un sistema di relazioni di potere che lega le organizzazioni mafiose ad un’imprenditoria collusa, che in alcuni casi risulta a sua volta legata ad ambienti istituzionali”. Si tratta di un “sistema di connivenze che investe ora funzionari pubblici, ora appartenenti alle forze dell’ordine”. Grazie al gioco legale, precisa la relazione della DNA: “è possibile investire percependo rapidamente guadagni consistenti (soprattutto se le regole del gioco vengono falsate), e inoltre le varie tipologie di giochi possono essere utilizzate per riciclare capitali illecitamente acquisiti”. Per quanto riguarda, ad esempio, le sale Bingo – osservano i magistrati della DNA – ci sono state offerte talmente fuori mercato da far ritenere “che la compensazione debba avvenire per altri canali illeciti, quali il riciclaggio o le frodi informatiche”. La procura nazionale ne ha perciò dedotto che, a cominciare dalle aste per l’aggiudicazione delle concessioni, c’è chi non ha fatto il proprio dovere segnalando anomalie.

In sostanza, legalizzare il gioco d’azzardo non ha indebolito la criminalità, non le ha sottratto mercato e introiti, non ha evitato che si infiltrasse nell’economia legale, non ha evitato che corrompesse apparati dello Stato, e non ha ridotto le azioni di giustizia penale per contrastarla.

 

Dalle “narcomafie” ai “narcocapitalisti”

 

Antonio Maria Costa, ex direttore dell’Ufficio Antidroga delle Nazioni Unite, durante una conferenza al Royal Institute of International Affairs di Chatam House, ha posto l’accento su un altro aspetto assai discutibile, che potrebbe nascere con la legalizzazione delle droghe: il passaggio dalle “narcomafie” ai “narcocapitalisti”[24].

Costa ha affermato che “la riorganizzazione della politica anti-droga al fine di ridurre la criminalità è necessaria, ma non è possibile sulla base dell’argomento semplicistico secondo cui la legalizzazione farebbe scomparire la criminalità organizzata”. “Combattere i criminali legalizzando gli stupefacenti – continua Costa – causerebbe un’epidemia di drogati e posso provarlo rifacendomi ai fatti storici, anche se ciò potrebbe irritare qualcuno in questa platea”. Quindi ha spiegato: “La pressione per legalizzare le droghe viene da svariate fonti, alcuni innocenti e ben intenzionate – che io rispetto -, altre pericolosamente speculative. Ho paura delle seconde; in particolare temo la coalizione di banchieri, investitori privati, capitalisti di venture, società farmaceutiche e simili, che in attesa della legalizzazione stanno spendendo montagne di soldi per sviluppare i marchi di vendita, esattamente come fanno i produttori di tabacco. Per la società sarebbe dannosissimo se il riesame della politica sugli stupefacenti portasse alla sostituzione delle narcomafie con narcocapitalisti, portando alla fine alla privatizzazione dei profitti e alla socializzazione dei costi sanitari”.

Molto interessante al riguardo è un articolo[25] apparso sul Fatto Quotidiano, che ha fornito un’analisi del grande fermento che c’è negli Usa intorno al business della marijuana legale. Si legge nell’articolo: “Il business della marijuana legale ha raggiunto livelli esorbitanti negli Stati Uniti. Il Medical marijuana business daily, la principale fonte di informazione per il mercato americano della cannabis ad uso medico, prevede che le vendite autorizzate schizzeranno quest’anno a oltre 1,5 miliardi di dollari. E, grazie ai referendum che a novembre dell’anno scorso hanno dato il via libera all’utilizzo ‘ricreativo’ in Colorado e nello Stato di Washington, quadruplicheranno a 6 miliardi entro il 2018”.

“Fiutato il business – prosegue l’articolo -, Wall Street non sta certo a guardare. L’hedge fund Lazarus Investment Partners, come spiega il Los Angeles Times, ha investito in AeroGrow International, un’azienda produttrice di sistemi idroponici, che permettono di far crescere le piante senza l’uso della terra con una maggior resa nel minor tempo possibile. Le attrezzature fornite dalla società servono a coltivare in casa piccole piante come lattuga e pomodori. Ma il fondo di investimento, che possiede il 15% della compagnia, ha suggerito di lanciare una versione extra large del prodotto che permette di coltivare in casa propria 365 giorni l’anno anche piante più alte come, appunto, la cannabis”. “Un’altra piccola azienda che realizza sistemi idroponici, Terra Tech, punta a raddoppiare il business non appena le leggi sulle droghe leggere saranno più permissive. Ha chiesto quindi una mano agli investitori di Wall Street per raccogliere 2 milioni di dollari. L’obiettivo dell’impresa è arrivare a realizzare solo una parte dei ricavi con la vendita di attrezzature, concentrando gli sforzi sulla coltivazione di piante e fiori in New Jersey. E, quando le leggi saranno meno rigide, passare alle piante di canapa. Derek Peterson, presidente e amministratore delegato di Terra Tech, sta pensando addirittura di quotare l’azienda alla Borsa di New York”.

“Il fondo di private equity Privateer – continua l’articolo – sta invece raccogliendo 7 milioni di dollari per acquistare start up che operano nel mercato della cannabis, senza però coltivare direttamente le piante o distribuire la sostanza. Il suo primo acquisto è stato Leafly, un sito nato a Seattle da visitare per avere qualsiasi tipo di informazioni su tutti i rivenditori autorizzati di marijuana: dalle tipologie di erba in vendita ai prezzi, passando per la gentilezza dello staff”.

Ma gli uomini d’affari americani si stanno muovendo anche in altre direzioni. C’è chi ha “puntato gli occhi sui distributori automatici di marijuana. MedBox, che realizza questo tipo di macchinari, sta raccogliendo 20 milioni di dollari dagli investitori per assumere dipendenti e finanziare progetti di ricerca e sviluppo”. Altri, come per esempio, Alan Valders, operatore finanziario alla Borsa di New York, “prevede che molti uomini di Wall Street investiranno nel suo progetto: aprire in Colorado e nello Stato di Washington una dozzina di negozi di fascia alta ‘come Starbucks per la caffetteria’ per distribuire le varianti più ricercate e costose di marijuana”.

Insomma, dietro le richieste per rendere legale la droga si nasconde un business enorme, con la nascita di un lucroso mercato privato al quale molti speculatori stanno già guardando con l’acquolina in bocca, preparandosi con progetti precisi e investimenti miliardari. Non è un caso, allora, se il megaspeculatore ungherese naturalizzato statunitense, George Soros, sia a capo della campagna internazione per legalizzare la droga “nello stesso momento in cui – osserva[26] Costa – i finanzieri in crisi cominciano ad usufruire dei proventi della droga per sopravvivere”. Il magnate Soros “continua a spendere cifre da capogiro nella campagna per la legalizzazione della droga negli Stati Uniti e per fermare la ‘guerra’ ai cartelli della droga…”. L’offensiva da lui guidata “è stata appoggiata in pieno dal settimanale londinese Economist, che gli dedica la copertina del numero del 7-13 marzo, chiedendo la legalizzazione della droga come la ‘politica del male minore’”.

 

In conclusione, oltre a creare “un’epidemia di drogati” e a non contrastare affatto le mafie e i loro guadagni, la legalizzazione delle droghe imporrebbe costi esorbitanti a carico dello Stato e dell’intera collettività, estremamente più elevati di quelli che comporta una politica proibizionista, e delle entrate che arriverebbero dalla tassazione delle droghe legalizzate. Ai costi enormi per la produzione, controllo, custodia e distribuzione delle sostanze, si dovranno aggiungere i costi, tutti in aumento, relativi al sistema di giustizia penale, sia per il contrasto dei mercati illegali paralleli e delle attività criminali collegate, che per i crimini e i reati compiuti sotto l’effetto di queste sostanze (rapine, scippi, violenze, incidenti,…)[27].

A questi si devono aggiungere i costi sanitari per le conseguenze sulla salute causate dalle droghe e quelli per la riabilitazione e il recupero dei tossicodipendenti.

C’è, poi, da considerare l’ipotesi tutt’altro che remota, della possibile formazione di una class action legale contro lo Stato, per il fatto di aver reso legale il consumo di sostanze tossiche ed in grado di produrre gravi danni sulla salute. “Lo stesso Codice del Consumo – si legge[28] nel documento del DPA – sancisce l’importanza della tutela della salute del consumatore e prevede disposizioni specifiche contro l’uso di prodotti con potenziale nocivo e che comportino rischi per i consumatori”. La legalizzazione di sostanze note per essere nocive “potrebbe innescare meccanismi di richieste di risarcimenti con costi considerevoli nel lungo periodo”.

Insomma, legalizzare le droghe sarebbe un fallimento su tutta la linea, eccetto che per speculatori e criminalità. Se c’è qualcosa in grado di contenere i guadagni delle mafie e le loro attività illecite, il numero dei drogati, i fenomeni violenti e i costi del sistema di giustizia penale, questi sono proprio il proibizionismo e la punibilità.

 

 

Note

 

[1] Roberto Saviano, “Legalizziamo la marijuana”, L’Espresso, 9 luglio 2012.

[2] Lorenzo Galeazzi – Federico Mello, “Marijuana, i radicali vanno all’attacco ‘Autodenunciamoci nelle questure del Paese’”, www.ilfattoquotidiano.it, 9 gennaio 2012.

[3] Jacopo Fo, “Vietare le droghe funziona?”, www.ilfattoquotidiano.it, 27 giugno 2011.

[4] Presidenza del Consiglio dei Ministri (PCM), Dipartimento Politiche Antidroga (DPA), “Le ragioni del perché NO alla legalizzazione delle sostanze stupefacenti”, Roma, 1 novembre 2011, p. 12.

[5] G. Serpelloni, F. Bricolo, Gomma M., Elementi di Neuroscienze e Dipendenze, 2° edizione. Manuale per operatori dei Dipartimenti delle Dipendenze, Dipartimento per le Politiche antidroga – PCM, Giugno 2010. Scaricabile da www.dronet.org. Citato in: PCM – DPA, ibid, p. 10.

[6] M.R. Asato, R. Terwilliger, J. Woo , B. Luna, White Matter Development in Adolescence: A DTI Study, Cereb Cortex, 2010 Jan  5. Citato in: PCM – DPA, ivi.

[7] T. White, S. Su, M. Schmidt, C.Y. Kao, G. Sapiro, The development of gyrification in childhood and adolescence, Brain Cogn. 2010 Feb; 72(1): 36-45. Epub 2009 Nov 25. Citato in: PCM – DPA, ivi.

[8] S. Bava, L.R. Frank, T. McQueeny, B.C. Schweinsburg, A.D. Schweinsburg, SF. Tapert, Altered white matter microstructure in adolescent substance users, Psychiatry Res. 2009 Sep 30; 173(3): 228-37. Epub 2009 Aug 20. Citato in: PCM – DPA, ivi.

[9] S. Bava, J. Jacobus, O. Mahmood, T.T. Yang, S.F. Tapert, Neurocognitive correlates of white matter quality in adolescent substance users, Brain Cogn. 2010 Apr; 72(3): 347-354. Epub 2009 Nov 22. Citato in: PCM – DPA, ivi.

[10] PCM – DPA, ibid, p. 9.

[11] PCM – DPA, ibid, p. 14.

[12] PCM – DPA, ibid, pp. 15, 16.

[13] PCM – DPA, ibid, p. 19.

[14] J. Williams, R. Pacula, F. Chaloupka, H. Wechsler, Alcohol and Marijuana Use Among College Students: Economic Complements or Substitutes? Health Economics 13(9): 825-843, 2004. Citato in: PCM – DPA, ibid, p. 10.

[15] R. Pacula, J. Ringel, M. Suttorp, K. Truong, An Examination of the Nature and Cost of Marijuana Treatment Episodes. RAND Working Paper presented at the American Society for Health Economics Annual Meeting, Durham, NC, June 2008. Citato in: PCM – DPA, ivi.

[16] M. Jacobson, Baby Booms and Drug Busts: Trends in Youth Drug Use in the United States, 1975-2000, Quarterly Journal of Economics 119(4): 1481-1512, 2004. Citato in: PCM – DPA, ivi.

[17] A. Wagenaar, M.J. Salois, K. Komro, Effects of beverage alcohol price and tax levels on drinking: a meta-analysis of 100 estimates from 112 studies, Addiction; 104(2):179-90, 2009 Feb. Citato in: PCM – DPA, ivi.

[18] B. Kilmer, J.P. Caulkins, R. Pacula, RJ. MacCoun, P. Reuter, Altered State? Assessing How Marijuana Legalization in California Could Influence Marijuana Consumption and Public Budgets, RAND, 2010. Citato in: PCM – DPA, ivi.

[19] PCM – DPA, ibid, p. 22.

[20] C. Stimson, “Legal Memorandum, Legalizing Marijuana: why citizens should just say no”, no. 56, September 13, 2010. Citato in: PCM – DPA, ibid, p. 24.

[21] Codacons, “Il gioco d’azzardo – Le ludopatie”, p. 22.

[22] “Blitz Gdf su giochi e scommesse: irregolare il 20% agenzie”, www.ansa.it, 22 agosto 2012.

[23] Nello Scavo, “Mafia e azzardo ‘C’è un sistema di connivenze’”, Avvenire, 25 gennaio 2013.

[24] Citato da Enzo Pennetta, “Gomorra ringrazia…”, Libertà e Persona, 13 luglio 2012.

[25] Francesco Tamburini, “Usa, la marijuana legale è un business da 1,5 miliardi. E Wall Street cavalca l’onda”, www.ilfattoquotidiano.it, 15 aprile 2013.

[26] Citato da Libertà e Persona, “Lo speculatore Soros e Lord Brown”, 22 marzo 2009.

[27] PCM – DPA, ibid, pp. 22, 23.

[28] E. Scafato, Istituto Superiore di Sanità “Brainstorming sulla legalizzazione delle sostanze psicoattive”, Roma, Settembre 2011, Citato in: PCM – DPA, ibid, p. 24.

Print Friendly, PDF & Email
Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

dieci + cinque =