La testimonianza di Gianna Jessen commuove i biellesi. Il Movimento per la Vita di Biella ha aderito ufficialmente alla Marcia per la Vita che si terrà a Roma il prossimo 12 maggio.
La legalizzazione dell’interruzione di gravidanza non è altro che l’autorizzazione data all’uomo, con l’avallo della legge, a privare della vita l’uomo non nato e, dunque, nell’impossibilità di difendersi.
Un bimbo concepito nel seno della madre è un essere indifeso che invece attende di essere accolto e aiutato. Ma aiutata deve essere anche la donna. È lei infatti che paga il prezzo più elevato non solo per la maternità, ma ancor più per la distruzione di essa, cioè la soppressione della vita del bimbo concepito.
L’uomo non deve mai lasciarla sola e deve liberarla dalle intimidazioni del’ambiente che la circonda. Se viene aiutata dall’uomo la donna è capace persino di atti di eroismo. E se viene lasciata sola, in suo aiuto può correre un Dio che con un soffio nascosto può persino ridare vita al nascituro che si tenta di uccidere.
È questo uno dei tanti messaggi lanciati dalla statunitense Gianna Jessen, ospitata dal Movimento per la Vita di Biella la sera del 1° febbraio scorso, per una serata commovente e appassionata. ZENIT era presente in mezzo a una platea numerosissima di circa 800 persone. Spiegano gli organizzatori che l’obiettivo del convegno è quello di smuovere le acque nell’indifferenza generale che la nostra società attua nei confronti del non nato: Gianna, a cui è liberamente ispirato il film October baby, è sopravvissuta a un tentativo di aborto salino compiuto in America al settimo mese e mezzo di gravidanza. La sua storia è però anche un’occasione per contestare la cultura della morte tout court, per dichiarare la difesa della vita fin dal suo concepimento nel grembo materno.
Abbiamo conosciuto Gianna due anni fa, quando, davanti al Congresso degli Stati Uniti d’America, ha testimoniato con grinta e anticonformismo la propria esperienza. Ci si aspetta nella serata di Biella lo stesso entusiasmo anticonvenzionale, che non si fa attendere: «Ciao! Credo nell’essere completamente se stessi perché questo è il modo più libero di vivere: non è facile ma è più interessante. Nella Bibbia si legge più volte che la paura che l’uomo prova è una trappola: io a volte ho paura ma tento di andare avanti». Con questa introduzione, Gianna spiega da subito di avere 35 anni e una paralisi cerebrale; racconta di sé alternando fatti a considerazioni personali: «i medici dicevano che non sarei mai riuscita a tenere su la testa o a gattonare: amo servire un Dio che ancora oggi fa camminare gli zoppi!».
Racconta della paradossale dinamica in cui è nata: «l’aborto salino consiste nell’iniettare una soluzione che brucia il bambino, va ad accecarlo, lo soffoca ed entro 24 ore la madre partorisce un bambino morto: tranne che nel mio caso!». E con tono orgoglioso aggiunge: «Io non sono morta!». Di fronte agli applausi della gente sorride ed esclama: «Grazie! I’m happy too!».
Si rivolge innanzitutto agli scettici, questa piccola grande donna, dicendo di possedere le cartelle cliniche in cui è stato certificato che è «nata per aborto salino» e che sa chi è il suo medico abortista, in quanto ha dovuto firmare il suo certificato di nascita: «quella mattina il medico è arrivato in ritardo e l’infermiera è riuscita a salvarmi chiamando un’ambulanza. Lui mi avrebbe uccisa perché mi avrebbe considerato senza valore, ma Gesù la pensava diversamente e lo ha tenuto lontano».
Oggi, dopo tanti anni, la clinica in questione sta chiudendo i battenti. Il 5 agosto 2002, Bush firmò un atto per la protezione dei bambini: chi sopravvive all’aborto deve ricevere cure mediche. Obama ha votato contro questa legge. Mentre Gianna parla ci accorgiamo di quanto rifiuto d’amore abbia dovuto subire questa “bambina di Dio”, eppure ci sentiamo dire: «Non ho avuto un’adozione facile, ma non sopporto il pensiero vittimista, perché se mi penso come una vittima divento prima di tutto schiava internamente e poi sostengo la creazione di una cultura di vittime che iniziano a gridare per essere governate e dominate. La libertà a volte è considerata dall’uomo come una responsabilità troppo grande e la tirannia è in questo modo facilitata, ma questo è un inganno: siamo nati per essere liberi!».
Nella casa di affidamento, Gianna non è stata voluta e ha trascorso ore chiusa in una stanza, finché non è stata trasferita in un’altra casa: «dicevano che ero un peso morto, ma Penny (la mia nuova madre adottiva), cominciò a pregare e si occupò della mia fisioterapia per ben tre volte al giorno. Oggi zoppico e ogni tanto cado, ma con molta grazia». Il modo di porsi di Gianna ci trasmette simpatia: è brillante, ha un sorriso ricco di amore e un viso dolcissimo, e la sua lucidità mentale è travolgente: «le gambe che non funzionano sono un bellissimo deterrente per uomini che non valgono nulla!».
Il discorso sugli uomini si fa interessante: «Noi immaginiamo spesso Gesù quasi come un effemminato; lui è sì gentile e amorevole, ma è anche un guerriero! Non stava lì a supplicare le persone affinché lo ascoltassero, ma era coraggioso. Noi dobbiamo permettere ai nostri uomini di essere più uomini, creati per proteggere donne e bambini, non per usarci e abbandonarci». Ora Gianna si rivolge a loro direttamente: «Se tu, uomo, hai usato le donne e le hai maltrattate, non devi per forza essere quell’uomo ancora. Non è per questo che sei stato creato. Gli uomini veramente attraenti sono quelli coraggiosi e fedeli, quelli che combattono per ciò che è buono e giusto. Forse i tuoi esempi di uomo non sono stati così: tu puoi essere il primo fedele, che fa cambiare le cose in famiglia».
Dice poi al gentil sesso: «Mi azzardo a dire che troppe donne non sanno di essere degne di amore: forse nessuno ve lo ha detto prima, forse i vostri genitori vi hanno ignorato. Ma voi siete amate da Dio! Noi non siamo state create per implorare di essere amate, siamo già degne di amore». In questo momento ci vengono alla mente le parole di Isaia: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, Io invece non ti dimenticherò mai».
Si fa intensa Gianna, perché è il suo cuore che parla: «non ho mai avuto veramente un padre. Il mio padre adottivo era un architetto di successo, ma era assente. Così mi sono messa a mendicare amore in tutti i modi possibili. Se avete avuto una brutta relazione con vostro padre, forse prima di uscire con un uomo dovreste curarvi la ferita. Io ho fatto così e per cinque anni non sono uscita con nessun uomo».
Prosegue raccontando che un giorno decise di allenarsi per un anno intero per poter svolgere una maratona di circa 40 km, correndo sulle dita dei piedi: «Quando ho corso la gara mi sono resa conto di farlo perché desideravo che qualcuno mi riconoscesse, imploravo che qualcuno mi notasse. Quando zoppichi ti dicono continuamente che sei speciale» – lo ripete quattro volte («speciale, speciale, speciale, speciale!») – poi prosegue: «… ma sembri non essere abbastanza per essere amata». Dopo una pausa e un sospiro, riprende: «Ma io sono degna… tutte le donne sono degne di essere amate dell’amore più elevato, più alto, più appassionato! Nessun uomo può dirvi quello che dovete essere: solo Dio».
A parer suo, per dirsi tale, un uomo nei confronti della sua donna deve essere disposto a morire. «Io non voglio la mediocrità: voglio tutto ciò che Dio volesse avessi quando mi ha “progettata”. Le persone cercano di svergognarmi, ma io resisto perché non sono nata per vivere nella vergogna. Gesù è il mio Creatore e non mi fa vergognare di nessuno: la vergogna non guarisce, la Grazia sì». Dal pubblico qualcuno le domanda se non sente la necessità di ottenere giustizia: «ho perdonato mia madre perché una vita trascorsa nell’amarezza non è vita e voglio essere una vera cristiana. È stato pagato un prezzo da Gesù per l’ingiustizia: la grazia può essere data e lascio il resto a Dio». Qualcun altro le chiede come ha incontrato il Cristianesimo e lei risponde che l’ha conosciuto tramite l’amore della sua madre adottiva. Sull’aborto, spende ancora qualche parola: «È un’incredibile arroganza quando le persone in salute pensano che i più deboli e più vulnerabili non siano degni di valore e vorrebbero decidere per la loro vita e per la loro felicità». Continua: «spesso si sente dire che l’aborto è giusto e ammissibile nel caso di abusi e violenze, ma questi rappresentano solo l’1% dei casi e sono strumentalmente usati per giustificare gli altri 99%, che vengono invece praticati per convenienza».
Un consiglio che Gianna rivolge a noi italiani, dimostrando di conoscere a fondo anche certi nostri difetti, è questo: «Quando prendi posizione in favore della vita è importante farlo nell’unità, nonostante le differenze: lavorare insieme, non in modo separato. Questo è il motivo del grande successo del Movimento per la Vita in America». Tornando alle nostre case, oltre ad un sentimento di gratitudine, siamo sempre più convinti che, come mirabilmente spiegò Camus, «non essere amati è una semplice sfortuna; la vera disgrazia è non amare».
Fonte: Zenit.it
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