Giorgio Napolitano e il fallimento comunista

Ci fu un tempo che anche nelle nostre case si venerava l’immagine di Giuseppe Stalin, simbolo di un mondo nuovo che portava libertà e ricchezza al popolo. La storia ci ha poi rivelato che Stalin fu un tiranno da 100 milioni di morti, al servizio di un’ideologia fallita miseramente.

Giorgio Napolitano, il Presidente dal passato comunista, dalle pagine dell’Osservatore romano, ammette “la certificazione storica del fallimento del sistema comunista”. Non si può che essere d’accordo. Parlando di “utopia”, riferendosi alla dottrina e alla prassi comunista, non esita a riconoscergli una “rigidità e autosufficienza” proprie di un’ideologia militante. Riconosce anche un elemento fideistico, “un singolare – scrive – quanto spurio confronto con il fideismo religioso”.

Giorgio Napolitano riconosce ciò che il semplice buon senso delle nostre nonne aveva già individuato: il comunismo è stato una religione. Questa constatazione racchiude in sé molte più conseguenze di quelle che si potrebbero immaginare a prima vista.

L’uomo non può fare a meno di cercare un senso alla sua esistenza e manifesta la sua innata religiosità, ma quando la concentra su qualcosa di meramente terreno, per quanto nobile sia, finisce nell’utopia, un delirio di onnipotenza che pretende di ricreare la realtà a suo piacimento. La religiosità della “lotta di classe”, come liberazione dal male, è stato un tentativo di costruire un paradiso in terra che in realtà ha prodotto soltanto inferno.

Napolitano poi si chiede se “il fondamentalismo di mercato” debba essere l’unica alternativa al fallimento del comunismo. Su questo punto è utile riflettere. E’ possibile che un certo liberalismo relativista sia anche il frutto della rivoluzione marxista?

A questo proposito è celebre il punto di vista del filosofo Augusto Del Noce che, dopo la rivoluzione culturale degli anni ’60, parlava di “eterogenesi dei fini”: con Gramsci il risultato paradossale cui giunge il mondo comunista è quello di produrre un unico grande partito radicale di massa. Se è possibile individuare un crocevia in cui si incontrano liberalismo e comunismo è proprio il terreno scivoloso della rivoluzione sessuale degli anni ’60-70′: nell’ambito privato ogni concezione di vita è buona, purchè non sia pensata come verità che si impone come valore universale. Il seme di questo paradosso è già negli scritti di Marx ed Engels dove il principio del piacere si mostra come la vera bussola dell’agire, frutto di un concetto storicista dei principi morali.

Cantavano “Dio è morto” e questo deicidio lo praticavano nei focolari attaccando la famiglia, perchè Dio e famiglia sono baluardi contro ogni forma di utopia, richiamano al fatto che l’uomo può determinarsi, ma è anche determinato, è libero, ma non è onnipotente. L’attacco a Dio e alla famiglia vanno sempre di pari passo e lo vediamo oggi in cui “il partito radicale di massa” è una realtà concreta. Si vuol far credere di rendere l’uomo più libero, ma in realtà lo si rende più solo in balia del potere di turno. Si vuol far credere all’uomo di essere come Dio.

Se non c’è Dio, io sono Dio – scriveva Dovstojewski ne I demoni – allora vi sarà la vita nuova, l’uomo nuovo, tutto sarà nuovo.” La storia ci insegna che questo pensiero è molto pericoloso.

Curioso che lo stesso giorno in cui Napolitano ci donava le sue riflessioni, Massimo D’alema, parlando di Obama e del governo brasiliano di sinistra, abbia dichiarato: “Oggi il mondo torna a essere rosso”. Chissà, forse è solo perchè ama particolarmente quel colore. Speriamo.

(La Voce di Romagna, 10 febbraio 2013)

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