Mentre nelle discussioni televisive, giornalisti e politici disquisiscono sullo spread e sui temi economico-finanziari, rischiamo di dimenticare quei valori non negoziabili che dovrebbero essere al centro delle nostre scelte esistenziali. Aborto, eutanasia e soppressione dei disabili nel grembo materno sono solo alcune prove concrete della battaglia oggi in corso sulla dicotomia fra il dare e l’avere.
Siamo sempre posti di fronte ad una scelta ideale, ovvero decidere se felicità significa accumulare e pensare per sé, oppure – secondo la splendida espressione di Claudio Risè – “felicità è donarsi”. Quando l’anziano diventa un peso o riteniamo che una futura nascita non sia all’altezza dei nostri canoni (talvolta estetici!), possiamo decidere di rifiutare il sacrificio, il dono, la carità: diventiamo egoisti, secondo la logica dell’individualismo.
Anche la pubblicità è interamente orientata verso questa direzione: sottilmente ci spinge a credere che saremo felici, saremo considerati, belli e “in” solo se avremo fra le mani queltelefonino, quel vestito, quella macchina… Ma, ci dice il Signore: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano» (Mt 6, 19-21).
Dov’è il nostro tesoro? Dov’è il nostro cuore? Molto spesso il nostro è un “tesoro terreno”: il posto di lavoro, l’aspetto estetico, il divertimento, una vita senza particolari problemi, la salute, il consenso esterno, la stima degli altri, il denaro. Questi desideri, che di per sé possono anche essere buoni perché implicati con la ricerca di assoluto, possono però trasformarsi in idoli se investiamo in essi tutte le nostre aspettative, le nostre energie e il nostro tempo: beni non assoluti, inevitabilmente vengono assolutizzati dall’uomo. È possibile quindi che il sogno che stiamo inseguendo da tutta una vita sia un idolo, ovvero qualcosa che può venire rubato, distrutto: basta guardare onestamente alle nostre personali delusioni per accorgerci che ciò che difendiamo nuota nell’incertezza: la malattia può toglierci la salute, l’azienda può fallire, la moglie può lasciarti. L’idolo ci illude: ti illudi che quando avrai quella tal cosa, raggiungerai queltal obiettivo, quando avrai il lavoro, la fidanzata, i beni materiali… solo allora sarai felice.
Qual è il tuo tesoro? «Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore»: il nostro cuore spesso è “fuori di noi”! Si racconta che Sant’Antonio da Padova fu chiamato dai parenti di un defunto molto ricco per tenere l’elogio funebre. Il frate disse che il morto era stato in vita un avaro e un usuraio e aggiunse: «Andate a vedere nel suo scrigno e vi troverete il cuore». Il cuore fu realmente trovato fra denaro e gioielli, mentre il chirurgo che aprì il petto del cadavere lo trovò sprovvisto.
Molti sono i versetti nella Bibbia che rimandano al binomio dono-possesso, dare-avere: «Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano» (Lc 12, 33-34); dobbiamo stimare «come polvere l’oro» (Gb 22, 24-26), capire che la vera ricchezza non è esteriore ma interiore, in quanto il vero capitale del cristiano è «fare del bene, arricchirsi di opere buone, essere pronti a dare, essere generosi» (1Tim 6, 19). Nel nostro forziere abbiamo “monete autentiche”? Il nostro è un arricchimento spirituale? Nella parabola (Lc 12,13-21) Gesù afferma: «Anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni […] Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita», o ancora: «tu dici: “sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla”, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo» (Ap 3, 17-20).
Abbiamo accumulato tesori per noi stessi o ci siamo arricchiti davanti a Dio? Spesso ci contraddistingue la tentazione di accumulare, di prendere e non di dare, mentre carità significa uscire da se stessi. Non si può ottenere l’amore cercando di possederlo, ma donandolo: si trova l’amore quando il nostro tesoro è l’amore, quando il nostro cuore stesso è amore. Se stai investendo in qualcosa che non può durare, decidi di non consegnare la tua vita a un idolo («Non avrai altri dei di fronte a me!»); non dedicarti in modo sbagliato a dei beni che ti possono esser portati via in qualsiasi momento. Coltiva i tuoi desideri, che sono legittimi, ma non renderli motivazioni esistenziali.
Se il nostro tesoro è l’amore, qualcosa che – invece di possedere – doniamo, allora niente sarà perso! Il tesoro “alla Gollum” ti si sfalda tra le mani, come la bellezza, che con gli anni sfiorisce, mentre l’anima può restare bella e il vero tesoro nessuno può portartelo via: pensiamo a Giovannino Guareschi, libero nell’anima anche se prigioniero nel lager, o ancor prima pensiamo a Socrate! Questi testimoni, per citarne solo due fra i tanti, hanno saputo fissare lo sguardo sulle cose invisibili (2 Cor 4, 18), come ci insegna anche Antoine de Saint-Exupéry: «L’essenziale è invisibile agli occhi». Dopo aver deciso di lasciare il nostro attaccamento ai beni materiali, fidiamoci di Gesù e diamoci totalmente a Lui: «Vieni e seguimi!». La speranza è «un’eredità che non si corrompe» (1Pt 1,3-5). Spostiamo il nostro attaccamento da qualcosa che è destinato a morire a qualcosa che vive in eterno: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno»! (Lc 21,29-33).