Morti di compassione

Quello dell’«omicidio misericordioso» – mercy killing in inglese – è un argomento molto usato dai sostenitori della legalizzazione di eutanasia e suicidio assistito. La strategia mediatica è chiara: presentare al grande pubblico casi pietosi, in cui la soppressione di un disabile o diun malato viene indicata come gesto di compassione, per porre più o meno esplicitamente una domanda: vogliamo davvero che questa persona continui a soffrire essendo illegale porre fine alla sua esistenza?

E’quanto accaduto nel programma tv «Dr.Phil Show», in onda negli Stati Uniti. Il 13 aprile è stata raccontata la storia della madre di due figli affetti dalla sindrome di Sanfilippo, rara malattia genetica che causa grave disabilità. «Pietà o omicidio?» ci si è chiesti, con la madre che reclamava il diritto di morire per i propri figli i quali a suo dire, «se fossero capaci di prendere una decisione sulla propria vita opterebbero per il suicidio».

Storia analoga ha avuto risalto mediatico nel Regno Unito: la moglie del 57enne Tony Nicklinson, con sindrome Locked-in, sta chiedendo il suicidio assistito per il marito. «Stiamo chiedendo che diventi legale porre fine alla propria vita – ha affermato la donna alla Bbc –. L’unico modo per alleviare le sofferenze di Tony è ucciderlo. Non c’ènient’altro che possa essere fatto per lui». L’Alta Corte britannica ha stabilito che la famiglia Nicklinson può percorrere le vie legali su due fronti: chiedere che chi collaborerà al suicidio dell’uomo non venga perseguito e ottenere che, in base all’articolo 8 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, il diritto al suicidio assistito sia riconosciuto come forma di rispetto della propria vita privata.

La realtà del suicidio assistito dice però che quando si parte da casi particolari, facendo intendere che ci si vuole fermare lì, il rischio è di trovarsi con un fenomeno fuori controllo. A fine marzo sono stati resi noti in Svizzera i dati sul suicidio assistito (tollerato dalla legge): si è passati dai 43 casi del 1998 ai 300 del 2011. Altrettanto preoccupanti i numeri che giungono dall’Oregon, dove il suicidio assistito è legale dal 1998: il primo anno si sono registrate 16 morti a fronte di 24 prescrizioni di sostanze letali; nel 2011 le morti sono state 71 con 114 prescrizioni; quasi 600 le morti complessive dal 1998 ad oggi. L’Associazione dei medici per le cure palliative (Pccef) ha fatto notare come alcuni medici abbiano acconsentito al suicidio dei pazienti pur essendo venuti a conoscenza dei loro casi solo da una settimana.

Da Avvenire, 19 aprile 2012

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