La leggerezza profonda di La Capria

 

Ho due ottime ragioni per sperare che non eseguano mai – e se l’hanno già effettuato che lo cestinino subito – un sondaggio per valutare chi sia, tra i viventi, lo scrittore napoletano più celebre in Italia. La prima è che temo, anzi sono certo che le risposte convergerebbero sul nome di Roberto Saviano, sulla cui statura letteraria nutro parecchie riserve. La seconda è che emergerebbe quanto poco noto sia ancora, a dispetto dei novant’anni che compirà ad ottobre, Raffaele La Capria. Uno che non soltanto, dallo Strega al Campiello, ha raccolto tutti i premi letterari che contano, ma che è pure capace di autentico anticonformismo. Ne ho avuto conferma leggendo il suo recente Esercizi superficiali (Mondadori, 2012), una raccolta di interventi di letteratura e di attualità, con i quali La Capria spazia tra le vette della cultura e l’immondizia che deturpa la sua amata Napoli, della quale non manca di piangere il declino.

Complessivamente sono molti, a mio avviso, i meriti intellettuali di questo autore resi evidenti dal libro. Primo fra tutti l’essere riuscito a tessere un elogio dell’Italia privo di retorica filo-risorgimentale (è assente, per dire, ogni riferimento a Garibaldi) e volto a ringraziare quelli che hanno davvero unito la penisola «innalzando cupole e chiese, inventando l’opera buffa e il melodramma». Memorabile, in proposito, è la replica di La Capria al prototipo – ahinoi sempre più diffuso – di colui si vergogna di essere italiano, al quale prima chiede conto di questo atteggiamento («Ti vergogni di Leonardo, ti vergogni di Michelangelo? Di Caravaggio? Ti vergogni di Dante e di Petrarca, dell’Ariosto e di Leopardi? Di Galileo, di Vico, di Machiavelli?») e poi dà, in riferimento all’Italia, un consiglio molto pratico: «Datti da fare per migliorarla. Ma non dire che ti vergogni di essere italiano, perché così non la migliori, e sicuramente la peggiori» (p.53).

Decisamente in controtendenza è anche la critica che La Capria muove alla satira italiana, che accusa di essere appiattita sull’antiberlusconismo, con la prevedibile conseguenza di essersi tradita divenendo «sempre uguale a sé stessa» e generando «noia o assuefazione» dato che «non c’è niente di peggio in questi casi che la prevedibilità» (p. 87). Ma il meglio, quanto ad anticonformismo, La Capria lo esprime quando si associa alla critica della cultura del relativismo e, incurante dei rischi che questo comporta, denuncia i pericoli del confronto culturale con l’Islam – incluso quello moderato «che c’è ma non si manifesta abbastanza» (p.112) – da parte di un mondo dove si è persa «la dovuta sacralità» nei confronti dei principi e dei valori.

Non manca neppure, nel libro, una critica all’eutanasia vibrata contro la folle proposta che Martin Amis ha avanzato pensando a coloro che si accingono a compiere settant’anni («Dovrebbe esserci una cabina a ogni angolo di strada, dove se hai l’età giusta puoi prenderti un Martini e la pillola della buona morte»), alla quale il Nostro risponde per le rime: «Caro Martin Amis, bevilo tu, se così ti piace, il tuo cocktail mortifero. Se lo avessi bevuto io non avrei scritto tre o quattro libri che mi hanno dato qualche soddisfazione, non sarei stato tante volte felice, di una felicità diversa e più pacata anche quando molte ombre l’attraversavano» (pp. 148-149).

Attenzione però a non trasformare questo straordinario scrittore in un militante. Le sue critiche, sia pure acute e condivisibili, non lo distraggono mai – come si evince benissimo in Esercizi superficiali – dal suo mondo fatto di cultura, di nostalgia per la Roma degli anni ’50 e dei caffè frequentati da scrittori, divi e artisti oggi scomparsi, di meraviglia infinita per quella cupola stellata sempre uguale e sempre diversa. Che spinge La Capria a rifiutare la spocchia degli eruditi per mescolarsi con fierezza tra «gli umili» ed «i semplici», coloro che in una notte stellata preferiscono non farsi troppe domande, «ma pregano e si mettono nelle mani di Dio» (p. 162). Ho appena terminato questo libro ed ho già la tentazione di rileggerlo.

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