Una televisione migliore? Si può. E si deve

Una pietanza disgustosa, se fosse servita ai tavoli d’un ristorante, manderebbe su tutte le furie i clienti del locale. I quali, nella migliore delle ipotesi, pagherebbero il conto e se ne andrebbero sbattendo la porta. Per evitare che ciò accada, ogni ristoratore cerca di offrire il meglio della propria cucina. La stessa regola, stranamente, non sembra valere per la televisione, dove il buon gusto è ormai una chimera; volgarità, battute di dubbio gusto e persino bestemmie, come dimostra questa edizione del Grande Fratello, non sono più, infatti, l’eccezione, bensì la regola del regno catodico. E’ una degenerazione in corso da anni, si può obiettare. Vero. Il punto è che oggi il pubblico televisivo, purtroppo, somiglia sempre meno ai clienti del nostro ipotetico ristorante, nel senso che sta progressivamente perdendo capacità critica.

Non si spiegherebbe, altrimenti, perché si tollera un simile degrado, perché ci si accontenta di satira così triviale, perché non ci si indigna più nemmeno per una bestemmia e s’acconsente a che il concorrente di un gioco, com’è accaduto recentemente al citato Grande Fratello, possa essere riammesso in seguito ad un televoto; come se l’oltraggio a Dio fosse condonabile previo consenso del pubblico.  Tengo a precisare che qui non si tratta di stigmatizzare Mediaset più della Rai, o la Rai più di La7. Stiamo parlando di un’epidemia trasversale che, ormai da anni, ammorba tutta la nostra televisione. E non solo la nostra, se pensiamo che gran parte delle trasmissioni – soprattutto le più idiote – è stata prima testata, con successo, all’estero. Si ripete spesso che la responsabilità di questo scempio sarebbe della legge degli ascolti, la sola ancora vigente nell’universo televisivo.

E’ vero solo in parte: recentemente sono stati ri-trasmessi, sulle reti nazionali, Biancaneve e Cenerentola – cartoni animati rispettivamente del 1937 e del 1950 – e hanno fatto, come si usa dire, il boom di ascolti. Anche supponendo fossero ascolti di un pubblico in prevalenza giovane, si tratta comunque di un piccolo grande segnale che fa capire come le papille gustative del pubblico, nonostante tutto, funzionino ancora. Sicuramente meno di dieci o venti anni fa, ma si distingue ancora, grazie a Dio, il dolce dall’amaro, il gradevole dal deludente. E allora perché non scommettere non dico sulla cultura – sarebbe chiedere troppo, soprattutto oggi-, ma almeno sull’intrattenimento intelligente, su comicità più raffinata, sul ripristino del buon gusto? Costerebbe poco, e si guadagnerebbe molto.

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