Ogni anno in Cina migliaia di persone, donne, uomini e bambini, sono condannate a morte mediante fucilazione e decine di migliaia di cittadini, che forse sarebbe più corretto definire sudditi, sono incarcerati in campi di concentramento sparsi per tutto il Paese, i Laogai. Il tutto nel quasi totale silenzio degli organi di informazione mondiali e del mondo politico. Di questa realtà, così poco nota al grande pubblico, si è parlato nel corso di una vibrante e affollata conferenza organizzata venerdì 18 aprile da “Libertà e Persona” dal titolo: “I laogai, le esecuzioni capitali e la vendita degli organi nella Cina del terzo millennio”. Relatore il dott. Toni Brandi, presidente della “Laogai Research Foundation Italia”, associazione fondata nel 2005, con lo scopo di informare l’opinione pubblica sui laogai, sulle terribili condizioni di vita dei detenuti e sulle tragedie che al loro interno si consumano. Nell’introduzione ho voluto dedicare l’incontro a tutte le persone che nel mondo si battono per la ricerca della verità, e della libertà. Proprio partendo dalla rivolta per la libertà del popolo tibetano contro la tirannia cinese è iniziato il resoconto sulla situazione attuale della politica di Pechino, sottolineando insieme al relatore, che la lotta dei martiri tibetani è la stessa dei cristiani del Darfur, dei monaci birmani e di tutti i popoli che non vogliono rinunciare alle proprie tradizioni e ai loro valori morali e religiosi, in una parola alla propria identità. Ciò che oggi succede in Tibet dimostra ancora una volta l’arroganza del governo di Pechino e l’impotenza e l’ipocrisia di molti governi occidentali e dell’ONU, il cui Segretario generale ha annunciato che non sarà presente alla cerimonia di apertura dei Giochi olimpici “a causa di impegni precedentemente presi”! Nessun riferimento alla sanguinosa repressione in corso nel Tibet. Eppure vi è un risvolto nel dramma tibetano, che il mondo cosiddetto libero, deve saper cogliere e portare a conoscenza dell’opinione pubblica: finalmente la Cina è messa sotto la lente d’ingrandimento e, seppur a fatica, emergono i misfatti di un regime sanguinario che ha fatto di tutto per nascondere, utilizzando le Olimpiadi come vetrina luccicante e gaudente. Ma sotto il trucco, si cominciano a scorgere le rughe e le crepe di una realtà ben diversa. In Cina si può essere condannati a morte sulla base di ben sessantotto reati, dalla truffa alla frode fiscale, in base alla proprio credo religioso. Il tutto deciso da tribunale in cui l’accusato non ha praticamente alcuna possibilità di difendersi e dove, in occasione di accuse per reati politici o religiosi, anche qualche coraggioso avvocato difensore sparisce nel nulla o viene rinchiuso per anni in un laogai.
Il termine Laogai è l’acronimo cinese di LAODONG GAIZAO DUI, che significa letteralmente “riforma attraverso il lavoro”; questi campi di concentramento, spesso mascherati come fabbriche o impresa commerciale, furono istituiti nel 1950 da Mao Zedong, il quale sosteneva che era necessario rinchiudere gli oppositori al fine di lavare loro il cervello e trovare forza lavoro a costo zero. Ufficialmente oggi vi sono in tutto il territorio della Repubblica Popolare Cinese oltre mille laogai. A partire dal 1984 a tragedia si somma tragedia: da quell’anno, infatti, il regime comunista avvalla una vergognosa tratta degli organi che vengono estirpati dai corpi dei condannati a morte nei campi. Inizia un mercato, legale secondo le leggi cinesi, che di anno in anno vede aumentare le condanne a morte in base all’aumento delle richieste di organi da trapiantare che provengono non solo da chi in Cina può permettersi l’operazione di trapianto, ma anche dall’estero. Ad oggi si stima che il numero dei condannati a morte si aggiri tra gli 8.000 e i 10.000 all’anno. Il mercato degli organi viene valutato intorno ai 770 milioni di Euro; a beneficiarne sono il Partito Comunista Cinese, l’organizzazione ospedaliera e la polizia. Sono soltanto stime, in quanto in Cina vi sono milioni di persone “senza nome”, mai registrate all’anagrafe, le quali, se fermate per un controllo, vengono quasi sempre condannate per vagabondaggio e fatte sparire nel laogai, dove serviranno come miniera di organi, una miniera praticamente inesauribile. Il mercato degli organi è talmente florido che i dirigenti cinesi stanno cambiando anche le modalità di esecuzione capitale: non più con una pallottola alla nuca, il cui costo, per un perverso e crudele cinismo, viene addebitato ai congiunti quando sono reperibili, ma mediante iniezione letale; in tal modo non si rischia di compromettere alcun organo. Questa è la quotidianità negli oltre 600 ospedali cinesi in cui si pratica l’estrazione degli organi dai condannati a morte. Ma la Cina non è solo questo: è un Paese in cui le catastrofi ambientali non si contano; dove l’inquinamento nelle città è a livelli decine di volte superiori alla media occidentale, tanto è vero che qualche atleta chiede di spostare alcune competizioni dei Giochi olimpici lontano da Pechino. La Cina è anche i Paese dove ogni anno si contano 130.000 morti sul lavoro: queste sono cifre ufficiali del governo e, conoscendo la “limpidezza” delle fonti di informazione, si può presumere che il numero sia almeno da aumentare di cinque o sei volte! La Cina è il Paese che lo scorso anno ha aumentato le spese militari del 18% senza che nessun governo occidentale abbia minacciato un embargo o una qualche misura di protesta; silenzio totale anche da parte dell’ONU. Sembra trascorso un secolo dalla rivolta dei giovani cinesi in Piazza Tienanmen a Pechino, che suscitò scalpore e sdegno in tutto il mondo; da allora vi sono rivolte in tutto il Paese, tanto che nel 2005 ne sono state registrate oltre 87.000, 238 al giorno! Perché è calato il silenzio? Perché si tace sull’importazione di merci a basso costo che stanno distruggendo l’economia europea e non si denuncia che moltissimi prodotti sono fabbricati da prigionieri dei laogai? E’ arrivato il momento in cui ogni persona libera, indipendentemente dal suo credo politico, si mobiliti per contrastare e denunciare questa situazione. Da parte nostra continueremo a seguire le vicende legate al Tibet e alla lotta per la libertà in tutta la Cina, a cominciare da quella religiosa. Nell’introduzione al libro della Laogai Research Foundation “Cina, traffici di morte” (Ed. Guerini e Associati) vi è una citazione straordinariamente attuale dello statista cattolico irlandese del XVIII secolo, Edmund Burke che recita: “Perché il male trionfi è sufficiente che gli uomini buoni non facciano nulla”. ____________________________________________________________________________________ Di seguito alcuni spunti che la Laogai Research Foundation Italia fornisce per iniziare una piccola, ma significativa testimonianza, perché come ricorda il presidente Brandi, una goccia può sembrare non valere nulla, ma tante gocce fanno un oceano.
Che si può fare?
1. Inviare fax di protesta all’ ambasciatore cinese a Roma, Mr Dong Jinyi: Fax 06 8413467 chiedendo la chiusura dei Laogai, notizie dei detenuti e libertà in Tibet.
2. Leggere le ultime notizie su www.asianews.it, www.dossiertibet.it , www.laogai.org e www.tibetanuprising.com e diffonderle in qualsiasi maniera
3. Chiedere ai media di NON smettere di scrivere riguardo ai crimini dei comunisti cinesi, soprattutto lavorare sulla stampa, radio e tv locali
4. Sottoscrivere petizioni come http://www.avaaz.org/en/ 1,4M in 7 7 gg !! e http://www.getup.org.au/campaign/StandUpForTibet&id=316 e http://www.avaaz.org/en/tibet_report_back/5.php?cl=69597516
5. Partecipare alle manifestazioni di protesta od organizzarne altre (veglie e/o presidi pacifici) e commentare sui blogs.
6. Protestare con Jacque Rogge (IOC chairman) – Fax: 00 41.21 621 62 16 http://www.olympic.org/uk/organisation/ioc/index_uk.asp
7. Scrivere al segretariogenerale@coni.it all’attenzione del Presidente del Comitato Olimpico Nazionale sig. Gianni Petrucci
8. Boicottare gli sponsors delle Olimpiadi, non bevete Coca Cola, non usate VISA Cards, non mangiate Mc Donalds e dite perchè vi rifiutate di farlo… ……….. ecco la lista degli sponsors dei giochi olimpici: http://en.beijing2008.cn/90/53/column211995390.shtml
9. Non comprate prodotti cinesi e spiegate perchè non lo fate 10. Denunciare e protestare contro i complici del regime capital – comunista cinese. Troppi fra i nostri giornalisti …….…