Piccola storia della pandemia: 1°, 2° e 3° puntata

di Giovanni Lazzaretti

Dal virus del 2015 al “paziente 1” mediatico

PRIMA PUNTATA

Sono già uscite diverse ricostruzioni delle vicende pandemiche, più o meno autorevoli. Tutte si basano, ovviamente, su documenti riservati, solidi e inusuali per il pubblico: senza questi è difficile pubblicare un libro vendibile.

In questi sedici mesi ho scritto sul covid molti articoli di molte pagine, ma realizzati sempre con l’impostazione mentale della “cronaca”, non della storia.

Non ho accesso a documenti riservati, ma solo a dati pubblici e ad articoli a disposizione di tutti. Mi sono chiesto se da questi dati “poveri” si può ugualmente costruire una storia della pandemia.

L’unica forza di questi dati poveri è la loro “rivendicabilità”: sono oggettini inoppugnabili, perché prodotti da “loro”, ossia da quella rete di politici, medici, scienziati, virologi, giornalisti, conduttori TV, che hanno gestito e gestiscono la pandemia.

Questa piccola storia si può fare. E troverà vigore in due frasi di Maurizio Blondet.

Il bibliofilo che parla con Blondet negli “Adelphi della dissoluzione” afferma che

«I giornali parlano di tutto, my friend. E’ questo il segreto della libera stampa: le informazioni non sono nascoste, sono coperte dal rumore di fondo. Non ci sono segreti, ci sono notizie insignificanti e altre no.»

E Blondet scrive, in non so quale articolo,

«Quasi tutte le persone SENZA POTERE sono in grado, applicandosi, di scoprire la verità».

Se per caso vi è sfuggito, io non sono nessuno.

Non ricevo euro dallo scrivere, né fama, né valanghe di “mi piace”.

Ricevo qualche isolato apprezzamento, questo sì. Ma non sarebbe sufficiente per farmi lavorare, se non fosse che la verità mi interessa in quanto tale.

Poiché i giornali parlano di tutto, capita che agli “editori responsabili” scappino fuori ogni tanto anche delle notizie importanti e vere. E poiché io sono SENZA POTERE sono in grado, applicandomi, di pescarle, archiviarle, utilizzarle.

L’inizio della storia

La storia della pandemia covid che stiamo vivendo richiederebbe probabilmente di risalire ai tempi della SARS. Ma poiché questa è una piccola storia senza pretese, mi accontento di partire dal 2015, punto certo e inequivocabile.

TGR Leonardo mette in onda il 16 novembre 2015 un breve servizio che inizia con questo preambolo.

«E’ un esperimento, certo, ma preoccupa tanti scienziati. Un gruppo di ricercatori cinesi innesta una proteina presa dai pipistrelli sul virus della SARS ricavato da topi. E ne esce un supervirus che potrebbe colpire l’uomo».

«Resta chiuso nei laboratori. Serve solo per motivi di studio. Ma vale la pena correre il rischio, creare una minaccia così grande solo per poterla esaminare?»

Poi parte il servizio, a firma di Maurizio Menicucci.

«Vecchio quanto la scienza il dibattito sui rischi della ricerca. In fondo è il mito di Icaro che cade per avere sfiorato il sole con le ali di cera progettate dal padre Dedalo. Lo rilancia un esperimento realizzato in Cina, dove un gruppo di studiosi è riuscito a sviluppare una chimera, un organismo modificato innestando la proteina superficiale di un coronavirus trovato nei pipistrelli della specie piuttosto comune (detta “naso a ferro di cavallo”), su un virus che provoca la SARS (anche se in forma non mortale) nei topi.»

«Si sospettava che la proteina potesse rendere l’ibrido adatto a colpire l’uomo, e l’esperimento l’ha confermato. E’ proprio questa molecola, detta SHCO14, che permette al coronavirus di attaccarsi alle nostre cellule respiratorie, scatenando la sindrome. Secondo i ricercatori inoltre l’organismo, quello originale, e a maggior ragione quello ingegnerizzato, può contagiare l’uomo direttamente dai pipistrelli, senza passare da una specie intermedia come il topo.»

«Ed è appunto questa eventualità a sollevare molte polemiche. Proprio un anno fa il governo USA aveva sospeso i finanziamenti alle ricerche che puntavano a rendere i virus più contagiosi ma la moratoria non aveva fermato il lavoro dei cinesi sulla SARS che era già in fase avanzata e si riteneva non così pericoloso. Secondo una parte del mondo scientifico infatti non lo è: le probabilità che il virus passi alla nostra specie sarebbero irrilevanti rispetto ai benefici.»

«Un ragionamento che molti altri esperti bocciano. Primo, perché il rapporto tra rischio e beneficio è difficile da valutare, e poi perché specie di questi tempi è più prudente non mettere in circolazione organismi che possano sfuggire o essere sottratti al controllo dei laboratori.»

Il servizio del TGR Leonardo torna fuori nel marzo 2020 e muove un (mini) polverone.

Dalla pagina Facebook di Salvini «Da TGR Leonardo del 16.11.2015 servizio su un supervirus polmonare Coronavirus creato dai cinesi con pipistrelli e topi, pericolosissimo per l’uomo. Dalla Lega interrogazione urgente al presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri».

Le smorzature sono immediate.

Burioni: «L’ultima scemenza è la derivazione del coronavirus da un esperimento di laboratorio. Tranquilli, è naturale al 100%, purtroppo».

Alessandro Casarin del TGR: «Il servizio del 16 novembre 2015 andato in onda nella rubrica Leonardo è tratto da una pubblicazione della rivista Nature. Proprio tre giorni fa la stessa rivista ha chiarito che il virus di cui parla il servizio, creato in laboratorio, non ha alcuna relazione con il virus naturale Covid-19».

Ilaria Capua: «Il Covid-19 è un virus che deriva dal serbatoio selvatico. Non sappiamo ancora quante specie animali abbia colpito prima di arrivare all’uomo. Vorrei dire ai complottisti che il codice a barre, la sequenza, di quel virus di cui si parla nel TGR Leonardo, è parte integrante della pubblicazione. Quindi se il Covid-19 fosse stato vicino a quel virus lo avremmo saputo subito il giorno dopo».

Vedete come si fa a modificare le notizie?

Ma quale era la notizia?

Quale era la notizia che ci dava il TGR Leonardo, 16.11.2015, riprendendola da Nature?

La notizia che ci dava era che in Cina, o meglio a Wuhan, meglio ancora a Wuhan con importanti connessioni internazionali, si realizzavano virus chimera tra coronavirus di pipistrelli e virus SARS di topi.

L’Istituto di virologia di Wuhan è un istituto di ricerca sulla virologia gestito dall’Accademia cinese delle scienze. Situato nel distretto di Jiangxia, Wuhan, Hubei, nel 2015 ha aperto il primo laboratorio di livello di biosicurezza 4 della Cina continentale. L’istituto ha forti legami con il Galveston National Laboratory negli Stati Uniti, il Centre International de Recherche en Infectiologie in Francia e il National Microbiology Laboratory in Canada. (Wikipedia)

Ora, non si può pensare che dopo il 2015 il laboratorio di Wuhan abbia cambiato vocazione. Ha, ovviamente, continuato nei suoi studi sulla realizzazione di virus chimera.

Affermare quindi che questo virus covid-19 non ha niente a che vedere col virus del 2015 non cancella il fatto che a Wuhan si producono virus. E quindi il covid, anche se non ha legami col virus 2015, potrebbe essere tranquillamente una nuova produzione di Wuhan.

E anche se Burioni afferma che è naturale al 100%, Wikipedia arriva al massimo ad affermare questo.

Nel dicembre 2019, casi di polmonite associati a un coronavirus sconosciuto sono stati segnalati alle autorità sanitarie di Wuhan. L’Istituto ha verificato il suo database di coronavirus e ha scoperto che il nuovo virus era identico al 96% a un campione prelevato dai suoi ricercatori dai pipistrelli ferro di cavallo nel sud-ovest della Cina.

Identico al 96% lascia intatta la possibilità che il restante 4% sia un innesto prelevato da altra specie.

E se l’OMS dichiara che ancora non è chiaro se la provenienza è il pipistrello o il pangolino, non dobbiamo pensare a pipistrelli nelle caverne o a pangolini abbarbicati alla base di un albero. E’ probabile invece che nel laboratorio di Wuhan adesso traffichino con pipistrelli e pangolini, invece che coi pipistrelli e topi del 2015.

E se vi dicono genericamente che è una zoonosi, rispondete pure «Certo. E il posto più probabile dove avvengono le zoonosi sono oggi i laboratori, non le caverne o i mercati del pesce».

E se vi dicono che per anni studenti cinesi sono stati mandati nelle caverne senza protezione a raccogliere merda di pipistrello, anche qui rispondete «Certo. Ma la merda non la portavano a casa, la portavano al laboratorio dove, com’è noto, si realizzano virus chimera dal 2015».

Che probabilità c’è che un evento pandemico mondiale avvenga con un virus naturale partendo proprio dallo stesso luogo dove c’è un laboratorio che crea dei virus innaturali?

Vedete voi.

Le polmoniti di Wuhan del dicembre 2019 sono le prime?

Tutti gli sforzi mediatici spingono per portare le polmoniti da covid-19 a dicembre, a Wuhan. Ma i fatti smentiscono questa forzatura.

«La biopsia di una paziente affetta da dermatosi, risalente al novembre 2019, ha mostrato la presenza del Covid-19. Sulla base dei dati in possesso dei ricercatori, la 24enne è dunque il nuovo “paziente 1” in Italia» (AGI Agenzia Italia)

«Il coronavirus circolava anche a Torino molto prima che all’ospedale per malattie infettive Amedeo di Savoia arrivasse, il 22 febbraio scorso, il paziente 1 torinese. Parecchi casi di polmonite interstiziale, con caratteristiche compatibili, a posteriori, con la sintomatologia del Covid-19 erano tuttavia stati riscontrati negli ospedali torinesi e milanesi. I campioni prelevati nei depuratori di centri urbani del nord Italia, sono stati utilizzati come “spia” della circolazione del virus nella popolazione». «I risultati, confermati nei due diversi laboratori con due differenti metodiche, hanno evidenziato presenza di Rna di Sars-Cov-2 nei campioni prelevati a Milano e Torino il 18/12/2019». (La Repubblica, Torino)

«Ottobre come data di un possibile focolaio non si può dimostrare – è la cautela di Paola Pedrini, segretario generale lombardo della Federazione italiana medici di medicina generale –. Ma sicuramente nei mesi precedenti all’emersione ufficiale dei contagi si erano registrate delle ondate anomale di malattie respiratorie, e in particolare di polmoniti, specie in alcune zone della Bergamasca. Perché si è sottovalutato? Dicembre e gennaio sono mesi che si sovrappongono a quelli delle classiche influenze, quindi in tanti sono stati portati a dare la colpa ai virus di stagione. Col senno di poi, quei casi si possono invece ricondurre all’emergenza che è in corso». (Avvenire)

Quindi il virus era in Italia da novembre certamente, forse da ottobre, e circolava liberamente a dicembre.

Se era in Italia a novembre, niente di strano che fosse in libera uscita a Wuhan durante i Giochi Mondiali Militari, 18-27 ottobre 2019.

Quindi l’incidente di Wuhan (dobbiamo chiamarlo incidente, non ci sono prove che il rilascio sia voluto) è databile a ottobre 2019, o prima. E quindi si avvicina pericolosamente a Fort Detrick.

Fort Detrick

Era una notizia del New York Times.

Deadly Germ Research Is Shut Down at Army Lab Over Safety Concerns. Problems with disposal of dangerous materials led the government to suspend research at the military’s leading biodefense center. (The New York Times, 5 agosto 2019)

A Fort Detrick c’è l’Istituto di Ricerca Medica sulle Malattie Infettive dell’Esercito degli Stati Uniti (USAMRIID). E’ un istituto di livello di biosicurezza 4, il più elevato.

La descrizione di Wikipedia su come è realizzato un laboratorio di livello di biosicurezza 4 è veramente rassicurante. Però, com’è noto, anche i protocolli più accurati sono gestiti da uomini, e gli incidenti possono capitare. Prendo da un articolo del novembre 2019 (pre-covid, e quindi articolo “tranquillo”)

The two breaches reported by USAMRIID to the CDC demonstrated a failure of the Army laboratory to “implement and maintain containment procedures sufficient to contain select agents or toxins” that were made by operations in biosafety level 3 and 4 laboratories, according to the report.

Del resto per arrivare a chiudere d’autorità questo laboratorio, la presenza di gravi incidenti è certa.

Questi laboratori di livello di biosicurezza 4 (non molti nel mondo) non dobbiamo poi pensarli come laboratori nazionali iper-protetti. Sono laboratori che hanno forme di collaborazione, collaborazioni nelle quali a volte il confine con lo spionaggio è sottile.

Fort Detrick ha scambi con Winnipeg, Canada. Scienziati cinesi lavorano o hanno lavorato a Winnipeg. Ci sono stati viaggi di statunitensi a Wuhan.

Manteniamoci nel vago, perché non si può fare altro. Ma nella certezza che qualcosa di brutto a Fort Detrick è successo di sicuro.

Wuhan diventa famosa

A dicembre Wuhan diventa famosa per le sue polmoniti atipiche. Ma diventa davvero universalmente nota quando il 23 gennaio 2020 Pechino manda Wuhan in lockdown.

Come sia stato davvero realizzato il lockdown a Wuhan non lo sapremo mai: dalla Cina esce solo ciò che il Partito Comunista cinese vuole che esca.

Hanno anche la tecnologia sufficiente per chiudere in casa una fetta degli abitanti di Wuhan e consentire solo a quella fetta le comunicazioni Internet con l’esterno, impedendole a tutti gli altri abitanti.

Fatto sta che il “set cinematografico del lockdown” viene metabolizzato dal mondo intero: «Se arriverà il covid, ci sarà il lockdown».

Intanto, mentre continuiamo a pensare al covid in Cina, sequenze del virus (dopo Torino e Milano) sono presenti nei campioni delle acque di scarico di Bologna, fin da gennaio.

«Le prime tracce sono di gennaio. Tracce di Covid-19. Le ha trovate l’Istituto Superiore di Sanità analizzando le acque di scarico di Bologna, raccolte prima che scoppiassero i primi contagi in Italia. I campioni prelevati in città presentano tracce di Coronavirus già dal 29 gennaio, risultati confermati in due diversi laboratori, con due differenti metodi». (Il Resto del Carlino)

Il 31 gennaio 2020 il nostro governo decreta lo stato di emergenza. Ma l’apparenza è quella di una cosa tranquilla e gestibile. Infatti tutto il febbraio 2020 è all’insegna della schizofrenia.

Lo schizofrenico febbraio 2020

Stato d’emergenza il 31 gennaio 2020, ma per tutto febbraio esponenti dell’area governativa

  • hanno fatto trasmettere in TV lo spot di Michele Mirabella del “non è affatto facile il contagio”
  • hanno fatto la campagna “abbraccia un cinese” (Nardella)
  • hanno fatto la campagna “Milano città aperta” (Sala)
  • hanno fatto l’aperitivo sui Navigli (Zingaretti) addirittura dopo che alcune regioni avevano chiuso le scuole.

Non sto a dire “avevano ragione, avevano torto”. Semplicemente lo stato d’emergenza + queste azioni indicano schizofrenia.

Del resto posso dare testimonianza di come la tranquillità fosse assoluta: il 22 febbraio 2020 ero in una bella tavolata col dottor Dario del San Mattia Apostolo. Baci e abbracci senza timori; unica anomalia la notizia che l’ospedale San Mattia Apostolo era stato messo in silenzio stampa.

Il 23 febbraio 2020 chiudono le scuole in una serie di regioni.

Era giustificato il panico del 23 febbraio 2020?

Guardando il “dopo”, certamente. Ma guardando il “prima” c’era solo il cosiddetto paziente 1, Mattia Maestri da Codogno.

Dieci comuni del lodigiano vanno in “zona rossa” e cominciano ad imitare Wuhan. L’11 marzo 2020, dopo una serie di limitazioni, siamo in lockdown nazionale.

Il “paziente1” mediatico

Il “paziente 1” è certamente un “paziente 1 mediatico”.

A meno che uno non ritenga attendibile che dal paziente 1 del 20 febbraio si passi ai 1000 morti del 12 marzo.

Il virus, come abbiamo visto, girava tranquillamente a Milano Torino Bologna tra dicembre e gennaio.

Cosa avrà fatto in tutto quel tempo? Se l’è chiesto di recente anche la dottoressa Gismondo in TV. Lei propende per l’ipotesi che abbia usato quel tempo per “incattivirsi”.

Non sto a contestare l’ipotesi. Diciamo che ce n’è un’altra. In tutto quel tempo ha fatto il virus, ha girato, ha contagiato, e, siccome i sintomi erano simili all’influenza, veniva curato come tale.

Il grosso dei casi si risolveva (la curva della mortalità dell’inverno 2019-2020 è stata insolitamente bassa) e solo ogni tanto ci scappava una “polmonite atipica” da ospedale.

Il “paziente 1 mediatico”, anche se non lo sa, agisce in sinergia con le comunicazioni ministeriali. Mentre gli ospedali vengono messi in silenzio stampa, il 22 febbraio 2020 arrivano “quelli della tachipirina”.

Tachipirina e vigile attesa

“Tachipirina e vigile attesa”. All’inizio non dissero esattamente così, il mantra della tachipirina + vigile attesa venne fuori dopo. Ma sostanzialmente dal Ministero della Salute dissero ai medici di non fare nulla perché col covid non c’era nulla da fare.

Il 22 febbraio è stata comunicata la circolazione di un nuovo coronavirus. Il Ministero della Salute ha mandato un’ordinanza a tutti noi medici del territorio, dicendoci sostanzialmente che eravamo di fronte a un nuovo virus, sconosciuto, per il quale non esisteva alcuna terapia.

La cosa paradossale è che fino a quel giorno avevamo gestito i medesimi pazienti con successo, senza affollare ospedali e terapie intensive; ma da quel momento si è deciso che tutto quello che avevamo fatto fino ad allora non poteva più funzionare. Non era più possibile un approccio clinico/terapeutico.

Noi, medici di Medicina generale, dovevamo da allora delegare al dipartimento di Sanità Pubblica, che non fa clinica, ma una sorveglianza di tipo epidemiologico; potevamo vedere i pazienti solamente se in possesso di mascherina FFP2, che io ho potuto ritirare all’ASL solo il 30 di marzo.

Ma c’è una cosa più grave. Nella circolare ministeriale, il Ministro della Sanità ci dava le seguenti indicazioni su come approcciarci ai malati: isolamento e riduzione dei contatti, uso dei vari DPI, disincentivazione delle iniziative di ricorso autonomo ai servizi sanitari, al pronto soccorso, al medico di medicina generale.

Dunque, le persone che stavano male erano isolate; e, cosa ancora più grave, il numero di pubblica utilità previsto non rispondeva. Tutti i pazienti lamentavano che non rispondeva nessuno; io stessa ho provato a chiamare il 1500 senza successo. Un ministro della salute che si accinge ad affrontare una emergenza sanitaria prevede che i numeri di pubblica utilità non rispondano?

In sintesi: le polmoniti atipiche non sono state più trattate con antibiotico, i pazienti lasciati soli, abbandonati a se stessi a domicilio. Ovviamente dopo 7-10 giorni, con la cascata di citochine e l’amplificazione del processo infiammatorio, arrivavano in ospedale in fin di vita. Poi, la ventilazione meccanica ha fatto il resto.

Io ho continuato a fare quello che ho sempre fatto, rischiando anche denunce per epidemia colposa, e non ho avuto né un decesso, né un ricovero in terapia intensiva. Ho parlato con una collega di Bergamo e un altro collega di Bologna, che hanno continuato a lavorare nel medesimo modo, e nessuno di noi ha avuto decessi e ricoveri in terapia intensiva.

(dottoressa Maria Grazia Dondini, medico di Medicina generale di Monterenzio, in provincia di Bologna).

Esagero a fidarmi di Maria Grazia Dondini da Monterenzio (BO)?

No, non esagero.

Perché è una dottoressa SENZA POTERE, per cui è in grado, applicandosi, di scoprire la verità.

Del resto i medici di Bardolino Canavese non parlano diversamente.

Diciamo meglio: tutti quelli che hanno continuato a curare gli ammalati, rischiando in proprio, ci raccontano le stesse cose.

Riepilogando

Autunno 2015. Viene annunciata la produzione di un supervirus a Wuhan, con proteina tratta da pipistrelli e innestata nel virus SARS dei topi.

Luglio-agosto 2019. Incidenti nel laboratorio (livello di biosicurezza 4) di Fort Detrick, USA. Viene disposta la chiusura per mesi.

Settembre 2019. Probabile periodo dell’incidente cinese a Wuhan. Se connesso a Fort Detrick, lo sa solo Dio. (*)

18-27 ottobre 2019. Giochi Mondiali Militari a Wuhan, possibile fonte di diffusione internazionale del virus. Una mappatura di dove risiedevano gli atleti italiani tornati da Wuhan sarebbe molto interessante, per chiarire o per spegnere l’ipotesi.

Novembre 2019. Primo caso accertato in Italia (accertato a posteriori; il primo caso “mediatico” è del 20 febbraio 2020).

Dicembre 2019. Prime polmoniti “ufficiali” da covid a Wuhan.

Dicembre 2019. Il covid è presente nelle acque di scarico a Milano e Torino.

Gennaio 2020. Il covid è presente nelle acque di scarico a Bologna.

23 gennaio 2020. Lockdown di Wuhan, vita reale & set cinematografico per diffondere la cultura del lockdown nel mondo.

31 gennaio 2020. Instaurazione dello stato d’emergenza in Italia.

Febbraio 2020. Il febbraio schizofrenico italiano. In segreto tutti si preparano per il disastro, in pubblico tutto continua a girare come se niente fosse.

20 febbraio 2020. Appare il “paziente 1 mediatico” con conseguenti assaggi di zona rossa. In realtà, come abbiamo visto, il virus circola in Italia da 4 mesi circa.

22 febbraio 2020. La circolare ministeriale taglia i ponti tra i medici di famiglia e gli ammalati. Tranne i medici coraggiosi che sfidano il ministero e continuano a curare, gli ammalati sono abbandonati a se stessi in attesa dell’ospedalizzazione e, spesso, della morte.

23 febbraio 2020. Annuncio della chiusura delle scuole in alcune regioni.

11 marzo 2020. Siamo in lockdown nazionale.

12 marzo 2020. Siamo a 1000 morti. Non certo per colpa del “paziente 1” di Codogno.

NOTA

(*) Lo sa solo Dio, e quindi tutte le ipotesi di connessione Fort Detrick – Wuhan che potete leggere in giro sono frutto di fantasia e non dimostrabili. Sono sceneggiature da film, per intenderci. Privatamente ne posso fornire alcune.

Fonte: Osservatorio Internazionale Card. Van Thuân

SECONDA PUNTATA

Piccola storia della pandemia. La trappola

di Giovanni Lazzaretti

Abbiamo visto nella prima puntata come il “paziente 1” del 20 febbraio sia stato semplicemente il “paziente 1 mediatico”, che ha dato il via all’esplosione dell’epidemia.

L’esplosione dei numeri non è però avvenuta a sua opera: il 12 marzo si superano i 1000 morti, con 1.153 in intensiva e 6.650 in ospedale, ma il motivo è legato ad altri fattori, non al “paziente 1 mediatico”.

Il virus era certamente nelle acque di scarico di Milano e Torino il 18.12.2019 e certamente nelle acque di scarico di Bologna il 29.01.2020.

Queste sono le date limite che ci fanno dire tranquillamente: virus al lavoro nell’Italia nord-occidentale da dicembre (o prima), virus al lavoro nell’Italia nord-orientale da gennaio (o prima).

Il “paziente 1 mediatico” monopolizza l’attenzione e lascia nascosti in sottofondo due passaggi:

  • le comunicazioni ministeriali del 22 febbraio 2020 ai medici di Medicina Generale che bloccavano ogni approccio clinico/terapeutico e chiedevano di delegare tutto al dipartimento di Sanità Pubblica (dove non c’è clinica, ma solo sorveglianza di tipo epidemiologico); i medici potevano vedere i pazienti solo se in possesso di mascherina FFP2 (arrivate di fatto, per molti di loro, a fine marzo);
  • il silenzio stampa degli ospedali, che viene imposto il 22 febbraio 2020, o poco prima; l’ospedale parlerà con l’unica voce di un designato, e qualunque altra voce alternativa sul covid risulterà morta in partenza.

L’invasione dei virologi

Poco prima dell’arrivo del “paziente 1 mediatico” avviene in TV l’invasione dei virologi, epidemiologi, e quant’altro.

E qui, credo di averlo già detto, posso appiccicarmi sulla fronte la parola FESSO (scritta alla rovescia, così la vedo bene allo specchio). Con la mia propensione a credere nell’onestà altrui ho creduto che conduttori in buona fede, sconcertati da un evento improvviso e sconosciuto, avessero cercato affannosamente delle voci idonee da proporre in TV.

Ma ricordiamoci il silenzio stampa degli ospedali.

E ricordiamoci che virologi & c. stanno costituendo da 17 mesi una sorta di “format mobile in carne e ossa” su tutte le TV italiane.

La cosa deve quindi essere andata un po’ diversamente:

  • sono state scelte delle voci,
  • sono stati messi in silenzio stampa gli ospedali,
  • quelle voci hanno formato la colonna sonora permanente e mobile del covid,
  • i conduttori hanno potuto “scegliere” in una lista di nomi in cui la scelta di fatto non esisteva.

Miscelati virologi & c. con giornalisti della carta stampata, con politici, amministratori, e opinionisti vari, da 17 mesi in TV danno l’impressione di fare trasmissioni diverse, mentre è semplicemente la stessa trasmissione che si ripete eternamente (a oggi io salvo solo Mario Giordano, che ha fatto onore, da un certo momento in poi, al titolo della sua trasmissione “Fuori dal coro”).

Cosa hanno in comune le “voci medico-mediatiche del covid”?

Dovete immaginare di osservare un fiume localmente: potrete vedere anse, cascate, correnti, esondazioni, gorghi, isolette, mulinelli, onde, risucchi, vortici,…

Ma se pensate che queste siano l’essenza del fiume, vi sbagliate. Qualunque turbativa non fermerà la “vocazione” del fiume: portare l’acqua al mare, o a un lago.

Fuor di metafora. Potete aver visto virologi & c. discutere tra loro, discutere con se stessi (affermando prima una cosa e poi il suo contrario), contestare certi provvedimenti governativi, ma tutti non hanno deviato di un millimetro dalla loro vocazione: portare il popolo a desiderare il vaccino.

«Il covid non ha cure, solo il vaccino ci salverà».

Nessuno ha vietato le autopsie, perbacco!

Tagliati i ponti tra gli ammalati e i medici di famiglia, silenziate preventivamente le voci dei cercatori di verità negli ospedali, la terza cosa che è stata fatta è “normare le autopsie”.

Per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di COVID-19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio. (Ministero della Salute)

“Non si dovrebbe”. Non è un divieto, perbacco! E’ un caldo consiglio.

Poi, se proprio le si vogliono fare, si passa alla metodologia.

Le autopsie e i riscontri possono essere effettuate solo in quelle sale settorie che garantiscano condizioni di massima sicurezza e protezione infettivologica per operatori ed ambienti di lavoro: sale BSL3, ovvero con adeguato sistema di aerazione, cioè un sistema con minimo di 6 e un massimo di 12 ricambi aria per ora, pressione negativa rispetto alle aree adiacenti, e fuoriuscita di aria direttamente all’esterno della struttura stessa o attraverso filtri HEPA, se l’aria ricircola. (Ministero della Salute)

Bene. Ma ci sono queste sale Livello di Biosicurezza 3 (BSL3)?

Il 4 aprile, quindi a un mese e mezzo dal “paziente 1 mediatico”, la SIMLA (Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni) scriveva al governo perché garantisse la presenza di almeno una sala BSL3 in ogni comune capoluogo.

Già. A chi tocca infatti creare le sale BSL3, se non al governo?

La mancanza di adeguate strutture per l’esecuzione delle autopsie, alla luce delle restrizioni imposte dal punto di vista tecnico, è risultata immediatamente palese. Se ne possono, infatti, contare non più di una decina in tutta la penisola. Ne è risultato un blocco quasi totale dell’attività necroscopica nazionale.

Due, quindi, sarebbero le conseguenze. In primis, l’impossibilità di acquisire, attraverso le indagini autoptiche, importanti rilievi anatomo-patologici che potrebbero risultare utilissimi nella ricerca contro la pandemia da COVID-19. In più, non bisogna dimenticare che la sospensione delle autopsie giudiziarie, certamente, limita in modo importante una delle fonti d’indagine privilegiata per la raccolta di prova in delitti che riguardano diritti inviolabili del cittadino.

Su indicazioni del Consiglio Direttivo, riunitosi il 3 aprile scorso, il Presidente e il Segretario di SIMLA – Prof. Riccardo Zoja e Dott. Lucio Di Mauro – hanno inviato oggi, una lettera ai Ministri della Salute, della Giustizia e per gli Affari Regionali e le Autonomie. (Franco Marozzi, consigliere SIMLA)

E’ consentito quindi fare le autopsie… in sale che non esistono.

Per cui, come alcuni medici di famiglia hanno continuato a curare senza avere a disposizione la mascherina FFP2 (rischiando quindi il reato di “epidemia colposa”), così alcuni cercatori di verità hanno fatto autopsie anche senza avere la sala BSL3, rischiando in proprio.

E dopo le hanno realizzate queste benedette sale?

Il 4 giugno 2020 (3 mesi e mezzo dopo il paziente 1) il GIPF (Gruppo Italiano di Patologia Forense) pubblicava un censimento della sale autoptiche BSL3.

Sono di seguito elencate le sale settorie con requisiti BSL3, idonee ad espletare esami autoptici su cadaveri COVID positivi. Le province indicate in rosso, invece, non dispongono al momento di sale attrezzate. Per segnalare la disponibilità di ulteriori sale settorie BSL3 vi chiediamo di contattarci.

In quel momento, secondo GIPF, sono solo 22 le province con presenza di sale adatte.

Interamente scoperte le regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Molise, Puglia, Umbria, Valle d’Aosta.

In Lombardia è segnalata una sola possibilità, Milano, ospedale Sacco.

Nel Lazio idem, Roma, ospedale Spallanzani.

Marche, solo Ancona. Sardegna, solo Cagliari. Trento sì, Bolzano no.

Poi: Toscana (2 province su 10), Piemonte (2 su 9), Sicilia (2 su 9), Emilia-Romagna (4 su 9), Veneto (4 su 7), Campania (3 su 5).

Le autopsie sono teoricamente consentite. Ma sono di fatto vietate in quasi tutta Italia per la mancanza delle sale BSL3 pretese dal governo.

Una trappola da cui non si esce

Non stiamo a ragionare su “chi” ha organizzato la trappola. Ma la trappola c’è.

Il covid è incurabile.

  • Perché ai medici di famiglia è stata di fatto vietata ogni cura.

Il covid è misterioso.

  • Perché la mancanza di sale BSL3 rende di fatto impossibili le autopsie.

Il covid necessita del vaccino.

  • Perché così dicono a “voce unificata” virologi & c. in TV.

Il covid necessita di “tachipirina e vigile attesa” a casa; di “supporto respiratorio e attesa” in ospedale.

  • Perché ogni cercatore di verità che dice cose diverse è in silenzio stampa, e comunque nessun conduttore lo chiamerà mai in TV (a parte Mario Giordano, dopo molti mesi).

Ciò che osserviamo quindi nella primavera 2020 non sono i numeri del covid, ma i numeri di un’epidemia covid in cui si è costruita preventivamente una “ignoranza strutturale”.

Non chiedetevi chi l’ha costruita, non ha importanza (per ora).

Ma l’ignoranza c’è.

I camion di Bergamo

La trappola viene completata il 18 marzo 2020 con la visione della sfilata dei camion militari di Bergamo, provenienti dal comando del generale Figliuolo (presente già allora).

BERGAMO – Un’immagine da teatro di guerra: nel centro di Bergamo. Una lunga colonna di mezzi militari ferma in via Borgo Palazzo – a poche centinaia di metri dal cimitero. Sono i furgoni dell’esercito impiegati per trasportare le bare dal camposanto bergamasco verso i forni crematori di altre Regioni.

Il motivo, come è ormai noto, è che la camera mortuaria a Bergamo non è più in grado, da giorni, di accogliere i feretri delle vittime del coronavirus. E lo stesso discorso vale per il forno crematorio (ce n’è uno solo in città, è attivo 24 ore su 24). Da quando il Covid-19 ha iniziato a falcidiare la Wuhan italiana – Bergamo resta finora la provincia più colpita nel Paese – i servizi cimiteriali e le agenzie funebri sono andati in tilt.

Per sgravare la camera mortuaria del cimitero – senza più spazio disponibile – era stato necessario nei giorni scorsi mettere in fila le bare dei defunti nella chiesa di Ognissanti, all’interno del cimitero. Da ieri, la soluzione individuata per far fronte all’emergenza è l’impiego dei mezzi dell’esercito. Le vittime del coronavirus vengono trasportate in altre regioni: a partire dall’Emilia Romagna. I primi invii delle bare sono stati a Modena.

C’è da chiedersi perché le agenzie funebri sono andate in tilt, tanto da non poter fare loro i trasporti in altre regioni.

Il loro lavoro era numericamente aumentato, ma quantitativamente calato, visto che, oltre a essere vietate le cerimonie funebri,

sono vietati il cosiddetto trasporto ‘a cassa aperta’, la vestizione del defunto, la sua tanatocosmesi, come qualsiasi trattamento di imbalsamazione o conservativo comunque denominato, o altri quali lavaggio, taglio di unghie, capelli, barba e di tamponamento.

Il fatto è che le normative per le autopsie erano contenute in un documento che dava le regole anche per le agenzie funerarie.

Lette le norme, in parecchi hanno preferito mandare i dipendenti in cassa integrazione e chiudere bottega. Perché mai avrebbero dovuto rischiare di violare una norma e essere accusati di “epidemia colposa”? E chi è rimasto aveva comunque i ritmi scanditi da norme che possiamo definire “eccessive”, visto che la circolare stessa iniziava così.

Premesso che con il decesso cessano le funzioni vitali e si riduce nettamente il pericolo di contagio (infatti la trasmissione del virus è prevalentemente per droplets e per contatto) e che il paziente deceduto, a respirazione e motilità cessate, non è fonte di dispersione del virus nell’ambiente, è tuttavia utile osservare le seguenti precauzioni: (eccetera).

Quindi, sì, ci sono stati i camion di Bergamo.

Ma a mandare in tilt le agenzie sono state le normative, più che il numero dei morti, visto che le tante ore normalmente connesse a un funerale erano state tutte abolite dai divieti.

I numeri del resto ci parlano.

Il tilt del 18 marzo 2020 avviene dopo 2 settimane con 1.886 morti in Lombardia.

Nelle successive 2 settimane i morti lombardi saranno 5.634: il triplo di morti e nessun bisogno di far vedere sfilate mediatiche in TV, perché le procedure per le agenzie funebri erano ormai “oliate” e i vari dispositivi di protezione personale richiesti agli operatori come “utili precauzioni” erano ormai sufficientemente reperibili.

Barlumi di verità

Attorno all’11 aprile 2020 “gira una lettera di un presunto cardiologo di Pavia” (così dicono i giornali).

«La gente va in rianimazione per tromboembolia venosa generalizzata, soprattutto polmonare. Se così fosse, non servono a niente le rianimazioni e le intubazioni perché innanzitutto devi sciogliere, anzi prevenire queste tromboembolie. Se ventili un polmone dove il sangue non arriva, non serve! Infatti muoiono 9 su 10. Perché il problema è cardiovascolare, non respiratorio! Sono le microtrombosi venose, non la polmonite a determinare la fatalità!»

Il cardiologo di Pavia è poi diventato Sandro Giannini del Rizzoli di Bologna, ma non ha importanza.

L’importante è che Burioni, uno dei viro-mediatici più presenti nella fase iniziale, “fa a pezzi la lettera” (così dicono i giornali).

«Questa è una scemenza di proporzioni immense. Lo scritto mette insieme alcune cose vere con altre scemenze olimpioniche, e arriva a conclusioni che definire senza senso è generoso».

E io, che non so dare ragione alla lettera, ma che mi insospettisco per le espressioni di Burioni (“scemenze olimpioniche”, invece di confutare scientificamente), chiedo aiuto al dottor Dario.

Credo sia utile, a distanza di tanto tempo, ricordare quel prezioso colloquio.

***

«Dario, ti rubo solo un minuto. Cosa mi dici della faccenda dell’eparina?»

«La faccenda? Che faccenda?»

«Quel cardiologo di Pavia che invitava a usare farmaci diversi perché la gente va in rianimazione per “tromboembolia venosa generalizzata” e non per polmonite. E subito Burioni l’ha stoppato dicendo che “è una scemenza di proporzioni immense. Lo scritto mette insieme alcune cose vere con altre scemenze olimpioniche, e arriva a conclusioni che definire senza senso è generoso”.»

«Giovanni, ma io di mediatico non seguo niente. Finito il turno, mangio, vado a dormire (non vado nemmeno più a casa, dormo in una stanza dell’AUSL), al risveglio rimangio, poi mi attacco al computer per vedere se i colleghi di cui mi fido hanno notizie nuove. Oppure vado a caccia di notizie all’estero, sempre in posti dove ho fiducia. E poi torno al lavoro.»

«Quindi tu non usi l’eparina.»

«Certo che la uso! Ma non è in relazione col cardiologo di Pavia che non conosco. La usiamo tutti, almeno tutti quelli di cui mi fido.»

«Ma allora perché non emerge a livello mediatico?»

«Ma perché abbiamo altro da fare che inseguire i media! Sono sfatto, vedo casa mia una volta ogni due settimane, secondo te ho il tempo di telefonare alla Gruber o alla Palombelli per dire “Senta, vorrei spiegare l’eparina al pubblico”. A parte il tempo che non ho, credi che mi prenderebbero in trasmissione?»

«Quindi è Burioni che dice la sciocchezza?»

«Giovanni, io non mi permetto di interloquire con uno che non conosco, solo per un’affermazione riportata su un giornale. So solo che da noi da quando si usa eparina a basso peso molecolare le cose clinicamente vanno meglio e la rianimazione ha decisamente meno intubati.»

«Allora all’inizio gli ammalati sono stati curati male?»

«Ma è ovvio. Se prima avevi un tot di intubati, e ne morivano 9 su 10, poi provi a fare terapia precoce mirata in un altro modo, e le cose migliorano nettamente, che altro puoi dire? Puoi solo dire “magari l’avessimo capito prima”.»

«Insomma in medicina “si prova”, avete saltato i protocolli.»

«Giovanni, qui è tutto nuovo. I protocolli si fanno lavorando. Io non sono un burocrate, se muoiono l’87% di intubati, non è che dico “Tutto fatto secondo le regole, noi siamo a posto”. No, mi sento come il comandante Sullenberger.»

«Chi sarebbe?»

«Dai, quello che ha fatto atterrare l’aereo a motori spenti sul fiume Hudson. Uno stormo di uccelli gli spegne i motori, e lui si ricorda di essere un pilota esperto, per di più sa anche di alianti. In pochi secondi deve decidere tutto: dove può arrivare a mo’ di aliante, tenuto conto dei venti e della velocità con cui perde quota. E lo poteva fare solo lui, non il copilota che non era così esperto. Se aspettava un protocollo dall’aeroporto, morivano tutti. E’ lui che ha creato un nuovo protocollo per un eventuale caso futuro. E li ha salvati tutti.»

«Bel paragone.»

«In questo frangente si vede la differenza tra il medico ordinario e il medico in gamba, quello che elucubra e cerca soluzioni nuove, per salvarne il più possibile.»

«Che strano che i cinesi non ci siano arrivati.»

«Giovanni, normalmente siamo noi che portiamo know-how in Cina, non il viceversa. Anche quelli di Medicina, del paese di Medicina intendo, hanno fatto un tentativo sperimentale.»

«Che sarebbe?»

«No, Giovanni, tempo scaduto. Quello te lo cerchi su Internet. Scusa, devo proprio andare.»

***

Barlumi di verità.

Medici che cercano di uscire dalla trappola mediatica.

E lo fanno perché sono medici SENZA POTERE, che studiano e cercano la verità.

Fonte: Osservatorio Internazionale Card. Van Thuân

TERZA PUNTATA

Dalla Russia con amore Piccola storia della pandemia, 3a puntata

Aggancio con la puntata precedente

Abbiamo visto nella seconda puntata che il procedere dell’epidemia si è inserito all’interno di una trappola fondata su 4 pilastri.

Il covid è incurabile.

  • Perché ai medici di famiglia è stata di fatto vietata ogni cura.

Il covid è misterioso.

  • Perché la mancanza di sale BSL3 rende di fatto impossibili le autopsie.

Il covid necessita del vaccino.

  • Perché così dicono a “voce unificata” virologi & c. in TV.

Il covid necessita di “tachipirina e vigile attesa” a casa; di “supporto respiratorio e attesa” in ospedale.

  • Perché ogni cercatore di verità che dice cose diverse è in silenzio stampa, e comunque nessun conduttore lo chiamerà mai in TV (a parte Mario Giordano, dopo molti mesi).

Senza chiederci chi ha costruito la trappola, sappiamo comunque che esiste una trappola: sull’epidemia covid è stata costruita una “ignoranza strutturale” dalla quale è impossibile sfuggire, se si resta agganciati alla TV e agli “editori responsabili”.

I 4 pilastri della trappola trovano un violentissimo supporto mediatico nell’immagine dei camion militari che, di notte, a bassa velocità, e rumorosamente, portano via le bare a Bergamo.

Un problema di logistica funeraria trasformata in un’immagine da film, come ho tentato di spiegare nella puntata precedente.

L’anagrafe della Protezione Civile

La trappola aveva però bisogno di un ulteriore elemento: i numeri. E i numeri vengono forniti da uno strumento che appare impostato come fonte di conoscenza, ma che diventerà nel tempo la principale fonte di distorsione della realtà: l’anagrafe covid dell’ISS su ordinanza della Protezione Civile (ricordiamo che è la Protezione Civile la “titolare” dello Stato di Emergenza).

L’Ordinanza del Capo della Protezione Civile del 27 febbraio 2020 assegnava la sorveglianza epidemiologica all’ISS (Istituto Superiore di Sanità)

Articolo 1 (Sorveglianza epidemiologica)

  1. La sorveglianza epidemiologica del SARS-CoV-2 è affidata all’Istituto superiore di sanità.
  2. Ai fini della sorveglianza epidemiologica, l’Istituto superiore di sanità predispone e gestisce una specifica piattaforma dati, che le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sono tenute ad alimentare.
  3. È fatto obbligo alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano di alimentare quotidianamente la piattaforma dati di cui al comma 2, caricando entro le ore 11.00 di ogni giorno i dati relativi al giorno precedente.
  4. L’Istituto superiore di sanità è autorizzato ad individuare risorse di personale aggiuntivo al fine di condurre, ove necessario, eventuali ulteriori indagini epidemiologiche mirate all’identificazione della catena di trasmissione.

Quella che viene istituita nel febbraio 2020 è quindi una piattaforma di raccolta dati, non ha niente a che vedere con una validazione dei dati da un punto di vista medico.

Si crea così il concetto di “caso covid”.

Che cos’è un “caso covid”?

Di fatto è un codice fiscale = tessera sanitaria che viene trovato positivo a un tampone.

Il numero di casi attualmente in essere è dato dalla somma di 3 colonne:

  • pazienti in intensiva
  • pazienti in corsia
  • persone in isolamento domiciliare.

Il totale dei casi dall’inizio dell’epidemia è dato dalla somma di:

  • casi attuali
  • guariti

I nuovi casi del giorno risultano quindi essere la somma di:

  • guariti del giorno
  • morti del giorno
  • incremento (o decremento) di positivi del giorno.

Quindi, se sei positivo, hai solo due maniere per uscire dall’anagrafica della Protezione Civile / ISS:

  • o ti negativizzi
  • o muori.

Sono previsti esplicitamente anche i tamponi “post mortem”.

Il caso estremo di un annegato al quale venne fatto un tampone dopo morte non aveva niente di estremo:

  • hanno scelto di fare il tampone al morto
  • l’uomo è entrato nell’anagrafe covid
  • l’uomo esce dall’anagrafe covid in qualità di morto.

Conta qualcosa per la conoscenza sull’epidemia?

No, serve solo ad avere un caso in più da proporre all’attenzione dei telespettatori.

E l’attenzione dei telespettatori si concentra sul rituale quotidiano di Borrelli o chi per lui che snocciola i numeri dei casi, dei morti, degli ospedalizzati, delle intensive.

Rituale quotidiano dove si dà per scontato che i numeri sono tutto ciò che c’è da dire, visto che il covid è “incurabile”.

Tutto si fonda sul tampone

E’ ovvio quindi che tutto l’impianto dell’anagrafe covid si basa sulla presenza dei tamponi.

Nella prima fase, che fisso convenzionalmente dal 21 febbraio 2020 al 2 giugno 2020, giorno delle riaperture dello scorso anno, la disponibilità di tamponi era tendenzialmente scarsa, e quindi dovevano “giocarseli” sui casi già conclamati dai sintomi.

Essendo questa una “piccola storia” non dovrei anticipare cose che accadono “dopo”, ma qui è necessario per captare subito, dal confronto, l’evolversi di una strategia.

Strategia di chi? Non lo sappiamo e non vogliamo saperlo (per ora). Ma, come è certo che c’è una “trappola”, così è certo che c’è una “strategia”.

Nella prima fase (21.02.2020-02.06.2020) che stiamo esaminando adesso

  • i tamponi sono pochi
  • di conseguenza i casi sono pochi
  • di conseguenza i guariti sono pochi
  • l’unica cosa che conta sono i morti e le intensive, che seguono, più o meno, lo stesso andamento.

Cosa è realmente un tampone

Noi abbiamo l’idea del tampone come una sorta di interruttore che può dare solo due risposte: positivo o negativo.

E, per chi riceve il referto, è realmente così: non ci sono “distinguo” di nessun genere, o sei positivo ed entri nell’anagrafe covid, o sei negativo e non entri (oppure, se eri già dentro, esci come “guarito”).

In realtà la tecnica legata al tampone non è assolutamente quella di un interruttore.

Il tampone (parlo del tampone MOLECOLARE, da non confondersi col tampone rapido) funziona sulla tecnica PCR.

La reazione a catena della polimerasi (in inglese: Polymerase Chain Reaction), comunemente nota con la sigla PCR, è una tecnica di biologia molecolare che consente la moltiplicazione (amplificazione) di frammenti di acidi nucleici dei quali si conoscono le sequenze nucleotidiche iniziali e terminali. L’amplificazione mediante PCR consente di ottenere in vitro molto rapidamente la quantità di materiale genetico necessaria per le successive applicazioni.

Questa moltiplicazione/amplificazione viene fatta “un certo numero di volte”.

Il ciclo descritto viene ripetuto generalmente per circa 30-40 volte. In genere non si superano i 50 cicli in quanto ad un certo punto la quota di DNA ottenuto raggiunge un plateau. Ciò avviene, ad esempio, per carenza degli oligonucleotidi usati come inneschi o per diminuzione dei dNTP. Bisogna inoltre considerare che si potrebbe amplificare in maniera eccessiva anche eventuale materiale genomico contaminante.

Il tampone NON è uno strumento diagnostico.

Il materiale genetico amplificato andava successivamente messo in coltura, per vedere se si trattava realmente del virus attivo, o di sequenze genetiche di virus morto, o di spazzatura. Era quindi uno strumento per la ricerca.

Serviva al ricercatore per scartare il materiale inutile, non per validare il materiale buono.

Il materiale ipoteticamente buono veniva validato dalla messa in coltura.

Nel momento in cui viene trasformato in uno strumento diagnostico di massa, il passaggio successivo della “messa in coltura” è ovviamente impensabile, per i tempi e per i costi.

Quindi ci si accontenta di “far credere” che il tampone molecolare sia uno strumento diagnostico.

Più tamponi, più “casi”.

Più cicli di amplificazione, più “casi”.

Ma tutto questo riguarderà le fasi successive.

Nella prima fase dell’epidemia la strategia prevede un obiettivo più limitato: è sufficiente che l’opinione pubblica venga guidata a credere al tampone come interruttore positivo/negativo.

E quindi a “bramare” la disponibilità di tamponi, come in seguito si “brameranno” i vaccini.

Racconto una scenetta recentissima.

Il medico di un ospedale non lontano da casa mia telefona alla maestra, in qualità di papà: l’hanno trovato positivo, e anche il bambino non potrà muoversi di casa.

Invece il giorno dopo il bambino inaspettatamente si presenta a scuola, assieme al papà.

«Mi sembrava strano essere positivo. Sono vaccinato, ero negativo pochi giorni fa. Ho chiesto di vedere la sequenza. “Ah, ma sei positivo solo nella parte finale. Al ciclo 34 eri ancora negativo”. Mi hanno rimandato al lavoro in ospedale, e il bambino è libero».

Da tenere presente.

Se siete tosti e determinati, in caso di positività chiedete di esaminare la sequenza dei cicli PCR.

Direi che abbiamo tutto

Arrivati a primavera direi che abbiamo tutto.

  • La trappola.
  • La lugubre immagine da film dei camion di Bergamo.
  • I tamponi come interruttore positivo/negativo.
  • L’anagrafe covid.
  • L’appuntamento con Borrelli come unico “diversivo quotidiano” in un’Italia paralizzata che non può fare letteralmente nulla, se non lavorare (per quei pochi ai quali è consentito).

Il 22 marzo 2020 arrivano i Russi.

Dalla Russia con amore

Come si parlano tra loro i servizi segreti?

Certamente non per lettera, né per mail, né per WhatsApp, né per telefono.

Di per sé non avrebbero neppure la necessità di parlarsi, essendo appunto “segreti”.

Eppure si parlano, attraverso film e romanzi.

Raccontano storie, e chi deve capire, capisce.

  • Può essere una storia che racconta ciò che un servizio segreto si appresta a fare.
  • O una storia su ciò che ha già fatto.
  • O una storia per dire “sappiamo cosa voi state per fare”.

Un atto di potenza. Oppure quell’insopprimibile desiderio di dire le cose come stanno (vi è mai capitato di avere un segreto da custodire, e di bruciare dalla voglia di raccontarlo?).

Quando ad esempio venne ucciso Gheddafi, girarono una scenetta hollywoodiana che mostrava “il popolo che uccide il dittatore”; alla fine apparve “il ragazzo dalla pistola d’oro” che aveva dato il colpo di grazia.

Il richiamo a “L’uomo dalla pistola d’oro” mi venne automatico. Un libro e film di 007, dove l’uomo dalla pistola d’oro è Francisco Scaramanga, il miglior killer sul mercato, prezzo a cadavere un milione di dollari.

In sintesi, Gheddafi venne ucciso con operazione di killeraggio, non certo “dal popolo”.

Quando i russi vengono ad aiutarci con un’operazione medica denominata “Dalla Russia con amore”, titolo di un film di 007, hanno ironicamente indicato che il covid puzza di spionaggio e che la loro operazione era anche un’operazione di aiuto, ma soprattutto un’operazione di intelligence.

Lo segnalavo nel Taglio Laser del 15 maggio 2020, per chi li conserva.

Nessuno si mette a fare giochetti di parole nel bel mezzo di una tragedia, a meno che il gioco di parole non serva per comunicare qualcosa.

Arriva in Italia il generale Sergej Kikot, vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica, biologica dell’esercito russo, con un centinaio di medici (militari) e tecnici (militari).

Vengono per aiutare (roba seria di alto livello), vengono per propaganda (aiuto dalla Russia, non dall’occidente), e vengono per studiare (è intelligence, vengono a vedere il virus nuovo in una zona in cui il materiale abbonda).

L’operazione si chiude il 7 maggio 2020.

Più di un anno dopo, il 17 giugno 2021 il quotidiano Repubblica si sveglia e si accorge che doveva essere un’operazione di intelligence.

Secondo le fonti di intelligence citati dal quotidiano romano, il ruolo dei medici russi è stato decisivo nel debellare con fatica l’avanzata del Covid.

Ma il sospetto sollevato nell’inchiesta è che la missione sia servita più ai russi che ai medici bergamaschi, perché avrebbe messo le basi per arrivare al vaccino a «vettore virale» Sputnik-V, che secondo l’autorevole rivista medica The Lancet, si sarebbe rivelato efficace al 91,6% contro le forme sintomatiche di Covid-19, quindi tra i vaccini più performanti ma che ancora Ema tiene sotto osservazione.

Quindi, con la scusa di aiutare l’Italia, i medici russi che di giorno aiutavano i nostri medici in corsia, di notte lavoravano a un vaccino made in Russia «in cinque furgoni, inaccessibili agli italiani, parcheggiati nell’aeroporto di Orio al Serio».

Non capisco perché Repubblica si scandalizzi tanto.

Se la TV ci dice a ogni ora di giorno e di notte che “solo il vaccino ci salverà”, che male c’è se i russi vengono in Italia a creare un vaccino?

Che fossero poi d’accordo con Conte, oppure abbiano approfittato di un capo di governo “leggerino” come Conte, è una questione secondaria.

Il Papa in piazza San Pietro vuota

Lascio perdere in questa piccola storia la faccenda della chiusura delle Messe da inizio marzo 2020 a metà maggio 2020: arrivati al 2021, quella chiusura suona proprio ridicola. Addirittura patetica per le Messe feriali.

La storia ha provveduto a dimostrare che non c’è ambiente più regolarmente organizzato, distanziato, mascherato, disinfettato, di una chiesa cattolica.

La gente ammassata la potete trovare a festeggiare la Nazionale italiana, oppure nella conferenza in una sala comunale, mai nell’ordinata comunità domenicale delle chiese. Mai, ovviamente, nelle Messe feriali.

L’evento che mi interessa è la preghiera del Papa contro l’epidemia, 27 marzo 2020.

Papa Francesco utilizza tutti gli elementi della Chiesa Cattolica.

  • Il Papa
  • Gesù medico, con il Crocifisso miracoloso di San Marcello al Corso
  • Maria salus infirmorum, con la Madonna Salus Populi Romani di Santa Maria Maggiore
  • L’Adorazione del Cristo Vivo
  • L’Indulgenza Plenaria per i partecipanti, attraverso i mezzi di comunicazione.

In lontananza, durante la celebrazione, si vedeva anche la statua dell’Arcangelo Michele su Castel Sant’Angelo,

Durante una pestilenza, che afflisse Roma nel primo anno di pontificato di san Gregorio Magno (590-604), l’arcangelo san Michele sarebbe apparso sulla cima del castello per annunciare la fine del morbo. La folla che seguiva una processione papale (durante la quale si cantavano incessantemente le litanie dei santi, dando origine al costume delle rogazioni, dal verbo latino rogo, «chiedo per ottenere») lo avrebbe infatti visto rinfoderare la spada, segno che la calamità era cessata.

Non possiamo dire che sia avvenuto “per quella preghiera”, ma certamente è avvenuto “in coincidenza di quella preghiera”: i morti arrivano il 27 marzo 2020 al numero di 969, poi cominciano a calare.

7 giorni dopo scollina anche l’intensiva: si arriva al culmine di 4.068 ammalati in intensiva (29.010 in corsia), poi i numeri calano in permanenza.

E calano con la percezione netta, da parte dei medici e di tutti, che non risaliranno più: il virus non è sparito, ma è “clinicamente morto”.

Il 2 giugno 2020, punto simbolico di conclusione della prima fase, i morti sono 55, in intensiva 408, in corsia 5.916 persone.

Riepilogo della prima fase

Metà febbraio: invasione di Virologi & C. in TV, un “cast” permanente che ci accompagna da 17 mesi.

20 febbraio 2020. Appare il “paziente 1 mediatico”. In realtà il virus circola in Italia da 4 mesi circa.

22 febbraio 2020. La circolare ministeriale taglia i ponti tra i medici di famiglia e gli ammalati. Gli ospedali vengono messi in “silenzio stampa”.

23 febbraio 2020. Annuncio della chiusura delle scuole in alcune regioni.

Inizio marzo. Divieto di fatto delle autopsie (sono consentite in sale BSL3 pressoché inesistenti); protocollo per le aziende funebri; inizio dell’appuntamento televisivo quotidiano sui morti.

11 marzo 2020. Siamo in lockdown nazionale.

12 marzo 2020. Siamo a 1000 morti. Non certo per colpa del “paziente 1” di Codogno.

18 marzo 2020. Sfilata mediatica dei camion militari a Bergamo.

22 marzo 2020. Inizio dell’operazione “Dalla Russia con amore”.

27 marzo 2020. Celebrazione di Papa Francesco. Scollinamento del numero di morti.

3 aprile 2020. Scollinamento delle intensive e degli ospedalizzati.

7 maggio 2020. Si conclude “Dalla Russia con amore”.

18 maggio 2020. Si ritorna a Messa.

22 maggio 2020. The Lancet pubblica un articolo che recita sinteticamente “Con clorochina aumento mortalità e nessun beneficio”.

25 maggio 2020. L’OMS annuncia la decisione di sospendere i test sull’uso della idrossiclorochina per il trattamento del covid.

2 giugno 2020. Fine convenzionale della prima fase (riaperture)

Le due notizie del 22 e 25 maggio le metto in calendario anche se non ne ho parlato.

Ne parleremo per esteso la prossima volta, a Dio piacendo.

Adesso che la prima fase è conclusa, coi morti quasi azzerati e gli ospedali scarichi, la prima fase può essere analizzata con calma, e si possono definire le misure adatte per la inevitabile recrudescenza autunnale.

Oppure no?

Fonte: Osservatorio Internazionale Card. Van Thuân

____________

Giovanni Lazzaretti

giovanni.maria.lazzaretti@gmail.com

Taglio Laser, Centro Culturale il Faro, 4 luglio 2021, beato Piergiorgio Frassati

Print Friendly, PDF & Email
Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

undici + sette =