Riparte la serie A ma l’Italia ha un governo di serie C

di Frodo.

Hai fatto un campionato pessimo ed ora ti rimane lo scontro salvezza. Se non giochi con l’undici migliore che hai, rischi di prendere un’imbarcata. Prima però c’è ancora qualche amichevole di preparazione. Arriva quello che i giornalisti chiamano tabellino. In porta gioca ancora il ministro Gualteri, che di gol durante la stagione ne ha presi parecchi. Non è il suo ruolo: lui non ha studiato per stare tra i pali. Ci sarebbe Tremonti, che ha vinto un mondiale, ma non è convocato. Il regista, quello che deve dettare i passaggi decisivi. è anche il capitano della squadra: Giuseppi.

Un’eterna promessa mai mantenuta. C’è il rischio “o Mago” Maicosuel, uno che ha battuto col cucchiaio, e tra le braccia del portiere avversario, un rigore che avrebbe potuto consentire alla sua squadra di andare in Champions League. Giocatore stiloso, ma poco incline ad ammettere la consapevolezza dei limiti e delle circostanze.  Giuseppi è un po’ così. Le punte sono due: la Azzolina e la Catalfo guidano il reparto dei dicasteri che meglio dovranno recepire gli ordini dell’allenatore, che da qualche mese a questa parte, nonostante tutto, ha optato per il silenzio stampa. E vabbè. Ognuno si prenderà le sue responsabilità. Ma la Azzolina e la Catalfo non sarebbero punte. Si sono ritrovate in quella zona di campo perché, ad un certo punto della storia della serie A, si è deciso che anche chi non aveva mai giocato a pallone, e anzi contestava proprio lo sport, avesse un “diritto Rousseau” a giocare. C’è stata una fase in cui anche Clarence Seedorf ha invitato al Milan un suo amico cuoco, Esajas, che ha giocato qualche minuto da centrocampista in una competizione minore. Qualche minuto però, non l’intero campionato, e all’interno di una coppa secondaria. Ecco, la Azzolina e la Catalfo per noi sono in quota Rousseau-Esajas. Ci sarebbero due titolari di peso, Letizia Moratti e Maurizio Sacconi, ma non sono convocati neppure loro. Però se il lavoro e l’istruzione non gonfiano la rete, saranno dolori per tutti. Hai fatto un campionato pessimo ma, la proprietà, giusto o sbagliato che sia, ha deciso di rimpolpare le casse: 172 miliardi per evitare la disfatta su tutta la linea. In questa rosa particolarissima, che poi sarebbe la nostra, i giocatori sono anche dirigenti. E devono decidere dove e come investire quei 172 miliardi. Ne hanno già spesi 55 più 75, ma la squadra non è ancora ripartita e c’è la consapevolezza che il budget già messo in campo, un po’ alla meno peggio, non basti ad evitare un disastro annunciato. E allora servirebbero giocatori in grado di saper giocare, saper gestire le risorse, saper immaginare l’Italia del domani.

La stampa lo sa, ma per buona parte sonnecchia. Anche se qualche giornalista di razza sembra essersi svegliato dal torpore di una serie negativa di risultati che è stata digerita in maniera troppo naturale. Poi ci sono loro, i tifosi: sono stati accanto all’undici titolare finché hanno potuto. A dire il vero per tre mesi buoni non hanno potuto che confidare che la squadra trovasse il modo di ripartire. La situazione, che non è dipesa dalla rosa – almeno non tutta quella di fondo – , non permetteva altro. Adesso però la tifoseria si sta scaldando, perché i risultati proprio non arrivano. E c’è il rischio che in autunno, poco prima e durante lo scontro salvezza decisivo, la curva si surriscaldi, mettendo a soqquadro quel poco che è rimasto a contornare almeno la scenografia esterna del centro sportivo. La metafora, ormai, vi sarà piuttosto chiara. Ma di metaforico, in questa storia, esistono giusto queste poche righe. La realtà, nella sua drammaticità, rischia di subire l’impreparazione e l’inefficienza di un esecutivo che davanti a sé ha davvero uno scenario da out-out. La possibilità di sbagliare non esiste: quello che la dirigenza ha messo sul piatto, va speso in modo razionale, circoscritto, mirato, decisivo, intelligente, prospettico e salutare. Altrimenti il collasso si abbatterà in maniera inesorabile sull’intera popolazione, prescindendo dal colore della squadra di appartenenza di ogni singolo cittadino. Il fuoco e le fiamme di una tifoseria troppo violenta, in questa nostra storiella, rappresentano il conflitto sociale che potrebbe derivare da un governo incapace di leggere la gravità del quadro, e dunque altrettanto incapace di poter portare l’Italia fuori dal guado di una crisi irreversibile. Non possiamo permetterci di giocare uno scontro salvezza con la squadra B. L’allenatore ci pensi. Sul mercato, al solo prezzo dell’unità nazionale, c’è molto di meglio.

Fonte: l’Occidentale

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