Charlie Gard: quando l’impossibile diventa possibile ricordando Jerome Lejeune

voce

Il destino di Charlie Gard, il bambino inglese di 11 mesi affetto da una rara malattia genetica, sembrava segnato: i medici del Great Ormond Street hospital di Londra e i giudici avevano decretato l’obbligo di staccare la ventilazione artificiale, certi che non ci fossero più speranze.

L’opposizione dei genitori, decississimi a provare ogni cura possibile ed immaginabile, e soprattutto l’opinione pubblica di molti paesi, Italia in primis, hanno scongiurato, per ora, il decesso del bambino.

Permettendo così lo svilupparsi di domande molto interessanti: quando inizia l’accanimento terapeutico e come può essere definito? Il diritto a decidere delle cure di un bambino spetta ai medici e allo Stato, o ai genitori?

Mentre infuriava il dibattito, Stefano Lorenzetto e Mario Giordano, giornalisti del quotidiano nazionale La verità, hanno lanciato una provocazione: perchè il Bambin Gesù di Roma, l’ospedale pediatrico romano del papa, non si offre di accogliere Charlie e i suoi genitori, dando loro l’ultima speranza?

Detto, fatto: Mariella Enoc, dirigente del Bambin Gesù di Roma, e don Carmine Arice, responsabile per la pastorale sanitaria della Cei, hanno preso sul serio la richiesta de La verità, e si sono offerti: “Charlie venga da noi, faremo il possibile”.

Non si è trattato soltanto di un gesto formale, quasi di cortesia. No, l’ospedale romano, una eccellenza in Italia e nel mondo, ha dimostrato che esistono protocolli per cure sperimentali che l’ospedale londinese aveva ignorato.

Di qui il comunicato dell’ospedale stesso che ha ammesso che “due centri di cura internazionali (il Bambin Gesù citato e il New York Presbyterian Hospital americano, ndr) e i loro ricercatori, nelle ultime 24 ore, hanno dato prove chiare a proposito dei loro trattamenti sperimentali, e quindi si è deciso, d’accordo con i genitopri del bambino, di esplorare queste possibilità“.

L’ospedale però, continuava il comunicato, “è vincolato dalla sentenza dell’Alta Corte britannica che impedisce di trasferire il bambino negli Stati Uniti” – cioè nella prima destinazione scelta dai genitori, prima che si offrisse il Bambin Gesù di Roma- o altrove.

Accade dunque che un caso ritenuto impossibile, diventa possibile. Che una condanna già emessa, viene di fatto rimangiata. Non si dice certo che Charlie guarirà sicuramente, ma si ammette che non erano state percorse tutte le vie mediche possibili, e che si erano di fatto esautorati i genitori ingiustamente.

Certamente la terapia proposta dai due ospedali è sperimentale, innovativa, non offre certezze, ma ci chiediamo: quante altre volte questo è già successo?

Quante volte è accaduto che una cura sperimentale, innovativa, dimostrasse di funzionare? E ancora: quando sperimentare farmaci nuovi, se non in presenza di casi come quello di Charlie?

Chi scrive ha visto con i suoi occhi la prima bambina con spina bifida operata in utero: quella bimba oggi sta piuttosto bene, e i medici che la hanno operata hanno dimostrato che mentre in Olanda i bambini con spina bifida vengono spesso soppressi con l’eutanasia, altrove questi stessi bambini, presi in tempo, possono stare molto meglio, oggi, e forse bene del tutto, domani. In ogni cura, in ogni sperimentazione, c’è una prima volta!

Tra una cosa e l’altra la nostra storia arriva così al lunedì 10 luglio, giorno in cui il giudice dell’Alta Corte, Francis, che aveva già deciso in favore della tesi dell’ospedale londinese (“non c’è più nulla da fare, occorre far morire Charlie”), ha accolto le prove in favore e quelle contro alla possibilità di cura.

Cosa deciderà Francis?

Bisogna considerare che la faccenda si è fatta complicata: l‘Inghilterra rischia una figuraccia internazionale, perchè i suoi medici hanno condannato a morte un bambino, contro il parere dei suoi genitori, dimostrando di non conoscere le possibili alternative; un ospedale italiano ed uno americano, intervenendo, hanno dimostratro che il verdetto inglese era quantomeno affrettato.

Il giudice inglese avrà il coraggio di riconoscerlo? Di ammettere l’errore dell’ospedale cui aveva dato ragione in prima istanza; di riconoscere il proprio errore (e del resto, quali le sue competenze, in campo medico, e quale il suo diritto, rispetto a quello dei genitori di Charlie?).

Non è assolutamente detto. I genitori di Charlie hanno lanciato l’allarme. Come riporta Filippo Savarese, direttore di CitizenGo, il 10 luglio “i legali dei Gard hanno chiesto di far slittare il processo a fine luglio per discutere la ricusazione del giudice. Mozione bocciata. Francis ha detto inoltre che attende evidenze sullo stato di salute cerebrale di Charlie. Se è irrimediabilmente compromesso come sostiene l’Ospedale o no, come dice la famiglia. In particolare ha chiesto i dati sulla circonferenza del cranio negli ultimi mesi, perché la madre del bambino contesta quanto affermano i medici, ovvero che la testa abbia smesso di crescere.

Questa china non mi piace per niente, perché il punto non è quanto sia compromessa la salute di Charlie, ma perché mai i genitori non dovrebbero avere il sacrosanto diritto di affidare il figlio a un ospedale coi controcoglioni come il Bambin Gesù e debba invece averlo un giudice che si è sempre occupato praticamente solo di certificare divorzi. Inoltre i legali dell’Ospedale hanno dichiarato di tenere il bimbo sotto effetto di morfina, novità di cui non si era avuta notizia. Una mossa che potrebbe voler avvalorare la “tesi dell’agonia”…”.

Vedrermo come evolveranno le cose, ma mi piace concludere con un aneddoto storico.

Jerome Lejeune, medico, padre della citogenetica e servo di Dio, nel suo Il messaggio della vita ricordava come ventun anni dopo la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo “un filosofo fece una proposta di legge per chiedere che ‘fosse finalmente proibito di asfissiare o comunque far morire dissanguati i malati di rabbia’. Questa proposta di legge non fu nemmeno discussa. Fu rimandata allo studio di una commissione, poi tutto finì in un cassetto e non se ne parlò più. Dodici anni dopo nacque un bambino di nome Louis Pasteur. La sua vita fu proprio la dimostrazione che a liberare l’umanità dalla rabbia e dalla peste non furono quelli che asfissiavano i malati di rabbia tra due materassi, o che bruciavano gli appestati nelle loro case, bensì quelli che hanno combattuto la malattia e rispettato il paziente”.

Anche solo da un punto di vista medico, è possibile il progresso nella medicina quando si preferisce, alle cure sperimentali, la morte certa?

da: http://www.lavocedeltrentino.it/

Print Friendly, PDF & Email
Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo.

Autore: Francesco Agnoli

Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come  Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

quattro + 14 =