Una critica non moralistica dell’arte. Il “risorto” del Duomo di Terni

Ho letto di recente diversi commenti sul Gesù Risorto, anzi, sul Giudizio Universale del Duomo di Terni, realizzato nel 2007, dal pittore argentino Ricardo Cinalli. In genere,tendono a stigmatizzare l’opera sul piano morale,  senza

entrare a sufficienza in merito alle implicanze artistiche e teologiche, assolutamente inseparabili. Lo fa anche notare indirettamente Riccardo Cascioli nel suo articolo del 8-3-2017 su La Nuova Bussola Quotidiana:

«Ma per quanto la polemica di questi giorni si concentri sulla esaltazione della presenza di gay e trans nel piano di salvezza di Dio, la gravità del dipinto va ben oltre questo aspetto. Si tratta infatti di una visione della Resurrezione che si fonde con il Giudizio Universale, ma che non ha niente a che vedere con ciò che i vangeli e la tradizione della Chiesa ci tramandano. In un’opera sacra la libertà creativa dell’artista deve coniugarsi con la correttezza teologica, cosa che qui è lontanissima dalla realtà».

Cascioli nota anche l’assenza della libertà umana. Tutti sono salvati indipendentemente da loro, aggiungo, contraddicendo l’adagio del Dottore Sant’Agostino: Quel Dio che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te. Cascioli evidenzia anche che manca l’inferno, che, in un Giudizio

A detta dell’autore, Gesù va a fare la spesa al supermercato

Universale, sappiamo, non può mancare non perché, a tutti i costi, vogliamo inviarvi qualcuno, ma perché in un Giudizio, oltre a rappresentare l’esito della vita di chi ha rifiutato Dio, l’inferno ed il Demonio significano molto di più.

Questa esaltazione di Cristo, buono verso tutti, è un’esecrabile rifiuto di Cristo. Egli, infatti, venne sulla terra a combattere quel nemico, che è Principe di questo mondo e che oppone il mondo, cioè anche l’umanità, a Dio e al Verbo fatto carne. Il Verbo si fece carne per «ridurre all’impotenza colui che aveva l’impero della morte, il diavolo» (Eb. 2, 14) e «distruggere le sue opere» (Gv 3, 8). Per questo, Gesù ha affrontato Satana fin dall’inizio della sua vita pubblica e con la liberazione degli ossessi e la guarigione delle malattie ha combattuto il regno di Satana, mostrando che ormai esso è alla fine. La Chiesa, nel tempo, ha continuato l’opera del Messia, -non sempre risplendendo per fedeltà all’insegnamento di Cristo in pochi o tanti suoi uomini-, restando indefettibilmente fedele al Padre nel Figlio, per opera dello Spirito Santo, conducendo quell’azione sacramentale e caritatevole trinitaria, che le compete nel mondo.

Nei Giudizi Universali, la Chiesa appare nel trionfo, qui non c’è. L’inferno, sempre a lato di Gesù, perfettamente obbediente, nolente, o, volente a Lui sottomesso, qui non c’è. Manca in quest’opera, infatti, il significato della venuta e della risurrezione del Figlio, nonché della salvezza dell’uomo, se non nel senso “democraticistico” del non escludere, ma includere. Ma, e qui ha diritto di cittadinanza la questione morale, un conto è includere anche le persone di orientamento sessuale diverso, da ben comprendere negli aspetti morali e non solo, ed un conto è assolvere persone, anche omosessuali ed affini, riguardo al peccato del quale non si pentissero. Questa non è materia, in codesta modalità, da opera d’arte sacra, ma da opera d’arte infernale … che altrimenti!

Ma questa sorta di affresco, eseguito con tecniche non tradizionali, non a tempera, bensì ad olio, che consentono tempi di esecuzione assai veloce, risente, anche se in modo forse più grave che nel caso di altri artisti moderni, della perdita della conoscenza corretta dei simboli. E, quindi, il discorso non può fermarsi al Cinalli per diversi particolari, certo sconcertanti, tutti concentrati in un’unica opera, ma va allargata al mare magnum dell’inaccettabile e del profano entrato nelle chiese in senso dissacratorio. È chiaro che, se il profano entrasse nell’arte in un’ottica redentiva non vi sarebbe problema. Sappiamo bene che il problema non è il nudo in sé, ma altro.

 

Ci stiamo accorgendo che la nuova arte e, va detto, anche il modo di celebrare la liturgia ad essa strettamente legata, molte volte assolutamente antropocentrica, vogliono mantenere il Signore nella kénôsis, ignorando lo stato di Kyrios, per non scendere, simbolicamente, ancora più in basso, dipingendo risorti, che, anche in questo nuovo stato, -come nel Cinalli- sembrano anime, che salgono in cielo senza in nulla mutare, portandosi un aspetto quasi spettrale e infernale, poiché portano il loro stesso peccato-non-vinto , là dove si configuri, ma assunto e profondamente incorporato, divenuto loro stabile natura.

Sembra proprio il caso di questo Giudizio Universale della controfacciata del Duomo di Terni, per di più in costante dialogo con il committente, l’allora Mons. Vincenzo Paglia, oggi Arcivescovo Vincenzo Paglia e Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia.

Qui, nello stesso Cristo, nulla traspare di ciò che realmente Gesù viveva nella sua kénôsis. Vi si scorge solo un guardare verso l’alto.

 

Le sue ferite nulla, o poco, dicono della sua Signoria e vittoria sul peccato e sulla morte, là, dove, come in questa raffigurazione di peccatori, risorti, il peccato, non dell’omosessualità, -in sé condizione non voluta, ma subita-, è invece assunto come modo positivo di essere, vivendolo in quotidiani amplessi, ai quali lo stesso Arcivescovo, come Don Fabio Leonardis, -allora Direttore dell’Ufficio per i Beni Culturali della Diocesi- sembrano partecipare (non pubblico questo particolare per decenza).

(Senza offesa, ma questi risorti sembrano ispirati alla serie televisiva americana

“The walking dead”)

La critica, dunque, in tale materia, è bene che si attenga al simbolo, alla sua assenza o contraffazione, sennò ben posta sarebbe la rimostranza di un certo Tommaso Dore, nel suo libro Misteri di ieri e di oggi a Terni e nella Bassa Umbria, Italus Edizioni, Roma 2013 alle pagine 89-100 (citate dal sito http://www.ternimania.it/2013/05/l-risurrezione-il-dipinto-di-cinalli.html) dove tra l’altro l’autore scrive, provocatoriamente: «Del resto, però, anche Pietro Aretino aveva criticato il Giudizio di Michelangelo paragonandolo ad un postribolo».

 

Convertido, 2009, cm 200×160, olio su tela

Chiaramente si tratta di un pittore blasfemo e più che pornografico, -anche se forse non se ne rende minimamente conto, e penserà di essere un grande artista incompreso-, se ricerca anche un coito tra un essere demoniaco ed una donna, verosimilmente identificabile con una strega …, ma ciò ci

La union, 2003, cm 200×130, pastello

interessa tanto quanto, se non per dire che, oggi, è possibile non solo per un artista al limite, ma per una comunità di fede ed i suoi pastori smarrire il senso della resurrezione.  In simili affreschi, per i quali sembra proprio fuori luogo parlare di kénôsis, non si ha Colui che porta il peccato del mondo, ma che si manifesta e pratica il peccato come stato di vita, lo assume come propria dimensione; la cosa è ben diversa. Eppure tale Giudizio sta in un Duomo.

 

Atraversando el mar de Galilea del 2003, pastello

 

Nella resurrezione, sul piano teologico, come su quello dell’arte sacra, che esprime il bello, il vero, il buono, il giusto ed il santo, la trasfigurazione dell’umano è necessaria perché appaia la realtà della vita di quel Cristo, che si presentò nella kénôsis  del Gesù di Nazaret. Anche per questo, pur ripresentando il Gesù di Nazaret perfino le attese e le ansie dell’uomo di oggi e di sempre, deve trasparire il Kyrios, costituito tale alla destra di Dio, pena l’oblio sia della kénôsis che del Kyrios.

Ciò significa che dobbiamo leggere la vita di Gesù sulla terra alla luce della Risurrezione, affinché la possiamo veramente comprendere. Un’arte ed una teologia, che replichino il Gesù terreno, non possono che esprimersi solo un una dimensione orizzontale-esistenziale senza nulla aggiungere all’uomo di eterno e di speranza, come in questa tela:

 

anziché così

Duccio di Boninsegna, Gesù Cristo tentato sul monte dal diavolo (1308-1311), cm 43,2 x46

tempera su tavola,  New York, Frick Collection

 

La lettura di Gesù attraverso la resurrezione è precisamente quella operata dagli Apostoli e dai quattro Evangelisti, dalla Chiesa primitiva, dalla Tradizione. Per questo la loro «lettura» della vita del Maestro alla luce della resurrezione è più vera e oltre che storica, cogliendo di più la realtà della vita di Gesù, la vita nascosta, segreta. Una lettura oltre che storica può essere più vera di quella storica, che resta in un ambito esteriore che non può cogliere lo «specifico» di Gesù Signore.

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Autore: Marcello Giuliano

Nato a Brescia nel 1957, vive a Romano di Lombardia (BG). Dopo aver conseguito il Baccelierato in Teologia nel 1984 presso il Pontificio Ateneo Antonianum di Roma e il Diploma di Educatore Professionale nel 2001, ha lavorato numerosi anni nel sociale. Insegnante di Religione Cattolica nella Scuola Primaria in Provincia e Diocesi di Bergamo, collabora ai cammini di discernimento per persone separate, divorziate, risposate ed è formatore per gli Insegnanti di religione Cattolica per conto della stessa Diocesi. Scrive sulle riviste online Libertà & Persona e Agorà Irc prevalentemente con articoli inerenti la lettura simbolica dell’arte ed il campo educativo. Per Mimep-Docete ha pubblicato Dalla vita alla fede, dalla fede alla vita. Camminando con le famiglie ferite (2017); In collaborazione con Padre Gianmarco Arrigoni, O.F.M.Conv., ha curato il libro Mio Signore e mio Dio! (Gv 20, 28). La forza del dolore salvifico. Percorsi nella Santità e nell’arte, (2020). Di prossima uscita Gesù è veramente risorto?

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