Evoluzione: i fatti e le teorie

Introduzione

“L’evoluzione non è finalismo. Non ci sono risultati a cui giungere in un processo evolutivo. Per quanto possa stupire qualcuno, il mondo non stava aspettando il nostro arrivo… I primi ominidi scendono dalle piante e iniziano a camminare eretti, comincia ad accrescersi il loro cervello e in seguito a ciò si sviluppano le prime forme di cultura” (Noi e la Biologia, Tramontana, testo per le superiori).

Che sia andata proprio così? Chi lo sa?
Ci ritroviamo a Convegno giovedì 29 marzo al Palazzo della Gran Guardia, a Verona, dalle 16,30 in poi, per cercare di distinguere i fatti dalle teorie: la posta in gioco, come si capisce, è troppo alta. Noi vogliamo sapere se siamo stati pensati o se siamo il frutto di un’evoluzione casuale determinata dalla materia e dall’ambiente, senza alcun progetto e senza alcun destino.

Ne parleremo con un Paleontologo, il prof. Roberto Fondi, dell’Università di Siena, autore insieme al genetista Giuseppe Sermonti di quel “Dopo Darwin”, del 1980, che ha aperto la prima critica importante al neo-darwinismo in Italia e con il prof. Enzo Pennetta, professore di scienze noto anche ai lettori di questo sito, scrittore di diversi saggi sul tema. Il sottoscritto terrà l’ultimo intervento sulla “Evo-Devo”, la versione più aggiornata della teoria dell’evoluzione, che immagina l’embrione quale attore protagonista delle trasformazioni tra le specie.
Come a dire: prima vediamo i fatti, poi ragioniamo sulle teorie compatibili con questi.
Purtroppo, in questo campo, la scienza “ufficiale” ha spesso preferito l’approccio contrario.
Vogliamo proporre le domande che ci interessano e che non si trovano sui libri di scuola.
“Perché esiste la vita?” e ancora: “Perché la vita è fatta così?”; “Perché alcuni animali hanno le vertebre, altri non le hanno?” e avanti.
I libri non presentano domande. Danno solo risposte. Ma non a queste domande.
I libri descrivono come sono fatti gli animali e i vegetali.
Poi li imparentano tutti tra loro. Ma senza darne giustificazione. Dicono: “è apparso,… si è trasformato… era più utile…”
La sensazione di senso comune è che la vita sia straordinariamente diversa dalle sue descrizioni, perché è regìa, è management, è finalità, è teleonomia.
Le sue forme, ovvero, il cuore, la testa, gli occhi, le vertebre, sono assolutamente irriducibili e inspiegabili senza una causa finale.
Che cosa chiediamo allora agli insegnanti? Una sola cosa: uno sguardo capace di cogliere il trascendente dentro la complessità irriducibile della vita.

L’Embriologia e l’Evoluzione

L’embriologia è sempre stata un grandissimo spettacolo per i biologi, ma anche per tutti coloro che hanno avuto la possibilità di vedere qualche filmato o qualche ecografia in gravidanza.
Forse è veramente il “più grande spettacolo dopo il big bang”, come giustamente canta Giovannotti.
L’embrione è il motore di tutti i processi che portano alla sua formazione: non si può spiegare né la spermatogenesi né la ovogenesi con il suo meraviglioso ciclo mensile se non a partire dal nuovo essere che prende il via dall’incontro tra due cellule uniche che dimorano in due corpi diversi e che non conoscono nemmeno l’esistenza l’una dell’altra.
Questo è veramente misterioso!
Ciascuno di noi ha iniziato l’avventura della vita a partire da un incontro tra due cellule che non si conoscono e che dovrebbero anche, in teoria, respingersi a vicenda, come accade nei contatti tra xeno tessuti.
Lo spermatozoo penetra la cellula uovo come un ago che entra nel dito: perché lo può fare? E’ un caso unico tra le cellule del nostro corpo e tra le cellule in generale del mondo animale.
Eppure il richiamo della vita nuova è insopprimibile: bisogna creare un figlio. Non si può invecchiare ed estinguersi.
Poi accade il più grande spettacolo dell’Universo: in poche settimane, quaranta nel nostro caso, da una cellula sferica si formano miliardi di cellule, tutte al loro posto, costruendo un essere capace di piangere, di ridere, di mangiare, di scaricare, di pensare e di … farsi amare!
Da uno a 254 tipi di cellule diverse.
Com’è possibile tutto questo?
La moderna evo-devo, ovvero evolutionary developmental biology, ce lo spiega.
“Gli interruttori genetici funzionano come sistemi GPS. Proprio come questi calcolano la posizione della vettura integrando diversi stimoli, gli interruttori integrano informazioni spaziali nell’embrione rispetto a longitudine, latitudine, altitudine e profondità e definiscono le aree in cui i geni sono attivati e disattivati.” (pag. 109, Sean Carroll, “Infinite forme bellissime”, Codice 2006).
Questa è l’immagine centrale del moderno pensiero della “nuova scienza dell’Evo-Devo”, come recita il sottotitolo del bello libro del genetista Carroll: gli interruttori genetici sono i registi occulti della vita che, a seconda della sinfonia che dirigono, determinano una forma bellissima piuttosto che un’altra e, al contempo, la possono trasformare l’una nell’altra, senza mai interrompere la musica.
Sono addirittura potenti e intelligenti come il Global Positioning System!
I due massimi problemi della biologia teorica, l’ontogenesi e l’evoluzione, sono risolti con un solo termine, “il gene interruttore”: la forma della vita è la manifestazione visibile della sua regia e l’evoluzione della vita è il suo flusso ininterrotto nel tempo, per mutazione.
Sean Carroll è professore di Genetica all’University of Wisconsin e la sua attività scientifica è considerata fondamentale per la comprensione della nuova versione dell’evoluzione, la “Evo-Devo”. Questo libro ne è una importantissima sintesi per il grande pubblico e porta infatti la prefazione di Telmo Pievani.
Vediamo il problema dell’ontogenesi.
Ogni organismo deriva da una cellula sola, sferica e omogenea. Dove si trovano le istruzioni per il montaggio di tutti gli organi di cui è fatto l’animale?
Come fa la testa a prendere la forma che ha e come fa ad assumerla in quella posizione?
E la stessa domanda vale per i denti, per gli occhi, per il cuore, per i piedi, per le unghie, ecc…
E ancora: ciascuna cellula di ogni tessuto (oltre 200 tipi nel corpo umano) possiede gli stessi geni di tutte le altre. Eppure la cellula dell’occhio ha un metabolismo molto diverso da quello della cellula del femore o ancora della cellula di un nefrone; questo accade grazie all’attività di alcuni geni e al silenziamento di altri. Ma chi o che cosa decide questa scelta?
Ecco la scoperta di Carroll: gli interruttori sono i responsabili ultimi di ciascuna fase dello sviluppo dell’embrione e sono attivati tra loro a cascata: quelli ora attivi sono stati indotti da altri precedenti e a loro volta ne stimoleranno nuovi.
Ma cosa c’è all’inizio di tutto?
Qual è la prima mossa nell’uovo fecondato?
E’ la definizione di due poli nella sfera dell’uovo.
E’ la creazione dell’asse principale, quello cefalo-caudale. Segue immediatamente la determinazione degli altri due assi, quello ventre-dorsale e quello latero-laterale. Sembra che gli assi si creino attraverso la distribuzione a gradiente di una o più proteine (tra cui la cordina nei vertebrati).
Una volta determinate le coordinate fondamentali (le tre dimensioni dello spazio) dell’embrione entrano in azione i geni Hox, che costituiscono il kit degli attrezzi per il suo montaggio.
I geni Hox sono una pietra miliare nell’Embriologia contemporanea. Nella Drosophyla sono otto, tutti co-lineari con le strutture anatomiche che si sviluppano lungo l’asse cefalo-caudale, ovvero il primo, lab, crea le labbra e l’ultimo, Abd, crea il segmento anale.
Gli otto geni sono raggruppati in due cluster: Antennapedia (5) per la parte aneriore e Bithorax, per la parte posteriore del moscerino (3).
I loro prodotti sono proteine che funzionano come il repressore lac di Escherichia coli, ovvero agiscono su altri geni, quelli operativi, perchè fabbricano pezzi dell’animale e non la loro architettura.
Un dato interessante è il fatto che ogni loro proteina condivide con le altre una sequenza di 180 basi che, tradotte, diventano i 60 amminoacidi del suo dominio, ovvero della sua parte più importante. Per questo motivo i geni Hox sono detti “omeotici” (simili).
La parte homeobox dei geni della Drosophyla si ritrova pressochè identica anche nel topo o nella rana, manifestando per di più la stessa colinearità e la stessa organizzazione in cluster.
Questo significa che le diverse forme animali sono solo varianti dello stesso tema: non sono disegni nuovi e diversi tra loro.
Per esempio: il gene Eyeless (che provoca, se mutato, la mancanza degli occhi) del moscerino è analogo al gene Aniridia dell’uomo (provoca riduzione dell’iride) e ancora al gene Small Eye dei topi (assenza di occhi, sempre se mutato).
Interessante la loro azione: Eyeless induce un occhio se trapiantato nell’ala (!), mentre Small Eye trapiantato nell’ala del moscerino induce un occhio, attenzione, di moscerino. Questi tre geni costituiscono il cluster Pax-6, un insieme ancora più grande, ubiquitario nel regno animale e sempre implicato nella formazione degli occhi.
Ancora, il gene Distal less (se mutato provoca l’assenza della parte terminale dell’arto), trovato nel moscerino, è responsabile dello stesso effetto nella farfalla, nei crostacei, nei centopiedi, nelle ascidie, nel pollo, nei pesci (pinne).
La famiglia di geni Tinman si trova nel cuore di tutti gli animali, dal moscerino in poi.
Gli esempi si allungano di continuo. C’è da rilevare comunque che la somiglianza non è uguaglianza, tanto che le proteine Hox, Pax-6, Dll e Tinman sono state classificate in diverse famiglie. Ma credo che questo sia un aspetto marginale.
Quello che importa è che questi geni costituiscono il Kit degli attrezzi per il montaggio degli animali e sembrano essere abbastanza universali.
Nel moscerino (l’animale più studiato dai genetisti) sono solo alcune centinaia di geni sul totale di oltre 13.000.
Agiscono tutti o attivando o disattivando i geni strutturali (quelli operativi), oppure generando segnali che, recepiti da altre cellule, attivano una cascata di eventi morfogenetici, tra cui la divisione cellulare, la migrazione, il cambiamento di forma, ecc…
La loro azione si esplica nel tempo a partire dalla fecondazione fino al termine dello sviluppo generando per l’osservatore paesaggi diversi in successione: si parla di “geografia” dei geni dello sviluppo, rappresentata con una bellissima grafica a pag.90, che costituisce veramente un documento eccezionale per capire oggi la “vita”. E’ una pagina che vorrei ingrandita a parete nel mio studio, accanto ai disegni dei miei figli!
La prima mossa, si diceva, è la determinazione dei poli, la successiva, quella degli assi. Segue un altro passaggio incredibile per la complessità: la suddivisione del corpo embrionale in spicchi di longitudine e latitudine (come accade per la Terra), di dimensioni via via più piccole.
Ad ogni spicchio viene quindi assegnata un’identità precisa (un somite, un cuore, uno stomaco,…). La formazione dell’organo specifico procede ora attraverso una ridefinizione di un nuovo “micro-mondo” con poli, meridiani e paralleli… e avanti di nuovo!
Ogni cellula sa quello che deve fare in funzione della sua posizione nell’embrione (un’idea antica in embriologia: è la positional information di Wolpert, 1969, o la sociologie cellulaire di Rosine Chandebois): è l’unico modo per spiegare la morfogenesi, il più grande spettacolo sulla Terra: contemporaneamente si sviluppano ex novo tutti gli organi di cui è fatto l’organismo, a partire da un uovo indifferenziato, tutto uguale e privo di qualunque minima bozza di ciò che sarà dopo qualche settimana!
Tutto procede “come se” il prodotto finito (l’embrione sviluppato) agisse attirando a sé ogni cellula, assegnandole il compito che deve svolgere nel tempo: è “come se” la vita non si costruisse per tentativi, ma sapesse chiaramente quello che deve fare con assoluta certezza, istante per istante e posizione per posizione.
Tutto questo fa pensare.
Vediamo ora il problema dell’evoluzione.
La chiave dell’evoluzione consiste nelle mutazioni a carico dei geni interruttori, che creano nuove geografie di accensione dei geni; a queste nuove geografie corrispondono più somiti o più appendici o diverse appendici come le ali rispetto agli arti.
Non ho lo spazio per dilungarmi su questo tema, ma è già stato detto molto per tirare qualche conclusione.
Bellissimo il libro, complimenti a Carroll e a tutta la squadra di ricercatori più o meno noti che hanno lavorato per mesi o talora per anni per scoprire la funzione anche di un solo gene.
I dati sono tutti merito loro; le loro interpretazioni, ora, si devono discutere insieme: è così che la scienza progredisce.
Vorrei riprendere l’immagine iniziale del GPS. Paragonare il nostro DNA ad un sistema integrato high tech significa attribuirgli una complessità ed una intelligenza che non sono attributi riferibili ad una molecola. E’ fin troppo evidente la sproporzione tra un interruttore e l’animale che bisogna costruire.
L’acido desossiribonucleico non è capace di “integrare informazioni spaziali e trasformarle in ordini esecutivi differenziati e direzionati”, perché è solo un acido.
E’ il suo “codice” che lo rende intelligente e quindi capace di ricevere e di trasmettere informazioni. Ma che cos’è questo codice e da dove viene?
Si potrebbe fare un piccolo passo di logica (un infinito passo per gli evoluzionisti) e riconoscere che nei geni interruttori giace un surplus di “istruzioni” che è distinguibile dalla materia, così come accade in ogni comunicazione, dove il suo “senso” è separabile dalla materia che la veicola.
Quindi, la causa ultima deve precedere i geni interruttori, per poterli informare.
Spiace inoltre, lo devo confessare, che in tutte le 300 pagine del libro, a fronte di descrizioni di fenomeni veramente meravigliosi e stupefacenti come la formazione di animali, di organi e di arti (vi è forse qualcosa di più grande che i nostri occhi possono contemplare?), non si ricorra mai ai concetti che affiorano ovunque: il ”progetto” e la “finalità”.
Personalmente, dopo anni di riflessioni sulla biologia, ritengo che la causa ultima dei processi che si snodano mirabilmente, dalla fecondazione in poi, senza soluzioni di continuità, senza sforzi, senza ripensamenti, per forze solo interne, senza errori, sia proprio l’obiettivo da raggiungere: il corpo dell’animale.
I geni interruttori agiscono in modo corretto solo se sono “consapevoli” del progetto completo, di cui costituiscono solo che una parte: è quanto si afferma in quella bellissima grafica di pag. 90: ogni cellula conosce le proprie coordinate geografiche e in base a queste sa quello che deve fare. La cellula non procede per tentativi (“vediamo quello che succede”) ma per scelte decise tra infinite possibilità!
Sono “le chiavi in mano” del prodotto finito a determinare tutto il flusso di informazioni che gorgoglia dall’uovo fecondato, in una modalità che, secondo me, percepiamo solo a tratti.
A tratti, perché la “consapevolezza del progetto” non può essere racchiusa in un pezzo di DNA, così come in altre molecole. Se i geni Pax-6 sono degli interruttori fondamentali nella genesi dell’occhio dev’essere altrettanto vero che quello che accade come risposta alla loro azione richiede una cascata di informazioni high tech difficilmente incluse in un solo ordine iniziale: si formano spontaneamente una retina, un cristallino, una cornea, un globo, un nervo, tre paia di muscoli… e il tutto moltiplicato per due, per consentire la visione stereoscopica!
Più si studia la “vita” e più ci si accorge che è qualcosa di grande, che deborda sempre dai confini che le abbiamo disegnato intorno: è fatta di cellule ma si serve di queste, le muove e le organizza come un vero e proprio manager che sa quello che vuole.
Il titolo del Convegno di oggi è: Evoluzione: i fatti e le teorie.
Allora quali sono i Fatti mostrati dell’Embriologia: la consapevolezza del progetto comprime lo spazio della casualità e dilata lo spazio dell’informazione. Il campo morfogenetico, ovvero il paesaggio che canalizza tutte le mosse dello sviluppo precede ogni evento.
Come le leggi della fisica precedono il comportamento della materia, così le leggi dello sviluppo precedono i processi dell’embrione, che sono destinati alla perpetuazione del modello di specie cui appartiene.
Le forze interne che costringono le infinite mosse del processo morfogenetico sono fortemente stabilizzate e non consentono variazioni di alcun tipo, pena la malformazione o l’aborto.
Non si vede dove possa collocarsi lo spazio per la trasformazione di un piano di sviluppo in un altro, in modo repentino, come afferma il saltazionismo degli equilibri punteggiati di Gould e di Eldredge.
Il gradualismo nell’evoluzione appartiene ormai al passato (eccetto che nei libri di testo scolastici); ma il saltazionismo non trova alcuna complicità nello sviluppo dell’embrione, come invece vorrebbe la moderna teoria dell’Evo-Devo.
Tutte le mutazioni dei geni Hox che conosciamo in Drosophyla portano a “mostri” o comunque a varianti non significative dal punto di vista dell’evoluzione.
L’origine dei paesaggi morfogenetici tipici di ciascuna specie rimane ancora un grande mistero e la ricerca rimane aperta, più di prima.
In conclusione: tutto accade nella “vita” come se ci fosse un “protagonista” invisibile… tant’è vero che pensa addirittura a riprodursi (!)… ma certamente non per la decisione di un gene-interruttore.

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7 pensieri riguardo “Evoluzione: i fatti e le teorie”

  1. parlare di finalita’ , di scopo, non significa dare un senso eico alla ricerca scientifica?

    e poi , e’ proprio cosi’ grave dare un senso etico alla scienza?

    e dare un senso etico alla scienza non significa anche darle un argine di valore che autonomamente non puo’ darsi?

    non significa dare alla scienza una dimensione veramente umana per evitare di compiere atti disumani in nome della stessa?

    e’ l’uomo al servizio della scienza o la scienza al servizio dell’uomo?

  2. E’ proprio vero caro Enzo.
    La metafisica che è stata esclusa ormai dalla ricerca filosofica è rientrata dalla finestra proprio degli scienziati.
    I veri metafisici sono ora gli scienziati che si chiedono la causa ultima di tutto.
    Ed è così: per escludere il finalismo, i darwiniani continuano a riportare cause finali.
    Ma perchè aver paura di una sana ricerca filosofica che porta a conclusioni che sono poi a nostro favore? (un Dio ci pensa dall’eternità….!)

  3. La complessità irriducibile deriva dal fatto che il totale (l’occhio) è di più delle sue parti (cornea, cristallino, retina, umor vitreo, nervi ottici, muscoli oculomotori, …). Se non c’è una mano esterna che li aggiusti insieme con lo scopo di costruire un occhio, da soli non possono auto assemblarsi.
    Le cellule fotosensibili sono perfettamente adatte allo scopo di individuare la fonte di luce distinguendola dal buio. Punto. Gli occhi degli insetti sono adatti a cogliere il volo o a cogliere il nettare. Punto. Ogni occhio, cioè, è adatto a fare quello che deve fare, ma non è una fase di transizione verso qualcosa di diverso.
    Così come le somiglianze nel mondo animale sono infinite, ma non implicano mai trasformazioni le une nelle altre perché sono perfettamente adatte a fare quello che devono fare.
    Rimane il mistero della comparsa della complessità, in modo improvviso ed efficace. Ma è la bellezza della vita!
    Cordialmente, Umberto Fasol

  4. Caro Botrero,
    analizziamo bene la questione dell’occhio: l’esempio della patologia non mi pare illuminante. Il problema rimane questo: come possono pezzi differenti tra loro, che da soli non servono a nulla (!!!) sistemarsi da soli nell’unica modalità possibile per cui producono un effetto assolutamente imprevedibile?
    Il cristallino posato sull’erba non serve a nulla. Lo stesso vale per il muscolo oculomotorio.
    Detto questo, non avrei alcuna difficoltà ad accettare l’evoluzione se la vedessi.
    Il punto è che non vedo nè nei fossili nè nella genetica la prova documentata di un occhio che da solo, progressivamente si complessifica.
    I fossili non hanno mai mezzi occhi.
    Le mutazioni degli occhi di Drosophyla non hanno mai portato a migliorie ma solo a mostri o a occhi ectopici.
    Insomma, veramente tutta la teoria mi sembra che ormai non regga alle conoscenze della biologia contemporanea: tutta la realtà biologica è complessissima e in alcun modo presenta segni di transizione ma solo di stabilità, pur con le sue imperfezioni.
    Mi piacerebbe che Lei avesse modo di approfondire la questione leggendo Behe oppure, modestia a parte, i miei libri.
    grazie per l’attenzione

  5. Bene.
    A questo punto il dibattito si fa molto molto serio.
    Le osservazioni riportate come obiezioni alla complessità irriducibile, secondo me, non annullano il fenomeno.
    Credo che a questo punto, però, sia utile spostare l’attenzione su altri esempi, visto che su quelli fatti finora non troviamo un consenso comune.
    Possiamo analizzare il corpo umano in toto ed osservare come i miliardi di cellule che lo compongono, pur essendo uguali tra loro come genotipo e come fonte, in realtà si sono differenziate e svolgono ruoli molto diversi tra loro. Si parla di tessuti, di organi, di apparati, di organismo intero.
    Prendiamo il cuore. Da solo non serve a nulla. Deve avere la forma che ha, i collegamenti che ha, il ritmo che ha, ecc…
    Il cuore prende senso solo se collocato nel contesto.
    La stessa cosa si può dire per qualunque altro organo. Da solo non ha nemmeno un’identità (che cos’è un rene da solo?), ma inserito in un contesto diventa un suo “pezzo” e collabora alla realizzazione di uno scopo superiore: mantenere in vita un organismo intero.
    Il corpo è uno stupendo esempio di complessità irriducibile.
    E’ vero che si può vivere anche con un rene solo, oppure ciechi, oppure senza le gambe, ma, questo non toglie nulla all’ordine e alla perfezione di un corpo intero (che è quello che devo spiegare).
    Anche la macchina fotografica può essere costruita a partire da pezzi impiegati con altri scopi, ma questo non significa che nella macchina i pezzi siano stati montati con lo scopo di fotografare.
    Insomma, io trovo veramente incredibile che mentre tutti riconosciamo scopi e progetti impressi a qualunque nostro manufatto, dalla penna biro al computer, non li riconosciamo nei viventi, anzi lì siamo disposti a credere che sia ragionevole pensare che la materia si sia autoorganizzata a formare un’infinità di forme.
    La teoria dell’evoluzione prevede proprio questo: atomi di polvere e di aria si uniscono e formano la vita e poi avanti fino all’elefante e all’uomo sempre senza alcun progetto o scopo.
    No, io questa materia che da sola fa tutto senza nemmeno una spintarella, proprio non la concepisco.
    Voglio vedere una cellula nascere nel brodo prebiotico, voglio vedere un pesce diventare un anfibio almeno in laboratorio, voglio vedere le squame di rettile diventare pelo di mammifero, voglio vedere comparire l’utero e la sacca amniotica….
    E’ curioso che ogni volta che i libri di testo introducono una novità nel cammino dell’evoluzione la spiegano sempre con una causa finale (il liquido amniotico serviva per proteggere l’embrione… l’utero ancora di più) che poi però vogliono sempre rinnegare.
    Per conto mio senza una causa finale non si spiega nulla di tutto ciò che esiste, nemmeno questo scambio di mail che stiamo facendo…

  6. Posso camminare anche con una gamba rotta, ma io devo spiegarmi come siano nate la gambe, così come posso vedere anche con qualche piccolo difetto.. ma io devo spiegare come abbia potuto nascere un occhio.
    Che un fermacravatte diventi una trappola per topi… bè, almeno non si trasformerà da solo!
    Il flagello batterico si trova anche altrove con strutture più o meno simili: certamente!
    Ma io devo spiegare l’armonia e la finalità di un flagello che serve a nuotare.
    Gli occhi del nautilus, ecc… ma certamente che esistono occhi diversi in specie diverse, ma non mi è lecito trattare una linea che li congiunga per discendenza!
    Le analogie e le somiglianze in natura sono tantissime, ma non per questo una discende dall’altra: mancano le prove e lo si riscontra tutte le volte che si legge il racconto dell’evoluzione concreta sui libri di testo.
    A parole sono tutti bravi, ma quando affrontano la nascita di ogni novità… le descrizioni cadono tutte nel ridicolo.

  7. Sì, sono intervenuto con Margherita Hack.
    La ringrazio per le belle parole.
    Mi limito a rispondere alle sue osservazioni che la mia posizione critica nei confronti della possibilità intrinseca della materia ad evolvere da sola fino all’uomo non deriva dalla mia fede in Dio, ma solo dal fatto che non ho mai studiato sui libri di chimica o di biologia alcuna legge che spieghi come – fissate determinate condizioni di partenza – la materia si complessifica.
    Io rimango della mia idea: ogni struttura vivente è un prodotto high tech e non so come si sia formato. Certamente non step by step.
    La ringrazio per l’intelligente scambio di mail e chissà che non ci incontriamo da qualche parte. Io vivo a Verona.

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