Un ex massone si confessa: così influenzammo la legge sull’aborto in Francia. E così, a Lourdes, il Signore mi chiamò

Nato nel 1933 a Bordeaux da genitori agnostici (che non lo battezzarono), di professione medico, Maurice Caillet entrò nella Massoneria nel 1969 e vi rimase per 15 anni. Una casa editrice spagnola, LibrosLibres, ha recentemente pubblicato un piccolo saggio in cui Maurice racconta la propria storia: Yo fui masòn, “Sono stato massone” (1). 

 

Nel volume, stando alle anticipazioni che ricavo da un’intervista dell’autore a Zenit.org (2) e da un capitolo liberamente consultabile in internet (3), le informazioni succose sono parecchie. Alcune testimonianze di prima mano sui modi in cui i massoni si “aiutano” tra loro, innanzitutto. L’influenza sulla politica, i giuramenti, i rituali esoterici ed occultistici, l’avversione mortale alla Chiesa cattolica. E il ruolo decisivo che la Massoneria svolse nell’approvazione della legge francese sull’aborto del 1974, approvazione in cui giocò una parte lo stesso Caillet. 

 

Quel che alla fine risulta più interessante, però, è ben altro. Riporto per intero, qui sotto, il passaggio finale dell’intervista a Zenit, in cui Maurice narra di come la Grazia seppe conquistarlo e cambiarlo.

 Ero razionalista, massone e ateo. Non ero neanche battezzato, ma mia moglie Claude era malata e decidemmo di andare a Lourdes. Mentre lei era nelle piscine, il freddo mi costrinse a rifugiarmi nella Cripta, dove assistetti con interesse alla prima Messa della mia vita. Quando il sacerdote, leggendo il Vangelo, disse: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto”, ebbi uno shock tremendo perché avevo sentito questa frase il giorno della mia iniziazione al grado di Apprendista ed ero solito ripeterla quando, già Venerabile, iniziavo i profani. Nel silenzio successivo – perché non c’era l’omelia – sentii chiaramente una voce che mi diceva: “Bene, chiedi la guarigione di Claude, ma cosa offri?”. Istantaneamente, e sicuro di essere stato interpellato da Dio stesso, pensai che avevo solo me stesso da offrire. Al termine della Messa, andai in sacrestia e chiesi immediatamente il Battesimo al sacerdote. Questi, stupefatto quando gli confessai la mia appartenenza massonica e le mie pratiche occultiste, mi disse di andare dall’Arcivescovo di Rennes. Quello fu l’inizio del mio itinerario spirituale.

  

 

 

 

 

 

 

(1) http://www.libroslibres.com/ficha_libro.cfm?id=221&

(2) http://www.zenit.org/article-16077?l=italian

(3) http://www.libroslibres.com/pdf/LibrosLibres.%20Yo%20fui%20masón.%20Capítulo%20primero.pdf

 

 

 

E.M. Radaelli, “Ingresso alla bellezza”, Fede & Cultura 2007

Strano destino, quello della speculazione sull’arte. Presente da sempre almeno nelle pieghe delle riflessioni dei grandi pensatori, la filosofia estetica si è configurata in area di ricerca specifica solo a partire dalla metà del Settecento. ? il leibniziano Baumgarten a coniarne il nome: filosofia “estetica”, appunto, da aisthesis, che in greco significa “percezione”. Strano destino, dicevo, perché al meritato ottenimento di uno statuto epistemologico autonomo è storicamente succeduta, fin da subito, la decadenza in senso relativistico e antimetafisico della disciplina. Una delle definizioni che Baumgarten fornisce dell’estetica è, in quest’ottica, rivelatrice: “gnoseologia inferior“, a sancire un incoativo distacco da quella scienza “superior” in cui si radica invece il discorso metafisico. L’estetica, insomma, si configura sul nascere come disciplina dell’immanenza, “sapere della finitezza” deliberatamente emancipatosi da qualsivoglia ancoraggio ontologico, metafisico, religioso. L’antica coincidenza dei trascendentali verum, bonum e pulchrum è, sempre più esplicitamente, ripudiata.
A fine Settecento si registrano le velleità reazionarie di Schiller, che tenta di ridare fondazione ad un’estetica di foggia classica e tradizionale sulla base, però, di una completa accettazione degli assiomi soggettivistici baumgartiani e kantiani. Il necessario fallimento dell’impresa, pur nobile, apre speculativamente la strada alle degenerazioni – prima romantiche, poi avanguardistiche – dell’arte occidentale degli ultimi due secoli. Gli astrattismi anarchici, gli schizzi di colori puri, i guazzabugli insensati di suoni e di forme dell’arte contemporanea sono eloquenti testimonianze terminali, in ogni provincia creativa, del ripudio tutto filosofico della metafisica operato nel Settecento dai primi estetologi. Le dissacrazioni e le profanazioni, poi, a cui gli artisti contemporanei ci hanno abituato sono, a loro volta, persuasive prove di come il rifiuto della metafisica conduca necessariamente al rifiuto di ogni morale e di ogni pietas. L’estetico “sapere della finitezza” genera un’arte astratta, vacua, iconoclasta, brutta e brutale, in ultima analisi empia.
Il libro di Enrico Maria Radaelli, uscito nel 2007 per Fede & Cultura, è stato scritto per rifondare – o addirittura per fondare ex novo, almeno in una forma teoreticamente compiuta – la concezione cattolica e dunque attendibile e autentica della scienza estetica. L’ancoraggio metafisico è immediatamente recuperato, e in modo non banale: a fornire le categorie ultime della teoresi radaelliana è la stessa Santissima Trinità, al di fuori della Quale non si dà vera adorazione, vera conoscenza e vera arte. Come solo san Tommaso d’Aquino ha saputo riconoscere, i Sacri Nomi del Figlio sono due: Verbum e Imago, tra loro correlati – scrive Radaelli – in un rapporto di “supersimmetria” ovvero di ultimativa coincidenza. Il Figlio, in altre parole, è non solo Verbo o Logos del Padre (e in quanto tale presiede all’universo del Linguaggio), ma anche Sua perfettissima Immagine o Eikon, dotato quindi di signoria sul mondo della Rappresentazione.
Dalla predetta supersimmetria in Cristo consegue nelle realtà naturali il fatto che “corrispondenza tra verità e bellezza vi è, tanto quanto ve n’è, ad esempio, tra sillogismo e proporzione aurea. Ciò vuol dire che vi è anche corrispondenza tra pensiero e oggetto pensato, tra logos e res, tra contenuto e forma, tra dottrina e retorica. Tra religione e arte“. Il richiamo ai due Sacri Nomi del Figlio permette a Radaelli di fondare, in perfetta assonanza con il realismo tomistico, una teoria generale del linguaggio (e dell’arte) come “metafora” della realtà naturale. Si fanno a questo punto evidenti, e sono ben sviscerate dall’Autore tramite acute incursioni storico-critiche, le implicazioni estetiche, gnoseologiche e anche morali dell’itinerario teorico fin qui grossomodo delineato.
Implicazioni che, verso la fine del volume, si rivelano anche liturgiche. Come è arguibile speculativamente che fine primario dell’arte è quello adorativo dovuto alla Santissima Trinità, altrettanto è dimostrabile storicamente che da sempre l’arte, e ogni arte, si raccoglie e si esalta attorno all’altare del Sacrificio cattolico. Ci ricorda Radaelli che esiste una liturgia, quella detta di San Pio V dal nome del suo grande sistematore, che pienamente convoglia ogni genere di pulchrum al suo fine ultramondano, rapendo a Dio il cuore e l’anima dell’uomo. Un pur sommario confronto operato con la liturgia attuale, ma anche con l’architettura sacra degli ultimi decenni, è di per sé indicativo della strada da percorrere.
Ingresso alla bellezza è certamente il capolavoro di Radaelli. Esso rappresenta, mi pare, la “via estetica” alla problematica fondamentale di ogni grande filosofia cattolica degli ultimi secoli: come saldare nuovamente, cioè, dopo le arbitrarie scissure cartesiana e kantiana, conoscenza umana e realtà delle cose; ragione e verità; sensazione e bellezza; sentimento e morale. In ultima analisi, uomo e Dio.

Esce a ottobre “Perché credo”, il nuovo libro di Vittorio Messori

Riportiamo dal sito vittoriomessori.it il retro di copertina del nuovo libro-intervista del noto scrittore con Andrea Tornielli, in uscita ad ottobre per Piemme.

Vittorio Messori è il più noto scrittore cattolico, la sua fama ha varcato da tempo i confini nazionali. Autore di best-seller tradotti in tutto il mondo, con il primo libro, Ipotesi su Gesù – l’inchiesta divulgativa ma rigorosa che ha dato inizio ai suoi saggi sulla storicità dei vangeli – ha superato il milione di copie solo in Italia. Interlocutore dell’allora cardinale Ratzinger (e quel saggio, Rapporto sulla fede, ha segnato l’inizio della fine del caos postconciliare), ha avuto poi il privilegio del primo libro intervista con un papa, Giovanni Paolo II: 53 lingue, più di 20 milioni di copie. Molti altri volumi di grande impatto internazionale gli hanno confermato un ruolo di “reinventore” della moderna apologetica.

Eppure, Messori non è nato cattolico. Anzi. L’educazione familiare e la formazione scolastica ne avevano fatto un anticlericale e un razionalista della dura scuola torinese. Poi, nell’estate del 1964, nei giorni dei funerali di Togliatti, accade Qualcosa di imprevisto e di imprevedibile. Il laureando in Scienze Politiche che stava alla larga dalle chiese, l’allievo di famosi Maestri sprezzante verso la “sub-cultura cattolica”, non si converte ma, come a forza, “è convertito”. Si scontra, inaspettatamente, con quel Gesù di Nazaret alla cui figura dedicherà gli studi di una vita. Una storia insolita e in fondo drammatica, che Messori descrive per la prima volta in questo dialogo con il collega Andrea Tornielli, svelando molti particolari fino ad ora taciuti. Una svolta radicale, tale da rovesciare la sua vita e da cambiare quella di molti che, grazie ai suoi libri, hanno scoperto o riscoperto la fede.

Nelle sue parole non c’è traccia di clericalismo, di integralismo, di nostalgia per una cristianità tramontata. Assente, in lui, anche il moralismo: mai si è proposto come modello di vita, sorride di chi si atteggia a “profeta”, allergico a ogni posa edificante spera per sé che la misericordia del Cristo superi, e di molto, la giustizia. Nella sua ricerca si è sempre preoccupato dei fondamenti della fede, lasciando ad altri di indagare sulle conseguenze morali e socio-politiche. Uomo di frontiera tra le “due culture” (ha lavorato a lungo a La Stampa, da anni collabora al Corriere della sera ma si è impegnato anche ad Avvenire e nei Periodici Paolini), la sua è una prospettiva cattolica del tutto ortodossa e, al contempo, non conformista, scandalosa per timorati e benpensanti. Innamorato della libertà, convinto che la fede vada proposta e mai imposta, cosciente che la virtù esige la possibilità di optare per il vizio, troppo ironico per vestire i panni del predicatore, Messori non rifiuta a priori questo mondo post-moderno. Ne vede le contraddizioni, denuncia le ipocrisie della ideologia egemone – il “politicamente corretto”, per il quale, ad esempio, la pena di morte per i criminali è una vergogna, mentre quella per i nascituri innocenti è un diritto sacrosanto e un progresso civile – ma vede le chances di una società dove il credere è una libera “scommessa” e dove i cristiani ritrovano la funzione di lievito, di sale, di granello di senape. Minoritari ma non marginali, secondo la prospettiva indicata loro da Gesù stesso. Un libro emozionante, di grande spessore culturale, di esperienze singolari, di rovesciamenti di schemi, di giudizi spiazzanti, di fede “pensata” senza paura. Ma, al contempo, pagine di grande umanità. Per dirla ancora con Pascal: “Pensavano di trovare un autore. Hanno trovato un uomo“.

T. Scandroglio, “La legge naturale” (Fede & Cultura)

La Chiesa italiana richiama sempre più spesso i politici cattolici, ma anche i semplici fedeli come tutti noi, al dovere di promuovere comportamenti e provvedimenti pubblici improntati al rispetto della “legge naturale”. In quanto inscritta nel cuore di ogni uomo e derivabile dalla sua stessa natura razionale, la legge naturale non costituisce affatto un dogma di fede: si tratta, al contrario, di un’istanza riconoscibile con la sola ragione, e dunque strettamente vincolante anche per i non cattolici. Di qui l’invito pressante, anzi l’obbligo formulato dalle gerarchie ecclesiastiche, di valorizzarla e sostenerla con forza anche a livello di discorso pubblico. Si pone, però, un problema: quanti, tra gli stessi cattolici, sono a conoscenza del processo di fondazione razionale che conduce alla specificazione dei vari obblighi inerenti alla legge naturale? ? lecito pensare che siano molto pochi. Per porre rimedio a questa situazione, un giovane studioso di filosofia del diritto come Tommaso Scandroglio ha recentemente pubblicato un agilissimo volumetto dal titolo La legge naturale. Un ritratto (Fede & Cultura). In esso si espone in modo molto semplice e con dovizia di esempi la dottrina tradizionale classico-cristiana sul diritto naturale, rifacendosi in particolare alle cristalline argomentazioni del doctor communis, San Tommaso d’Aquino. Scandroglio semplifica e chiarisce ad uso di chiunque i concetti di “legge eterna” (di cui la legge naturale è “partecipazione nella creatura razionale”), “coscienza”, “precetto morale”, “diritto positivo” e molti altri ancora, fornendo uno strumento utilissimo alla battaglia culturale in cui ogni cattolico si trova oggi impegnato. In assenza di una fondazione complessiva, infatti, le singole argomentazioni morali (circa l’aborto o l’omosessualità, ma anche l’obbligo o meno di pagare le tasse…) rischiano di cadere nel vuoto di presupposti non condivisi, o intravisti solo a stento dai nostri interlocutori e persino da noi stessi. ? dunque altamente consigliabile la lettura di questo libricino, il cui merito principale è forse quello di ricordarci che lo scopo della morale non è quello di “tarpare le ali” all’uomo, ma quello di condurlo alla plenitudo essendi, alla piena realizzazione della sua natura: in altre parole, alla felicità. Prefazione di Mario Palmaro.

Cfr. http://www.fedecultura.com/2007/10/la-legge-naturale-tommaso-scandroglio.html