Le Virtù Teologali in tre racconti

FEDE

I campi erano arsi e screpolati dalla mancanza di pioggia. Le foglie pallide e ingiallite pendevano penosamente dai rami. L’erba era sparita dai prati. La gente era tesa e nervosa, mentre scrutava il cielo di cristallo blu cobalto.

Le settimane si succedevano sempre più infuocate. Da mesi non cadeva una vera pioggia.

Il parroco del paese organizzò un’ora speciale di preghiera nella piazza davanti alla chiesa per implorare la grazia della pioggia.

All’ora stabilita la piazza era gremita di gente ansiosa, ma piena di speranza.

Molti avevano portato oggetti che testimoniavano la loro fede. Il parroco guardava ammirato le Bibbie, le croci, i rosari. Ma non riusciva a distogliere gli occhi da una bambina seduta compostamente in prima fila.

Sulle ginocchia aveva un ombrello rosso.

Pregare è chiedere la pioggia, credere è portare l’ombrello.

 

SPERANZA

Quattro candele bruciando, si consumavano lentamente. Il luogo era talmente silenzioso che si poteva ascoltare la loro conversazione.

La prima disse: “Io sono la Pace, ma gli uomini non mi vogliono, non mi resta che spegnermi”. E così fu. A poco a poco la candela si lasciò spegnere.

La seconda disse: “Io sono la Fede, ma purtroppo non servo più a nulla, gli uomini non vogliono saperne di me. Non ha senso che resti accesa”. Una leggera brezza soffiò su di lei e la spense.

La terza a sua volta disse: “Io sono l’Amore, ma non ho la forza per continuare a rimanere accesa perché gli uomini non comprendono la mia importanza”. E la candela si lasciò spegnere.

In quel momento un bimbo entrò nella stanza e vide le tre candele spente. “Ma cosa fate? Voi dovete rimanere accese. Io ho paura del buio!”. E, così dicendo, scoppiò in lacrime.

Allora la quarta candela disse: “Non piangere, finché io sarò accesa, potremo sempre riaccendere le altre candele, io sono la Speranza”.

Con gli occhi lucidi il bimbo prese la candela della Speranza e riaccese tutte le altre.

e CARITA’

Dopo una vita lunga e coraggiosa, un valoroso principe cinese morì senza rimpianti e senza sofferenze. Per la sua bontà e la sua onestà fu destinato ad andare in Paradiso. Siccome era un uomo molto curioso, prima di entrare in Paradiso chiese di poter dare un’occhiata anche all’Inferno.

Un angelo lo accontentò.

Così il valoroso principe entrò per un attimo all’Inferno. E vide un vastissimo salone da pranzo che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di pietanze succulente e di golosità inimmaginabili (arrosti, salumi, formaggi, torte, frutta,…). Ma gli abitanti dell’Inferno, che sedevano tutt’intorno, erano smunti, pallidi, lividi e scheletriti da far pietà. Insomma erano condannati a soffrire anche davanti a tante cose buone e dolci da mangiare.

“Com’è possibile soffrire?” chiese il principe alla sua guida, “con tutto quel ben di Dio davanti!”

“Soffrono perché non riescono a mangiare. Come vedi sul tavolo ci sono solo forchette e cucchiai lunghi due metri e devono essere rigorosamente impugnati all’estremità per portarsi il cibo alla bocca. Ma per quante prove facciano, con posate così lunghe, non riescono a mangiare”.

Il coraggioso principe cinese rabbrividì. Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppure una briciola sotto ai denti.

Non volle vedere altro e chiese di andare subito in Paradiso.

Qui lo attendeva una sorpresa. Quando entrò si accorse subito che in Paradiso c’era un grandissimo salone da pranzo assolutamente uguale a quello dell’Inferno!

Dentro l’immenso salone c’era un’infinita tavolata con sopra un’identica sfilata di piatti deliziosi (arrosti, salumi, formaggi, torte, frutta,…) proprio come all’Inferno. Non solo: sulla tavola c’erano le stesse posate lunghe due metri, da impugnare all’estremità per portarsi il cibo alla bocca, proprio come all’Inferno. C’era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, grassottella, sprizzante di gioia.

“Ma com’è possibile che qui in Paradiso la gente sia felice se hanno le stesse condizioni dell’Inferno?”, chiese stupito il coraggioso principe.

L’angelo allora sorrise: “All’Inferno ognuno pensa per sé. Ognuno si affanna da solo a prendere il cibo, con le lunghe posate, per portarlo alla propria bocca. Sono egoisti, come sono sempre stati nella loro vita. Qui in  Paradiso, al contrario, tutti collaborano tra di loro. E ciascuno prende il cibo con le lunghe posate e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino.

Insomma ognuno aiuta l’altro, e tutti riescono a mangiare”.

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