Il romanzo, un genere letterario controverso

Il romanzo è un genere letterario relativamente recente che – in Italia, ma non solo – ha faticato molto ad imporsi, sia perché non aveva una legge codificata a cui rifarsi, non avendo una tradizione alle spalle, sia perché trovò una forte censura in alcuni esponenti intellettuali, che lo giudicavano come immorale e nocivo alla salute.

Fino alla fine del ‘500 si intendeva con il termine romanzo “una narrazione in versi”, generalmente strutturata sul modello ariostesco del poema cavalleresco.
Solo nel 1600 si cominciò ad in tendere per romanzo “una narrazione lunga in prosa“.
Questo è il secolo del romanzo barocco, il quale – benché temporalmente limitato – ha avuto una grande importanza, perché ha portato all’affermazione di un nuovo genere letterario di massa, fondato su logiche di mercato.
Per convenzione, si è soliti circoscrivere il romanzo barocco nel lasso temporale che va dal 1624, data in cui uscì L’Eromena di Gian Francesco Biondi, al 1662, anno di pubblicazione di La peota smarrita, ultimo libro di una trilogia di ambientazione veneziana di Girolamo Brusoni.
Il romanzo barocco si rifà essenzialmente al poema cavalleresco, per cui punta a generare interesse e meraviglia nel lettore, sviluppando una trama interessante e avventurosa. I protagonisti dei romanzi di questo periodo devono superare innumerevoli peripezie, per terra e per mare, per riuscire a dare concreta realizzazione, generalmente, ad una amore a lungo protratto.
In queste composizioni si pone l’accento sulle descrizioni delle varie situazioni, senza toccare in alcun modo quello che è l’aspetto psicologico, interiore, dei vari personaggi.
Con La peota smarrita del Brusoni, si diceva, si suole definire concluso il periodo di produzione barocco, anche se fino al 1680 circa si ha ancora qualche pubblicazione in tal senso.
In Italia, dopo questa data, c’è un vuoto che si protrae fino alla seconda metà del Settecento, momento in cui c’è una rinascita del romanzo grazie alle opere dell’abate Pietro Chiari.
Per sopperire a questa lacuna di più di mezzo secolo, in Italia vengono importate le traduzioni, rigorosamente in francese, dei grandi romanzi europei, in prevalenza provenienti da Francia ed Inghilterra, i due veri poli letterari di questo periodo. Le avventure di Gulliver, Robinson Crusoe, La nouvelle Heloise, Tom Jones, La Pamela… sono solo alcuni dei titoli maggiormente noti.
Verso la metà del Settecento c’è anche la nascita di quella che è stata definita la “letteratura rosa”, perché specificatamente rivolta ad un pubblico femminile, che cerca nella lettura uno specchio della propria vita.

E’ con il Settecento e con l’affermazione della classe borghese, quindi, che il romanzo si diffonde, cominciando ad essere visto come un bene di cui godere nel privato della propria camera, magari davanti al fuoco. Nel contempo, anche gli autori di tale genere letterario prendono sempre più consapevolezza del ruolo pedagogico delle proprie opere e, di conseguenza, della loro funzione di guide all’interno della società.
Infine, è proprio in questi anni che nascono due concetti strettamente connessi tra di loro: quello del “diritto d’autore” e quello, rispondente alla logica di mercato, per cui un autore vive delle proprie opere.


Le critiche al romanzo

Come si accennava sopra, il genere “romanzo” ha stentato molto ad imporsi anche perché ha trovato, nel corso del Seicento e del Settecento, una nutrita schiera di oppositori.
Per esempio, per il piacentino Pio Rossi, il romanzo era la fonte principale della decadenza morale sempre più dilagante nel ‘600 e lo considerava un male sia per il quanto che per il quale perché, oltre a far perdere del tempo, era anche causa di malattie fisiche e di pervertimenti viziosi.
Anche nel 1700 ci sono dei fieri oppositori del nuovo genere. Nel 1764 Baretti, recensendo su “La Frusta Letteraria” La Pamela fanciulla del Goldoni, suggerisce alle nobildonne di lasciare la lettura dei romanzi alle donne del popolo, incolte. Pochi anni dopo, nel 1769, Roberti nel suo Del leggere i libri di divertimento, avanza l’accusa per cui i romanzi sono da evitare in quanto distraggono le classi sociali dalle loro legittime occupazioni.
Ovviamente non è solo l’opera finita ad essere oggetto di critica, ma lo sono anche coloro che a tale prodotto danno la vita. Gozzi, nelle sue Memorie inutili (1787), interpretando il pensiero di tutta l’Accademia dei Granelleschi, definisce i romanzieri come dei “logora tori di penne”.

Si sa, inizialmente le novità vengono sempre viste come un potenziale pericolo. L’importante è però non fermarsi al pregiudizio, ma andare a verificare in profondità le varie opportunità che una innovazione comporta.
Nel caso del romanzo, già Ferrante Pallavicino nel 1660 affermava che dilettarsi nella lettura è come fare una passeggiata in un giardino, dove il lettore può cogliere liberamente ciò che vuole, distinguendo ciò che è buono da ciò che è cattivo. Infatti, affermava Pallavicino, vi sono dei romanzacci di cui mondo ha ben donde di dirsi nauseato, perché la loro lettura non è fonte né di diletto, né di utilità.

Oggi la situazione è la medesima. Sul mercato continuano a comparire nuovi libri, romanzi ma non solo.
La bravura dei lettori sta nel non lasciarsi abbindolare dai grandi casi di mercato, anche perché il numero di persone che leggono più di un libro all’anno è talmente ridotto che sarebbe bene che almeno quel singolo libro su cui mettono le mani fosse veramente meritevole di essere letto.

“Forse non c’è scempiaggine pari a quella di passare la vita a leggere scrittori mediocri perché sono nostri contemporanei.” (Nicolàs Gòmez Davila)

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