Roma – Presentazione del libro: QUANDO ACCADRANNO QUESTE COSE?

Lunedì 20 Giugno, ore 18.00, presso la Sala della Pace di Palazzo Valentini, in via IV Novembre 119 a Roma, presentazione del libro:

QUANDO ACCADRANNO QUESTE COSE? Apocalisse e Fine dei Tempi nella Rivelazione Cristiana, Editrice Ancora.

Interverranno:

– On. Federico IADICICCO, Commissione Cultura della Provincia di Roma;

– Claudio COEN, presidente della fondazione ANAGOGIA;

– Claudio LANZI, scrittore ed esperto di simbolismi;

– Gianluca MARLETTA, autore del libro.

A cura della Commissione Cultura della Provincia di Roma e dell’associazione “Anagogia”.

 

 

“Il tema della Fine dei Tempi é ormai divenuto una vera ossessione dell’immaginario contemporaneo, spesso nutrendosi di mistificazioni e banalità mass-mediatiche. In questo saggio, al contrario, l’autore ricostruisce la visione apocalittica del Cristianesimo a partire dalle Sacre Scritture, in un cammino a tappe che comprende tutta la vicenda umana: dalla Caduta di Adamo all’avvento del Messia, dalla manifestazione dell’anticristo alla Parusia di Gesù. Uno sguardo inedito su un tema basilare per la fede cristiana, dove l’annuncio drammatico degli “sconvolgimenti” dei Tempi Ultimi si sublima nell’attesa speranzosa del mondo nuovo e della Gerusalemme Celeste”

 

 

 

Link: http://www.testatadangolo.com/

 

 

 

 

 

 

Il coraggio di un discorso

Eodem sensu eademque sententia”. Questo è il passo di San Vincenzo di Lerins che risuona nelle opere di Mons. Brunero Gherardini. “Nello stesso senso e nel medesimo significato”, è la chiave interpretativa che il teologo della gloriosa Scuola Romana richiama più volte nella sua coraggiosa ricerca teologica sull’interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.

L’altro punto fermo che penso sia necessario considerare affrontando il lavoro di Gherardini riguarda la preoccupazione sincera che anima l’autore rispetto alla crisi nella Chiesa, quella che molti ritengono gravissima. O si riconosce la profondità e l’ampiezza di tale crisi, oppure difficilmente si potrà capire il lavoro e lo sforzo del teologo toscano.

Nel 2009 con il suo primo libro sul tema egli proponeva un “discorso da fare”, oggi – “Concilio Vaticano II. Il discorso mancato” (Ed. Lindau – 2011) – quella proposta gli pare un occasione persa, perchè come risposta al suo appello registra prevalentemente il ripetersi di una specie di refrain, e cioè che la crisi nella Chiesa ha radici soltanto nel post-concilio, là dove si è affermata una interpretazione deviata dei documenti conciliari.

Mons. Gherardini non nega che vi sia stato l’abuso post-conciliare, questo ormai è un dato acquisito, ma cosa ha permesso che nella prassi si sviluppassero due interpretazioni contrapposte? Dove sono le radici di questi abusi? Qui si colloca il “discorso da fare” che propone Gherardini, il quale sa bene che una malapianta non viene estirpata semplicemente potandola.

Personalmente credo che questa sua proposta di ricerca sia del tutto ragionevole e anziché emarginarlo sarebbe meglio ascoltarne il suggerimento, ossia “prendersi tutti la testa fra le mani per decidere finalmente di mettere un po’ d’ordine nel disordinato andazzo di questo interminabile e sempre inossidabile post-concilio” (pag. 78).

Mons. Gherardini riconosce il Concilio Vaticano II come ecumenico e trae la ovvia conseguenza di considerarne il magistero come conciliare e solenne, ma di per sé – e il “ma” è assai rilevante – questo non depone affatto per una sua completa e totale dogmaticità e infallibilità. Ammetto che il discorso si fa complesso e impervio, ma proprio qui l’autore colloca il “discorso mancato”, infatti, più che l’avvio di un dibattito storico, teologico e filosofico sul tema, egli nota un pullulare di voci che di fatto si collocano nella scia del filone celebrativo del Concilio, voci che non aggiungono gran che alle questioni da risolvere.

Sembra che più che cercar di distinguere e capire, si sia preferito squalificare i presupposti del “discorso”, ma Gherardini, pur non nascondendo una certa delusione, prova a comunque a rilanciare.

Le principali piste di analisi proposte dall’autore credo possono essere ricondotte a due: la distinzione della qualità dei diversi documenti conciliari e la individuazione di quattro livelli in cui analizzare il concilio (generico, pastorale, di appello ai precedenti concili e quello delle innovazioni). Nell’analisi di Gherardini mi pare che il nodo fondamentale da sciogliere riguardi soprattutto il tema delle “innovazioni” introdotte dal Concilio, qui è particolarmente rilevante il problema interpretativo, tema connesso anche alla questione della dogmaticità/infallibilità del magistero.

L’autore risolve questo nodo sottoponendo le “innovazioni” al vaglio di quel principio – “eodem sensu eademque sententia” – che dovrebbe garantire l’aggiornamento rispetto alla fedeltà alla dottrina di sempre. In ultima analisi sembra che il problema venga sciolto con una espressione quasi sofferta, ma coraggiosamente chiara: “filologicamente, storicamente, esegeticamente e teologicamente – scrive Gherardini – si stenta, arrancando e ansimando come su di una salita impervia, a trovar una giustificazione per: la collegialità dei vescovi espressa dalla costituzione Lumen Gentium, il nuovo rapporto tra Scrittura e Tradizione indicato dalla costituzione Dei Verbum e le innovazioni attinenti la sacra liturgia, la soteriologia, il rapporto tra cristianesimo e giudaismo, islamismo e religioni in genere.” (pag. 96). Egli quindi dichiara di non poter assolutamente applicare l’aggettivo “dogmatico” a quello che lui indica come quarto livello del Concilio, quello delle “innovazioni”.

A questo punto entra in gioco l’altro argomento controverso, quello dei diversi livelli del magistero in rapporto al Vaticano II e anche in questo caso, come già osservato, la proposta di  Gherardini è precisa: magistero conciliare e perciò solenne, ma di per sé non dogmatico e infallibile.

C’è chi ha scritto che quello di Gherardini non è un discorso, ma soltanto un denigrare, francamente mi sembra un giudizio un po’ troppo tranchant, certo le questioni poste sono piuttosto spinose, ma da semplice fedele mi preme sottolineare un punto che credo non debba mai esser perso di vista.

Il Vaticano II voleva andare incontro all’uomo moderno, abbracciarne le istanze, parlare il suo stesso linguaggio, esaltarne la dignità e così riconciliarlo con Dio, ebbene dopo quasi 50 anni siamo di fronte al fatto che molti uomini vivono “etsi Deus non daretur”, come se Dio non esistesse. Con questa realtà è necessario fare i conti, non si tratta di pessimismo, ma di quel sano realismo cattolico che ha sempre caratterizzato la Chiesa nel compimento della Sua missione: “che si convertano e credano al Vangelo”.

Grazie a uomini come Mons. Gherardini la discussione ha preso quota, alzandosi rispetto ad un andamento un po’ troppo soporifero e privo di quel sano nerbo che, in fin dei conti, è zelo per le anime.

Passione della Chiesa

S.E. Mons. Luigi Negri, Don Nicola Bux, Mons. Brunero Gherardini, P. Giovanni Cavalcoli e il prof. Matteo D’Amico sono gli autori di una serie di saggi raccolti nel libro “Passione della Chiesa. Amerio e altre vigili sentinelle” (Edizioni Il Cerchio, Rimini 2011). Il titolo indica già il tema di fondo dei vari interventi: la situazione ecclesiale osservata a partire dall’opera di Romano Amerio.

Oggi la Chiesa Cattolica si trova ad affrontare un momento difficile, ma come ha ricordato Benedetto XVI la Chiesa ha sempre dovuto affrontare delle prove, tuttavia rimane vero che il “danno maggiore essa lo subisce da ciò che inquina la fede”. Quanto è grave questa crisi di fede? I saggi che compongono il libro ruotano intorno a questo importante quesito: il magistero di Benedetto XVI, l’opera di Amerio, il confronto tra il pensiero di Tomas Tyn e quello di Karl Rhaner, sono alcuni degli argomenti su cui riflettono gli autori per aiutarci a trovare una risposta alla domanda.

Come ricorda il prof. D’Amico la parola “crisi” è centrale nella serrata analisi che Amerio conduce nell’opera “Iota Unum” e per il filosofo luganese la “crisi” è un fatto che va mostrato, perciò la descrive minuziosamente cercando di “cogliere e mirare la realtà teologica ed ecclesiale novecentesca nel suo significato più proprio e profondo”. Romano Amerio porta moltissime testimonianze ed esempi del periodo post-conciliare e che rappresentano bene la natura di questa crisi: crollo delle vocazioni sacerdotali e religiose, crollo delle percentuali di persone frequentanti la Messa domenicale, drastica riduzione dell’accesso al sacramento della confessione, generale laicizzazione della società e della cultura, progressiva secolarizzazione del costume e delle credenze, dei valori e delle attitudini morali.

Mons. Gherardini osserva che “la crisi fu scatenata quando forze latenti, ma aggressive, apriron le porte del santuario allo spirito del secolo, sostituendo l’uomo a Dio, il pirronismo alla certezza, il pluralismo all’Una Sancta, il disfacimento del costume alla virtù” (pag. 24). Forse qui ci si deve chiedere se l’ottimismo che ha caratterizzato l’impostazione pastorale del Concilio Vaticano II non abbia ecceduto proprio nel suo tentativo di andare incontro al mondo, fino al punto di aprir “le porte del santuario allo spirito del secolo”. Per quanto riguarda, invece, il rischio di sostituire “l’uomo a Dio” il saggio proposto da P. Cavalcoli, confrontando il concetto di libertà in Rahner e Tyn, fornisce un esempio concreto di cosa può aver significato un certo “antropocentrismo rahaneriano” diffuso in varie teologie e nella prassi pastorale.

In linea generale possiamo dire che il frutto più amaro di questa crisi della fede trova una drammatica sintesi in una constatazione espressa più volte dal regnante pontefice: ormai molti vivono etsi deus non daretur“, come se Dio non esistesse. Bisogna riconoscere allora che vi è la necessità di una nuova evangelizzazione, fondata sul ritorno “alla dottrina sicura, sana e pura” (pag. 18), soltanto così la Chiesa può salvare il suo provvidenziale anticonformismo con il quale – rileva giustamente Don Nicola Bux – “la Chiesa resiste al sistema e gli infligge il compito di perseguitarla” (pag. 19). Il sangue dei martiri ci ricorda con estrema chiarezza il senso più profondo di queste parole.

A questo proposito Mons. Luigi Negri ricorda che l’insegnamento di Benedetto XVI è proprio rivolto a tutti gli uomini “che non accettano di mettersi nel giro delle ideologie che eliminano la grandezza e la dignità dell’uomo, la sua capacità di voler conoscere il mistero, la sua domanda di bellezza, di verità, di giustizia e di bene”.

Questa breve raccolta di saggi dona un contributo autorevole per chiarire alcuni nodi della storia recente della teologia e più in generale della Chiesa stessa.

Edizioni Il Cerchio vedi www.ilcerchio.it (per il libro cercare nella collana DOMINUS DIXIT)

La scuola? Così non va

In queste ultime settimane si è discusso molto della scuola: pubblica, privata, paritaria, statale… tanti termini, tanta confusione. Con il suo Togliamo il disturbo – Saggio sulla libertà di non studiare (Ed. Guanda, 2011), la professoressa di liceo e scrittrice Paola Mastrocola cerca di mettere alcuni punti fermi; e lo fa vedendo la scuola dall’interno, con gli occhi di una persona che, da anni e quotidianamente, entra in classe e si siede alla cattedra.

I temi trattati dalla Mastrocola sono tanti, ognuno dei quali meriterebbe un articolo a sé.
Naturalmente non tutte le idee espresse dall’autrice sono parimenti condivisibili, ma nel complesso il libro risulta essere bilanciato e molto ben argomentato.
L’idea di fondo è che la scuola, così com’è ora, non funziona. L’istituzione scolastica odierna è frutto del Sessantotto, della massificazione forzata in nome della democrazia, della convinzione che studiare sia un “diritto” e del pregiudizio secondo cui chi fa un lavoro manuale vale necessariamente meno di un laureato…
Di fronte a tutto questo, l’Autrice s’interroga: è veramente giusto portare avanti l’idea che tutti debbano studiare? Perché non ci si può arrendere di fronte all’evidenza che alcuni giovani non sono portati per lo studio, bensì hanno un’inclinazione verso i lavori pratici? E soprattutto: questa scuola che deve essere per tutti – e quindi, necessariamente, di scarsa qualità – a chi serve? Di sicuro non ai giovani, che escono dall’università avendo nozioni di poco maggiori (e, in alcuni casi, addirittura inferiori) rispetto a ciò che cinquant’anni fa si sapeva uscendo da un buon liceo; forse serve allo Stato per parcheggiare i giovani; o forse serve alle famiglie, che possono dormire sonni tranquilli sapendo che il proprio pargoletto ha la laurea…

Togliamo il disturbo – Saggio sulla libertà di non studiare è articolato in tre parti.
Nella prima sezione la Mastrocola dà una panoramica di quelli che sono i comportamenti e le problematiche più comuni tra i giovani di oggi; i punti trattati vanno dall’incapacità dei ragazzi di scrivere, alla loro totale passività nei confronti della scuola, passando attraverso le lezioni private, le nuove tecnologie, il ruolo delle famiglie e la perdita dei concetti di rispetto e vergogna.
Nella seconda parte del libro, l’Autrice fa un excursus storico sulla scuola. Secondo i risultati INVALSI, infatti, da un’analisi effettuata sui temi di maturità (non delle elementari o delle medie) del 2009 è emerso che il 70% dei ragazzi non sa scrivere; nel dettaglio: l’85% fa errori di grammatica, il 70% è insufficiente per competenza lessicale e semantica e quasi il 60% non ha capacità ideative. Come mai la situazione è così allarmante? La Mastrocola individua nel Sessantotto, in don Milani, in Rodari e nella loro pedagogia democratica e massificatrice la vera causa della situazione odierna. Da quarant’anni a questa parte la scuola è stata distrutta, mattone dopo mattone: il nozionismo e la valorizzazione del merito sono stati visti come due concetti estremamente pericolosi e, quindi, da eliminare; allo stesso modo, in nome del relativismo e della democrazia, sono stati fatti fuori anche i concetti di autorevolezza, di competenza e di rispetto (delle regole e dei professori)… e la saga degli errori (o forse sarebbe meglio dire, “orrori”) potrebbe continuare.
Infine, nell’ultima ripartizione del volume, la Mastrocola porta avanti, argomentandola, la tesi secondo cui la scuola non può e non deve essere per tutti. Naturalmente è necessario che ognuno venga istruito per un numero minimo di anni, ma da qui a ritenere che tutti debbano fare il liceo e l’università…
Ognuno di noi ha la propria vocazione: chi di parafrasare Dante, chi di aggiustare una serratura; e solo seguendo le proprie inclinazioni si giunge alla felicità, lo affermava già Aristotele. La soddisfazione di sé è il carburante necessario per affrontare il lungo viaggio della vita!
Al contrario, costringere i ragazzi a studiare o a fare un lavoro per cui non sono portati equivale a condannarli all’infelicità e all’apatia. E non è certo questo quello che la società, la scuola e le famiglie vogliono per i propri giovani.

Viva la sposa!

di Camillo Langone

Sottomettersi al marito e fare figli, secondo il precetto di San Paolo. Le istruzioni di Costanza Miriano, piene di spirito e buon senso, sfidano le sciarpe

? bellissima e bravissima ed è una moglie sottomessa e ha ‘scritto un libro per convincere altre mogli a sottomettersi, per la gioia di’ mogli e mariti e figli e l’armonia del mondo intero, “Sposati e sii sottomessa” (Vallecchi) non è un volgare pamphlet provocatorio ma un quaderno di istruzioni serio nel contenuto quanto spiritoso nella forma, opera di una donna che io chiamo Miss Umbria da quanto è splendida e da quanto è nata a Perugia, madre di quattro figli quattro e incredibilmente giornalista del Tg3, la mosca bianca, l’unica papista dell’intera redazione di Bianca Berlinguer. Costanza, che nome meraviglioso, è il cacio sui maccheroni in questi tempi di guerra dei sessi, ripicche e sciarpe bianche. E’ un dono che Dio ci manda per ricondurci sulla retta via e sebbene pensi che gli italiani non siano capaci nemmeno di scartarlo, un regalo del genere, la intervisto perché dovere e ammirazione me lo impongono.

“Distribuire consigli, attività massimamente gratificante”, scrivi. Mi sembra di capire che il libro sia scaturito dalla tua attività di consigliera sentimentale, o sbaglio?
Dare consigli piace a tutte le donne (per verificarlo basta entrare con un pancione, o un neonato, in una stanza popolata da femmine: tutte sentiranno il dovere di regalare una perla di saggezza all’incauta). Le donne, per abitudine, per pigrizia (è più facile tenere un ruolo fisso) fanno le educatrici a tempo pieno. Una vocazione che può essere devastante se esercitata su esseri umani che hanno superato l’adolescenza. Mio marito, le rare volte in cui non esce dalla stanza mentre gli parlo, sostiene conversazioni con me, ormai ha imparato, utilizzando una zona molto superficiale del cervello. Ogni tanto dice: “Ah” oppure, “mia cara, hai ragione”. A volte ci prende anche, lo dice persino a proposito. Detto questo, qualche volta può anche capitare di prenderci, a dare i consigli. E’ un fatto statistico. E questo libro è nato dalle lettere accorate che scrivevo davvero a una mia carissima amica, per convincerla a sposarsi. Alla fine ce l’ho fatta, conquistando l’ambito trofeo di testimone della sposa.

“La mia risposta a qualsiasi problema è una a scelta tra le seguenti: ha ragione lui; sposalo; fate un figlio; obbediscigli; fate un altro figlio; trasferisciti nella sua città; perdonalo; cerca di capirlo; e infine fate un figlio”. Non vorrei fare una domanda per non spezzare l’incanto di queste frasi sublimi ma devo: a parte l’amica che si è sposata, le altre ti danno retta?
Ovviamente no. Devo avere pochissimo carisma, non convinco quasi mai nessuno. Eppure credo che le donne avrebbero tutto da guadagnare nel recuperare il loro ruolo, la loro vocazione all’accoglienza (quello che Wojtyla chiamava il genio femminile). Noi donne siamo fatte per questo, per accogliere la vita innanzitutto: lo dice la nostra conformazione fisica siamo fatte per fare spazio tra le viscere, e quella mentale: solo noi possiamo fare sei o sette cose insieme. Chi di noi non si è mai mossa a pietà per quel poveraccio che si ritrova accanto, il quale, lucidissimo nell’analizzare la strategia politica statunitense in medio oriente, si intreccia se deve prepararsi un tè e insieme rispondere a una domanda elaborata e complessa come “Che ore sono?”. “Non vedi che sto facendo una cosa?” risponderà sinceramente indignato per l’indelicatezza della consorte, la quale nel frattempo allatta, parla al telefono, assaggia il minestrone e ascolta l’elenco delle province della Lombardia. Non è che gli uomini siano meno bravi, è che sanno fare cose diverse.

Ma insomma, perché sposarsi nel 2011? Sembra che tutti la considerino una pratica desueta.
Mi chiederei piuttosto come sia pensabile non sposarsi, se si vuole costruire qualcosa che superi la nostra incostanza, la nostra emotività. Io chiaramente penso al matrimonio cristiano, dove gli sposi sono tre, lui, lei e Dio. Solo così è pensabile provare a reggere per tutta la vita, perché uno ha un aiuto super, la grazia (noi peccatori senza quella siamo fritti, magari i buoni possono anche sposarsi in municipio). L’idea comune dell’amore è tutto uno scintillio di batticuore, un svolazzo di emozioni rosa, un fru fru di occhiate e messaggini. Ma l’amore ha poco a che fare con questo e molto di più con una scelta volontaria e una decisione intelligente. E definitiva.

E perché fare figli? Per una donna sono davvero la medicina di tutti i mali?
Sul tema tenderei ad avere un’idea ancora più obsoleta delle precedenti. Uno i figli non è che li programma più di tanto. E’ vero, la maternità e la paternità devono essere responsabili, è intelligente e prudente fare i conti con le proprie forze, ma la coppia deve anche essere aperta alla vita. Non è che tutto si può programmare, tanto quella del controllo è un’illusione. Non controlliamo niente, veramente. E quindi i figli non sono un diritto, e non sono neanche una medicina per la donna, per carità, che egoismo. I figli sono un dono. Quando arrivano, la famiglia si attrezza e fa fronte alla nuova realtà. Magari se ne arriva qualcuno in più si rinuncia a qualcosa di materiale, e si impara anche a tenere un po’ l’ordine, in base al sano principio educativo “Noi siamo più grossi di voi e questa è casa nostra”.

A me, che pure sono a favore del quoziente familiare, i bambini fanno senso come fanno senso gli animali, a cui somigliano moltissimo. Io sono un caso patologico mentre gli altri uomini non vedono l’ora di ricevere simili regali?
Certo, nei primi mesi, quando il bambino è tutto poppate e pannolini, e allarga qualche sorriso bavoso per lo più a caso, credo che attaccarsi a lui sia più immediato per le mamme. Non per niente si parla di istinto materno, che ha anche una base ormonale, checché ne dicano alcune femministe. E’ quella forza potentissima che ti permette di saltare ore di sonno e pasti e ancora trovare la forza di sorridere ad altri due o tre figli che ti vogliono raccontare un episodio di “Star Wars” o coinvolgere nella scelta del dress code per la Barbie. Quella forza animale che ti permette di stare sveglia tutta la notte dopo una zuccata più forte delle altre, perché la pediatra ti dice di svegliarlo ogni tanto per vedere se reagisce, e tu venderesti la casa in cambio di tre ore di sonno, ma non appoggerai la testa neanche morta. Ecco, questo tipo di amore viscerale secondo me è più materno.

Bene, quindi non sono un malato, sono semplicemente un uomo.
I padri amano diversamente, ed è meraviglioso che sia così. I padri sono la guida, mantengono la lucidità, sono autorevoli. Non si angosciano se non è necessario. Montano i giochi e spiegano la storia dell’antica Roma. Danno sicurezza al figlio, con la loro forza e l’essere punti fermi. Mettono le regole. Un giorno, quando sarà il momento di stare in panchina e lasciare andare i ragazzi nel mondo, sarà il padre a dare il coraggio di partire per l’avventura. Io i miei figli li vorrei tutti sotto la mia gonna, e sono certa che sarò una suocera insopportabile. I figli hanno bisogno di entrambi i tipi di amore, per la loro crescita equilibrata. L’amore di un uomo e l’amore di una donna. Diversi e insostituibili e mai in nessun modo intercambiabili.

Ti rileggo il passaggio cruciale: “Dovrai imparare a essere sottomessa, come dice san Paolo. Cioè messa sotto, perché tu sarai la base della vostra famiglia. Tu sarai le fondamenta. Tu sos
terrai tutti, tuo marito e i figli, adattandoti, accettando, abbozzando, indirizzando dolcemente. ? chi sta sotto che regge il mondo, non chi si mette sopra gli altri”. Non temi che qualche sciarpa bianca ti aspetti sotto casa per strangolarti?
Al contrario! Non credo che ci sia un complimento migliore da fare a una donna. Cosa c’è di più difficile da fare che sostenere, aiutare, sorreggere? Quando tu hai bisogno di aiuto lo chiedi a chi è più debole o a chi è più forte di te? Io a chi è più forte. E infatti il racconto della creazione mi mette ogni volta un gran senso di orgoglio. La donna è un aiuto, simile all’uomo, dice la Genesi. Non una schiava, ma un aiuto. Chi aiuta è più robusto, più grande. E se una si offende è perché è accecata dall’ideologia.

Il tuo titolo è ricavato dalla Bibbia. Chi come noi considera Antico e Nuovo Testamento non vecchi libri bensì la viva voce di Dio che ci parla oggi, viene detto esaltato, e combattuto oppure compatito. Io ne soffro, e tu?
Dico la verità, non mi interessa proprio niente dell’incomprensione. Anzi, non ci avevo mai pensato. Per fortuna noi cristiani europei non veniamo davvero perseguitati come in gran parte del mondo islamico, e in Asia. Lì sì che si soffre. A me invece dispiace per i non cristiani: non ho mai conosciuto una persona profondamente felice che non fosse cristiana. La vera sfida per noi cattolici è spiegare che, come dice Chesterton, “non c’è niente di più eccitante dell’ortodossia”. Superare la contrapposizione peccato/divertimento versus virtù/noia. La vulgata del mondo vuole in- vece che i limiti morali che la fede impone tarpino le ali, impediscano di vivere felici e autodeterminati. Io mi vedo intorno un sacco di persone che vivono completamente autodeterminate e completamente, o almeno moderatamente, infelici. Il peccato etimologicamente viene da una radice che significa “sbagliare mira”. E’ un colpo sbagliato, è fare cilecca.

Questa etimologia mi mancava.
Aiuta a capire che non si tratta di limiti morali, ma riguarda ciò che davvero fa il nostro vero bene. Con la testa capiamo che quello che la fede ci invita a fare in qualche modo ci conviene, ci custodisce davvero felici. Non c’è nessuna fregatura dietro. Noi cattolici sappiamo di avere bisogno di Dio perché ammettiamo che l’uomo è una creatura misteriosa, un impasto inscindibile di peccato e carne e sublime. Ogni volta che tendo a sentirmi molto buona mi ricordo di quello che dice il mio padre spirituale: le persone si dividono tra quelle cattive e quelle che riescono a nascondersi bene. Per questo, perché sa che siamo così, la chiesa non permette niente ma perdona tutto, mentre il mondo permette tutto ma non ti perdona niente (neanche questa è mia).

Davvero fra lavoro fuori casa e lavoro a casa puoi dormire quattro ore per notte? A me non ne bastano otto. Le donne hanno un fisico superiore o di superiore hanno la forza di volontà?
Usciamo per favore dalla logica del superiore e dell’inferiore. A parte che io non faccio testo, sono una maratoneta, ma non mi stanco mai di dire che siamo solo diversi. E’ vero, forse noi abbiamo una maggiore resistenza al dolore, anche perché abbiamo il compito di partorire (non è il massimo far passare un pollo arrosto da una narice, come si dice) ma in tante altre cose siamo incapaci. Io sono in grado di perdermi pressoché ovunque, e se devo programmare un decoder mi butto dalla finestra. Mio marito se deve andare a parlare con la maestra sviluppa un improvviso e sincero attacco di mal di testa. Lui si entusiasma come un ragazzino di fronte a un documentario sullo sfondamento della Slesia nel ’39, io che pure a scuola ci sarei anche andata, non riesco ancora a ricordarmi chi ha vinto la Seconda guerra mondiale, anzi non me lo dire che mi rovini la sorpresa, prima o poi la studierò con qualche figlio.

Sbaglio o ti sei definita maratoneta? Spiega a un accidioso qual sono come sia possibile avere quattro figli e un lavoro all’altro capo della città e andare a messa tutti i giorni e correre.
La messa è un’esigenza esistenziale, basta avere una mappa delle chiese della città, gli orari e una disciplina da generale Patton. Se una cosa ti piace il modo di farla lo trovi. La passione per la maratona (correre per 42 chilometri e 195 metri senza alcun motivo apparente) non si può spiegare con le parole.

Proviamoci lo stesso.
Credo che sia al limite della patologia. Un limite superato ampiamente quando andavo a correre in piena notte perché lavoravo al Tg dell’alba, o con i piedi fasciati, insanguinati dai troppi lunghi” (in gergo, le corse più lunghe di due ore), o anche con i pancioni fino all’ultimo giorno di gravidanza (non seguite il mio esempio, adesso che sono una saggia signora di quarant’anni non lo rifarei mai). Di certo nei giorni in cui corro ho molte più energie per tutto il resto. In più credo che per una sposa curare anche un po’ l’aspetto fisico sia un dovere. Certo da quando ho quattro figli non faccio più gare né gli allenamenti di un tempo. Però ogni giorno provo a incastrare qualche chilometro. Ma la cosa che faccio più spesso, poiché il senso di colpa è la cifra esistenziale della madre lavoratrice e non mi sognerei mai di lasciare i bambini con la tata per il mio piacere, è correre a tarda sera in casa sul tapis roulant. Ah, dimenticavo, ho un dignitoso personale di 3 ore e 15, che conterei di migliorare quando i figli saranno cresciuti. Taglia tutto quello che vuoi di questa intervista, ma non il mio tempo!

Non mi permetterei mai. Passando ad altro, come valuti il fatto che un uomo (ad esempio Berlusconi) venga giudicato da un collegio di sole donne? Secondo me sono episodi che fanno crollare numero e motilità degli spermatozoi a intere generazioni di maschi.
Come giornalista del servizio pubblico io non dovrei prendere pubblicamente posizione politica, anche se molti non rispettano la consegna. E poi non vorrei scendere nell’agone politico, voglio parlare a tutte.

Capisco il problema e riformulo la domanda. A pagina 39 leggo le seguenti melodiose parole: “Quando lo devi criticare fallo con rispetto, e senza umiliarlo, se proprio sei sicura che la critica sia indispensabile. Se puoi aspettare domattina è meglio”. E’ un consiglio che ritieni valido solo nell’ambito privato o anche in quello pubblico?
Purtroppo nel dibattito pubblico non è questo lo stile prevalente, eppure porterebbe un gran bene. Ti immagini se una, nel mezzo di un talk show urlato, dicesse a suo marito: “Guarda, non lo so, forse hai ragione tu.. Al momento non mi sembra. però, poiché ti stimo sinceramente, provo a rifletterci”? Che succederebbe? Qualcuno sverrebbe per lo sgomento, forse. Gli ascolti crollerebbero, forse. Ma il tasso di civiltà si alzerebbe nettamente.

Di “Sposati e sii sottomessa” condivido ogni virgola. Rimango perplesso solo di fronte all’incrollabile ottimismo, l’idea che cattolicesimo e buonumore siano quasi sinonimi. Forse le mamme non sanno che Satana è il principe di questo mondo?
Che Satana sia il principe lo vediamo tutti. Non si può negare, e anzi la Madonna a Medjugorje ha detto che in questi anni è slegato dalle catene, come aveva previsto per esempio Anna Caterina Emmerick. Ma “ianua inferi non praevalebunt”! Non ti fidi di Gesù che l’ha detto a Pietro? Io, si, mi fido, sennò non avrei fatto quattro figli. Se l’obiettivo è la vita eterna si può stare serenamente abbandonati. Se l’Onnipotente decide di farsi uomo e di morire per noi, per amore nostro, di
che ti preoccupi? A me questa notizia mette un irresistibile buonumore. E’ come vedere una commedia americana con Cary Grant. Anche quando le cose sembrano mettersi male lo sai, ne sei certa, che in qualche modo finiranno bene.

Il Foglio, 26 febbraio 2011

Quelli che… studiare non serve

Intervista di R.I. Zanini a Paola Mastrocola

“Theodor Wiesengrund
Adorno. Qualcuno, per caso, ancora se lo ricorda? Criticava la
condiscendenza per gli uomini come sono, vista come falsa virtù… ‘Il
borghese – diceva – è tollerante. Il suo amore per la gente così com’è
nasce dall’odio per l’uomo come dovrebbe essere'”.

? una delle
provocazioni contenute nel libro di Paola Mastrocola, Togliamo il
disturbo
. Saggio sulla libertà di non studiare (Guanda), che affronta
il drammatico problema di una scuola che ha smesso di insegnare. Il
problema, spiega abilmente l’autrice, che oltre a essere una nota
scrittrice è anche docente di Lettere al liceo, è il frutto di una
società essenzialmente edonista, che non intende impegnarsi a far
crescere i propri figli.

La frase di Adorno fotografa con inusitata
efficacia questo stato di cose e ha il grande pregio di obbligare alla
discussione.
Lui sosteneva che il consumismo di massa ci avrebbe
ridotto a restare quello che eravamo, cioè massa amorfa. Il sospetto è
che abbia avuto ragione. E la scuola ne è una diretta conseguenza. Oggi
un ragazzo può agevolmente chiedersi se lo studio serva ancora. Il
dramma è che noi adulti abbiamo risposto di no. Così i giovani non
studiano.
Al liceo ho molti studenti che si interessano alle lezioni,
bravi ragazzi, che però a casa non aprono libro. E non c’è nessuno che
faccia loro comprendere l’importanza dello studio”.

Non lo fa la
scuola, non lo fa la famiglia, non lo fa la società. Ne consegue, pare
di capire, una sorta di grande inganno i cui i nostri ragazzi sono le
vere vittime.
“Un inganno dai tanti volti. La scuola fa lavorare in
gruppo quando sappiamo benissimo che si tratta di un modo per non
studiare. Insegna a lavorare sfruttando il web e questo è veramente il
massimo che si potesse fare per fregare i giovani: dire loro che tanto
c’è il computer, che si può sempre mettere la parola giusta sul motore
di ricerca e poi si scarica, si copia e incolla e il compito del giorno
è fatto. Non c’è nemmeno bisogno di leggere quello che si è scaricato”.

Sono i professori, persino i libri di testo che chiedono agli studenti
di studiare in questo modo con internet.
“E così si avalla la logica
che per studiare non serve fatica. Anzi, non serve proprio studiare.
Servono solo le nuove abilità: utilizzare i nuovi programmi, navigare
in rete, chattare, collegarsi a facebook”.

Se si avanzano critiche su
questi argomenti c’è sempre il professore che con tono di compatimento
ti fa notare che forse sei retrogrado, antiquato, reazionario.

“Ma è
una falsità. Siamo noi i più moderni. Noi che usiamo tranquillamente
tutte le nuove tecnologie conoscendo Dante e Petrarca, avendo letto
Tasso, Leopardi e Montale, sapendo di latino e di sintassi. Insomma,
vogliamo o no che i nostri ragazzi abitino anche una sfera mentale,
spirituale, delle idee e non siano interamente calati nel più puro
materialismo? Vogliamo che la scuola serva ancora a qualcosa? Cosa
vogliamo che facciano i nostri figli?”.

Bisognerebbe chiederlo alle
famiglie, che oltre a non far studiare i figli a casa se la prendono
con maestri e professori quando danno troppi compiti o pretendono
qualcosa di più dagli studenti.
“? quella che nel libro ho definito l’
inversione delle responsabilità. Se le famiglie remano contro gli
insegnanti che vogliono lavorare la scuola non serve più. Meglio che
tolga il disturbo, appunto. I genitori sempre schierati dalla parte dei
figli sono il fenomeno più devastante del mondo scolastico. Del resto
la scuola e il modo di approcciarsi alla scuola sono il riflesso della
società”.

Viene da chiedersi come sia potuto accadere tutto questo.
“Le
rispondo con una provocazione: forse siamo un Paese troppo progredito
per credere ancora nella scuola”.

Un’affermazione drammatica.
“Drammatica, ma realista. La nostra società, cioè tutti noi, è troppo
concentrata sul suo ombelico, è troppo rivolta al piacere. La famiglia
media pensa a come impiegare il tempo libero nei divertimenti, nello
sport, pensa ad avere due auto, due telefonini, la tv di ultima
generazione… in tutto questo la scuola è un disturbo. Ci sono i
compiti da fare, c’è da impegnarsi a seguire i figli, a spronarli…
Molto più facile affidarli alle badanti tecnologiche, come la tv,
internet, le play station. Si sono perduti i valori pedagogici della
fatica, dell’umiltà. Studiare è un impegno e le famiglie non vogliono
più che i figli studino. Pensano alla scuola come a un contenitore”.

Detta così sembra una delle pessime conseguenze del ’68?

“Questa
situazione è certamente figlia anche delle ideologie, delle letture
cattive e distorte degli scritti di don Milani, quello che nel libro
chiamo il donmilanismo, che ha portato a una scuola appiattita verso il
basso. Della lettura di comodo dei libri di Gianni Rodari, che
definisco rodarismo e che ha portato all’inganno criminale della scuola
creativa, che lascia spazio alla fantasia, ma non insegna la
grammatica, la struttura del pensiero e del discorso. Ma per per
diventare grandi bisogna prima aver molto letto, molto pensato e molto
studiato, poi ci si può aprire alla creatività vera”.

Avvenire, 17 febbraio 2011

E.Pennetta-G.Marletta, EXTRATERRESTRI. Alla scoperta della radici occulte di …una pseudo-religione.

Gianluca Marletta-Enzo Pennetta
EXTRATERRESTRI.
LE RADICI OCCULTE DI UN MITO MODERNO
Editrice Rubbettino – €. 11

Alzi la mano chi non ha mai sentito dire, almeno una volta, che (forse) siamo tutti “un po’ extraterrestri”? Che (sempre forse) la nostra comparsa sulla terra si spiega con l’intervento di ingegnosi esseri alieni che, all’alba della nostra storia, avrebbero modificato geneticamente qualche scimmiotto per creare l’homo sapiens? E’ chi, almeno una volta, non ha sentito o letto che “sono stati gli alieni” a costruire le Piramidi d’Egitto, che erano alieni gli “angeli” della Bibbia e che, (forse), pure Gesù era un bambino prodigio VENUTO DALLE STELLE?
“Deliri!”, dirà qualcuno; “ipotesi azzardate ma interessanti”, sosterrà qualcun altro: molto di più, diciamo noi. Si tratta infatti dei veri e propri “postulati dogmatici” di una PSEUDO-RELIGIONE che, ogni giorno che passa, affascina e irretisce sempre più persone d’ogni estrazione culturale e/o confessionale. Una pseudo-religione di cui, tuttavia, la maggior parte della gente ignora del tutto le origini: origini ambigue, sotterranee e spesso inquietanti che questo libro, forse per la prima volta, mette in luce.
Dalle evocazioni di “entità extraterrestri” da parte del luciferino Aleister Crowley alle ipotesi magico-aliene del suo discepolo (nonché ingegnere missilistico) Jack Parson, dai primi contattisti alle nebulose “apparizioni UFO” fino a quei veri e propri fenomeni di possessione che oggi vengono chiamati “abductions” o “rapimenti alieni” questo libro ricostruisce la genesi di un mito moderno la cui finalità ultima sembra essere la SOSTITUZIONE DI DOMINEIDDIO con l’attesa messianica di un contatto con presunti “salvatori extraterrestri”.

Link: http://www.rubbettino.it/rubbettinohttps://www.libertaepersona.org/public/dettaglioLibro_re.jsp?ID=5064

“Il mito degli extraterrestri e l’attesa “messianica” che si addensa intorno alla figura dell’Alieno fanno ormai stabilmente parte dell’immaginario dell’uomo contemporaneo. Pochissimi, tuttavia, sospettano quali legami vi siano fra questo mito -apparentemente connotato in chiave scientifica e tecnologica- e le correnti più ambigue e nebulose dell’occultismo moderno. In questo saggio, per la prima volta, i due autori ricostruiscono le radici “occulte” e ignorate del mito extraterrestre, attraverso i suoi legami con lo spiritismo ottocentesco, la nascita del contattismo, la mediazione di singolari personaggi a cavallo tra scienza e magia, il ruolo del cinema, l’affermazione dell'”archeologia spaziale” e dell'”interpretazione extraterrestre” dei Libri Sacri; con sullo sfondo la realtà, tanto ambigua quanto evanescente, dei cosiddetti “fenomeni UFO”. Tutti elementi, questi, caratterizzanti un mito che è anche una delle più incredibili quanto riuscite parodie moderne della religione”.
Struttura, capitoli e approfondimenti (in aggiornamento) su: www.extraterrestri.org

Il mondo nuovo, di Aldous Huxley

Nell’ambito del romanzo di science fiction, si indica con il termine di distopia un determinato sotto-genere in cui l’autore immagina un tempo futuro o alternativo, solitamente frutto delle contraddizioni e dei pericoli contemporanei, in cui le peggiore paure prendono corpo e danno forma ad una società umana iniqua e anti-libertaria.
Il genere distopico, in circa un secolo di sviluppo dei temi fantascientifici, ha dato alla luce assoluti capolavori, specialmente nel mondo anglosassone: Farenheit 451 di Ray Bradbury, per esempio, o ancora il celeberrimo 1984 di Orwell (per citare solo i più noti), sono entrati a pieno titolo tra le opere che hanno segnato il ‘900. L’ideazione e descrizione di una distopia, peraltro, non ha lasciato indifferenti anche alcuni autori cattolici inglesi (è il caso, per esempio, de Il padrone del mondo di Benson o del divertente romanzo L’osteria volante di G.K. Chesterton).

Difficile, tuttavia, trovare fra le varie fantasie distopiche mai create una realtà tanto sorprendente e terrificante quanto quella descritta ne Il mondo nuovo di Aldous Huxley, pubblicato nel 1932 e primo vero successo editoriale di un autore originalissimo e molto controverso, uno spirito (a modo suo) profondamente religioso e precursore riconosciuto della celebre beat generation americana.

Il motivo è presto detto. Tutte le varie ‘distopie’ letterarie o cinematografiche hanno quasi sempre alcuni tratti in comune: viene molto spesso descritta una forma di regime totalitaria, in cui un governo rigido e pervasivo amministra il potere con brutale violenza sia fisica sia psicologica. Non è difficile riconoscere dietro quei sistemi meccanicamente perfetti di dominio la paura di una nuova tirannia di stampo hitleriano e/o staliniano (a partire, per esempio, da La svastica sul sole di P.K. Dick): l’impressione suscitata da queste terrificanti esperienze di governo autoritario continua persino oggi a lasciare il segno nella produzione distopica, in un tempo in cui simili paure sono state -grazie al Cielo!- scongiurate.

Il brave new world di Huxley, al contrario, in un certo senso oltrepassa anche quelle paure di governo dittatoriale: viene descritto una Terra in cui non c’è più scopo alla lotta politica. Nell’universo creato da Huxley lo stesso concetto di ‘politica’ non ha più senso: si è sviluppata infatti la perfetta rivoluzione ‘psicologica’ dell’umanità, e non solo quella meramente sociale. Nel “mondo nuovo” vengono dunque immaginati dei procedimenti di controllo mentale ed emotivo in grado di garantire un perfetto dominio sull’umanità: e se questo è certamente un tema ben presente anche in altre, molto celebri distopie (come quella di Orwell, per esempio), la genialità dell’autore è qui nel dare vita ad un controllo perfetto dell’umanità basato unicamente su meccanismi mentali, senza alcun bisogno di repressione violenta.

Con alcune semplici mosse, infatti, la vita dell’umanità viene incanalata in argini perfettamente ideati per negare alle persone anche solo la possibilità di sentirsi dominati.

  • La famiglia non esiste più: il governo si assume l’onere di programmare il numero di nascite e di immettere, grazie ad avanzate tecniche eugenetiche e “disgenetiche”, l’esatto quantitativo di essere umani necessari alla società. Questi feti vengono divisi, fin dal concepimento in vitro, in cinque categorie gerarchiche di importanza (da Alfa Plus a Epsilon Minus) e condizionati fin dall’incubazione al lavoro cui sono destinati. Particolare cura è destinata a inibire le capacità intellettuali e fisiche delle classi inferiori, in modo che siano perfettamente felici ed adatti agli incarichi più bassi – senza alcun desiderio di avanzare lungo la scala sociale.
  • L’educazione è uniforme, fondata sulla divisione dei ceti e impartita attraverso condizionamenti forzati dell’inconscio: le lezioni (semplici e rassicuranti) vengono inculcate nel sonno (ipnopedia) e sono ripetute fino a diventare parte integrante e inscindibile della mente dei bambini. Vengono rafforzati soprattutto i comportamenti sessualmente disinibiti, la contraccezione, il consumismo sfrenato e la passione per lo sport, e demonizzati o resi privi di senso i rapporti d’amore, le coppie stabili, la maternità, la creatività, l’amore per la natura e per la riflessione.
  • Tutta la terra è pacificata e riunita in un unico governo federale, diviso in dieci macro-settori senza alcun conflitto interno. Il concetto stesso di patria è inesistente: tutti gli uomini sono uniformati e del tutto uguali gli uni agli altri in ogni parte del globo. Il corpo sociale è l’unica cosa importante: ogni individuo ne deve far parte con gioia e godersi la vita senza occuparsi di politica o società. “Ognuno appartiene a tutti” è una delle principali lezioni continuamente ripetute nel sonno.
  • La vita si svolge infatti in una routine di lavoro leggero e privo di difficoltà, seguito da notti di vita sociale e sessuale sfrenata e da frequenti dosi di un potente allucinogeno e ansiolitico, il soma, in grado di inibire qualunque istinto violento o malinconico e qualunque cattivo pensiero. Nessuno ha mai fatto esperienza di desiderio insoddisfatto, di bisogno, di frustrazione, di malinconia o anche solo di malattia. Tutto ciò che costa fatica, infatti, non vale neppure la pena di essere inseguito: per esempio, la donna desiderata (nel raro caso in cui non si conceda immediatamente) può essere sostituita da dozzine d’altre, o da una generosa dose di buon soma. La scienza farmacologica ha fatto tali passi da gigante che a tutti è garantita giovinezza e bellezza fisica fino alla morte.
  • I morenti, solitamente vecchi non più di 60 anni e consumati dall’interno dall’uso di droghe e dalla vita sfrenata, vengono cremati e usati come concime: l’umanità è condizionata fin dalla tenerissima età a non temere la morte, a considerarla un atto necessario al benessere della società e a non ritenere in nessun caso una persona insostituibile. Di nessun defunto viene coltivato o ravvivato il ricordo, se non del mitico fondatore dell’ordine mondiale, il grande Ford, la cui religione (l’unica esistente) è modellata su una versione distorta del cristianesimo e basata sul massiccio uso di soma “sacro” e di canti spersonalizzanti. Le “messe” sono orge sfrenate ed anonime, basate su ritmi musicali ossessivi e su visioni allucinogene della divinità.

Stanti così le cose, chi ha bisogno di lottare per avere la libertà? La “felicità” è garantita dall’alto, e assicurata da un’intera struttura sociale che non riconosce altro valore che l’immediata soddisfazione dei sensi.

Un giovane di nome John Watson, europeo e "civile" ma nato e cresciuto per caso in una delle poche ‘Riserve’ non civilizzate della Terra (un Messico tribale e selvaggio), è l’esploratore e critico di questo “mondo nuovo”. Avendo trovato da bambino un’antichissima opera omnia di Shakespeare, che legge e rilegge come un testo sacro fin dalla più tenera età, John usa frequenti citazioni del Grande Bardo per descrivere e criticare questa realtà, totalmente priva di Dio, di amore e di bellezza.

Sull’altare della soddisfazione dei bisogni primari John riconosce perfettamente il sacrificio del senso del divino. Nessuno degli uomini civilizzati, infatti, è in grado anche solo di comprendere le parole che lui recita: tutte le opere d’arte dell’umanità sono andate perdute dopo la fondazione del sistema Fordiano ed oggi sono ancor meno che vietate, essendo totalmente inutili ed oscure. Persino la scienza è concepita ormai come mero sviluppo tecnologico, totalmente privata di ogni anelito di verità e di conoscenza.

Nello splendido finale, che vede John contrapporsi ad uno dei padroni di quel mondo, viene posto il bivio finale: rinunciando all’umanità, è possibile creare un sistema in cui non v’è che pace, uniformità e soddisfazione; rivendicandola, ci si estranea dalla collettività e si è destinati alla solitudine, come folli e anti-sociali. Arrendersi alla stolida e facile “felicità” dei propri simili, o “reclamare il diritto di essere infelice”?

Questa descrizione del "mondo nuovo" vi ricorda per caso qualcosa del nostro mondo occidentale? Si rimane persino terrorizzati dall’esattezza di certe tendenze descritte nel libro, isolate e portate all’estremo dal genio di Huxley nel lontano 1931 e oggi, ottant’anni dopo, così tangibili e comuni. Terrore perché, a differenza di nazismo e comunismo sovietico, questi tentativi di assicurare il benessere in cambio della rinuncia all’individualità ed alla religiosità riuniscono il peggio dei due totalitarismi; e ancora oggi (pur vestendo un manto molto più rassicurante) sono tutt’altro che sconfitti. Un mondo senza malinconia e senza paure, certo, ma solo a patto di annichilire anche la libertà, l’amore e la bellezza: ecco la peggiore delle distopie che lo scrittore inglese è stato in grado di ideare. Un mondo, cioè, dove non esiste più l’Uomo.
I personaggi descritti nel brave new world, per quanto felici possano pensare di essere, sperimentano infatti la più umiliante delle violenze e delle dominazioni: viene negato loro persino la possibilità di sentirsi schiavi. Non c’è neppure bisogno di una polizia segreta.

John infine sceglie la via più dura, e ne paga le conseguenze morendo tristemente in solitudine. Ma vivere senza fare mai esperienza della bellezza, per lui e per Huxley, è una opzione ancora peggiore della morte. Anche a patto di avere salute, pancia piena e completa libertà sessuale vita natural durante. Chissà quanti, oggi, sarebbero in grado di fare ancora la stessa scelta…

Un libro utile, che fa riflettere

In questi giorni ho letto l’ultimo libro del sacerdote e docente della diocesi di Bari Nicola Bux, provocatoriamente intitolato “Come andare a Messa e non perdere la fede” (Piemme, pp.194, 12 euro).

In questo agile volumetto, molto indicato per la lettura sia dei fedeli che dei sacerdoti, Bux spiega nell’arco di sette capitoli la teologia e la spiritualità che è alla base di quello che è il momento culminante del culto cattolico, ovverosia la Messa.

In un momento come quello attuale, dove da più parti si dibatte su quello che è stato il Concilio Vaticano II, su quello che ha provocato all’interno della Chiesa, sui suoi pregi e i suoi difetti, un libro come quello di Bux risulta veramente essere stato scritto nel momento giusto.
L’Autore, infatti, confronta quella che è la situazione riscontrabile attualmente in molte realtà con le consuetudini che vigevano prima del 1965, ed opera anche un confronto con la liturgia orientale.
L’intento di Bux, però, non è assolutamente quello di criticare il Concilio Vaticano II in quanto tale, bensì di spiegare il significato intrinseco di determinati riti ed usanze che un tempo facevano parte della prassi e che oggigiorno sono cadute in disuso. Le sue osservazioni sono volte a portare l’attenzione su quello che dovrebbe essere il centro della questione e che invece molto spesso viene relegato ad un ruolo secondario, posto in sordina: Cristo si è fatto uomo ed è morto per noi, ci ha “amati di un amore eterno” (cfr. Geremia 31,3) nonostante il nostro nulla; cosa possiamo fare noi per santificarLo al meglio?

Afferma Bux: “La messa appare un rito stanco, trascurato, poco intelligibile e partecipativo per i fedeli che sempre più si sentono tagliati fuori e perdono motivazione; è necessaria una nuova catechesi per rivitalizzare la celebrazione eucaristica e degli altri sacramenti” (N. Bux, op. cit., p. 102).
Serve una nuova catechesi, quindi, e Bux – prendendo sempre a modello l’attuale Pontefice Benedetto XVI – dà il suo contributo in tal senso: cosa non fare a messa, come comportarsi in chiesa, quali sono i canti più indicati per glorificare Dio, come dovrebbero essere costruite le chiese, che cos’è la messa… sono solo alcuni degli argomenti che approfondisce nel suo ottimo libro.