Non vi è tra uomo e uomo legame più forte del comune inchinarsi all’identica maestà.
Autore: Bernardo
“Scusa, c’hai il sedere nudo”. Grande sondaggio tra i lettori di Libertà e Persona
La dinamica (realmente occorsami) è la seguente. In un’aula universitaria qualsiasi, sto seguendo distrattamente una lezione piuttosto insignificante quando noto che la ragazza seduta di fronte a me sfoggia 20 o 30 centimetri di schiena/sedere scoperti. Tra il serio e il faceto, trascorro una decina di minuti a meditare tra me e me sul da farsi (attuo insomma il famoso consilium ben noto in teologia morale). Infine raccolgo tutto il mio liberum arbitrium e passo all’azione: picchio delicatamente sulle spalle dell’invereconda donzella, la quale si volta un po’ sorpresa verso di me, e coram populo (l’aula è infatti stipata) esclamo con nonchalance:
“Scusa, c’hai il sedere nudo”.
La fanciulla, che sotto sotto si rivela timida, non proferisce verbo, esplodendo però in un’espressione di penoso imbarazzo. Immediatamente adegua il suo contegno ai canoni della decenza. Sorrisi sotto i baffi dei maschietti presenti, i quali da par loro avevano evidentemente notato la copiosa esposizione di epidermide. Intima soddisfazione del sottoscritto.
Il sondaggio, di dichiarata ispirazione gnocchi-palmariana, consiste nel seguente quesito: ho fatto bene o male?
Le risposte possibili sono:
A) Hai fatto malissimo. Sei uno spregevole sessuofobo, misogino, moralista, bigotto e fondamentalista.
B) Hai fatto male. Hai dimostrato, in particolare, insensibilità e rozzezza mettendo in difficoltà davanti a tutti una fanciulla senza dubbio inconsapevole del proprio deretano scoperto.
C) Oggigiorno le ragazze effettivamente esagerano in disinvoltura, ma forse si tratta di fisiologiche evoluzioni del costume. Non saprei rispondere.
D) Hai fatto bene. In attesa di un novello Savonarola, queste piccole azioni di sabotaggio possono contribuire a restaurare la pudicizia perduta.
E) Hai fatto benissimo, ma non dovevi chiedere “scusa” e dovevi usare un tono di voce più alto.
La selezione naturale e il comunismo secondo Tommaseo
Niccolò Tommaseo (1802-1874) fu, per così dire, un “cattolico adulto” d’Ottocento. Liberale al tempo di Papa Pio IX, fu patriota e avversatore del potere temporale della Chiesa. Oggi, fortunatamente, lo si ricorda più che altro per il romanzo Fede e Bellezza e per i due grandi dizionari che costituiscono il lascito tuttora suggestivo della sua attività di linguista: il Dizionario dei Sinonimi e quello, in otto volumi, della Lingua Italiana, realizzato con Bernardo Bellini. ? proprio da quest’ultima opera che ho pensato di isolare un paio di lemmi e di sottoporli alla vostra attenzione:
Selezione: s.f. Selectio, aureo. Voce con cui gli scienziati della bestialità e del pantano, per negare la libertà umana, la affermano consentendola a tutte le cose. Dicono che L’uomo e ogni cosa si vennero creando per selezione da sé; ma non spiegano come cotesta affinità elettiva si concilii colla necessità ch’e’ vorrebbero universale tiranna.
Comunismo: s.m. Istituzione sociale, o piuttosto Sogno d’istituzione, in cui i beni materiali fossero tutti ugualmente distribuiti ad arbitrio de’ capi della società. Parola e idea esotica.
Quello che non si dice sulla Georgia (3): cosa pensano i georgiani del loro Presidente?
(di Giovanni Vagnone, 18 agosto 2008) Raramente scrivo pezzi in prima persona, raramente trovo di buon gusto
giocare sulle emozioni o tenere in considerazione il lato personale e
psicologico di chi è protagonista di grossi eventi storici, dei quali
tutti cerchiamo spiegazioni. Di solito mi soffermo su cause remote,
geopolitica, assetti che mutano e atteggiamenti di politica
internazionale che hanno molte ricadute intellettuali, che informano,
ma che alla fin fine rischiano di essere aride, quando c’è di più.
Opinioni e analisi, notizie, non cronaca diretta.
Oggi finalmente, dopo l’accendersi ed il calmarsi apparente del
conflitto in Georgia, sono però riuscito a prendere contatto con un mio
caro e giovane amico, di nome Levan, che ho ospitato nel 2006 qui a
Torino e con cui ho viaggiato molto per politiche giovanili in Europa.
Levan ha 22 anni, è responsabile esteri di Graali, un movimento
giovanile vicino come valori al Partito Popolare Europeo, e mi ha
raccontato cosa ha vissuto in questi quattro giorni: penso di poter
rendere utile testimonianza facendo un quadro della situazione che è
molto poco politico e molto umanamente spaventoso.
Il governo di Tbilisi ha mobilitato come riserve tutti i giovani fino
ai 23 anni. Li hanno presi e trasportati senza riserve di acqua o cibo
a Gori, dove per quattro giorni sono rimasti sotto i bombardamenti
russi. La situazione per i georgiani non è chiarissima, come a noi
appare dall’esterno, e Saakasvili ha la grande colpa di aver
mandato a
morire migliaia di ragazzini totalmente impreparati, molti dei quali
tentavano da subito di fuggire da Gori; Levan è rimasto finché la
situazione non è stata rimessa sotto controllo, grazie alla politica
dei “big”, ma anche a Tbilisi i russi hanno bombardato,
vicino al suo
appartamento. Lui ora resta lì, insieme alla sua famiglia,
completamente ignaro di cosa succederà e di cosa fare, con truppe russe
a pochi chilometri dalla capitale ed un atteggiamento dei russi che non
corrisponde minimamente alle dichiarazioni “ufficiali”.
Cosa è certo è che ritiene Saakasvili uno stupido, che ha iniziato una
guerra con la Russia impossibile da vincere e che sta cercando come
unica strategia di combattimento di elemosinare supporto da parte di
USA e Unione Europea (io stesso ricevo quotidianamente aggiornamenti e
contro-propaganda da parte di George Robakidze, Head of EU Unit del
Ministry of Foreign Affairs of Georgia): ma nessuno vuole mandare
truppe in un pantano come quello caucasico e sono tutti bravi solo a
parole, Russia compresa. Medvedev e Putin vengono ritratti come barbari
senza cuore, e nessuna colpa viene data a Unione Europea e Stati Uniti.
Saakasvili insomma viene da Levan e da molta parte della popolazione
georgiana ritenuto l’unico responsabile della situazione, cioè di
essersi messo contro ad un gigante che non aspettava altro che il
momento buono per fare i suoi comodi e prendersi gli spazi che la
politica internazionale gli interdiceva. Insomma, per una causa giusta,
la trasformazione in causa persa.
Ed oggi le prospettive sono delle più grigie. L’unica speranza del
mio
amico è quella di abbandonare il suo presidente al proprio destino (e
si riserva ancora un po’ di senso dell’umorismo, invitandomi a
guardare
su youtube quanto Saakasvili sia un “cretino”
http://www.youtube.
com/watch?v=uyNocJFUloA ) e fuggire, probabilmente in Turchia. Lo
scenario e le implicazioni geopolitiche le lascio ad altri autori e ad
altri momenti di riflessione: per oggi sono contento che lui sia ancora
vivo, anche se ha definito tutto un “inferno” e si è lasciato
andare a
confessarmi di essere terrorizzato mentre mi raccontava di tanti suoi
amici morti ammazzati al suo fianco. Resta un filo di amarezza quando
su alcuni telegiornali quasi tutto l’interesse va ai servizi sui
gavettoni di Ferragosto, ma la consapevolezza che quest’estate
lascerà
cicatrici profonde nella vita di molte persone come noi, appena al di
fuori dei confini della nostra Europa.
Fonte: L’Occidentale 18 Agosto 2008
Quello che non si dice sulla Georgia (2): Saakashvili ammette che il conflitto è stato voluto “per il nuovo ordine mondiale”
14 agosto 2008 (MoviSol) – “Questa cosa non riguarda più soltanto
la
Georgia”, ha detto Mikheil Saakashvili, presidente della Georgia,
al
giornalista Wolf Blitzer di CNN, il 10 agosto scorso. Gustandosi la
notorietà internazionale raggiunta, Saakashvili ha ecceduto nella
retorica: “Questo riguarda i valori fondamentali
dell’umanità… Si
tratta del futuro dell’ordine mondiale. E penso che vi siano in
ballo
cose più grandi che la sola Georgia. Quanto a me, sono preoccupato per
la mia nazione. Ma per il mondo in senso lato, si tratta del futuro
ordine mondiale”.
Quello che non si dice sulla Georgia (1): la politica pro-droga di Saakashvili (e di Soros)
14 agosto 2008 (MoviSol) – La Fondazione Beckley, una delle tante
organizzazioni fondate da Soros per propagandare la liberalizzazione
della droga, si trova alla periferia di Oxford. Nel maggio scorso essa
ha pubblicato un rapporto dal titolo “Antidroga in Georgia: i test
anti-
droga e la riduzione del consumo”. Con quel rapporto, la
fondazione
lodava la politica del presidente georgiano Mikhail Saakashvili e
criticava l’operato del precedente presidente Eduard Shevardnadze.
“L’ex primo segretario del comitato centrale del partito
comunista
georgiano, Eduard Shevardnadze, iniziò negli anni ’70 una dura
campagna
di misure contro la droga e contro coloro che ne facevano uso”,
dice il
rapporto, citando un’altra entità fondata da Soros, lo Human Rights
Watch. La Fondazione Beckley commentava positivamente i
“promettenti
cambiamenti sotto la presidenza di Mikhail Saakashvili”, il quale
ha
“annunciato la possibilità di spostare l’asse delle politiche
antidroga
dall’orientamento giuridico dominante”. In altre parole, il
beneficiario della “rivoluzione rosa” georgiana finanziata da
Soros,
Saakashvili, potrebbe aver promesso a Soros di arrivare in futuro alla
legalizzazione della droga. Immaginate che cosa significherebbe per la
Russia, già pesantemente compromessa dalle ondate di eroina proveniente
dall’Afghanistan!
Il condirettore della Fondazione Beckley, Mike Trace, l’ex vice zar
dell’antidroga in Inghilterra, fu nominato direttore della sezione
“Riduzione della Domanda” dell’Ufficio Antidroga delle
Nazioni Unite
nel gennaio 2003. Dopo otto settimane fu costretto a dare le
dimissioni, a seguito della pubblicazione di documenti in possesso del
Hassela Nordic Network, un gruppo svedese che si oppone alla
liberalizzazione delle droghe, nei quali Trace appariva partecipe di un
piano finanziato dal miliardario George Soros per rivedere le
convenzioni internazionali sul traffico di droga, in occasione di un
incontro dell’ONU da tenersi a Vienna nell’aprile dello stesso
anno.
L’Hassela Nordic Network aveva fatto notare che, nel settembre
precedente (2002) Trace, in una lettera indirizzata a Aryah Neier,
presidente dell’Open Society Institute (OSI), descriveva il suo
ruolo
come segue: “Per quanto riguarda i miei compiti, penso che sarebbe
meglio, nei primi momenti, che io fornissi consigli e consulenze da
dietro le quinte, visto il mio contemporaneo ruolo di Presidente dello
European Monitoring Group, la mia associazione con il governo
britannico e qualche lavoro di cui mi ha incaricato l’Ufficio
antidroga
dell’ONU. Questo ruolo da ‘quinta colonna’ mi permetterebbe di
sovraintendere all’istituzione dell’ente (ho già in mente
alcuni
individui di buona qualità con cui potrei lavorare a tal proposito in
piena fiducia), mentre promuovo i suoi scopi sottilmente nelle sedi
governative formali”.
L’ente a cui Trace si riferisce è Release, un gruppo londinese
usato
da Trace e l’OSI come paravento per condurre un’iniziativa,
privatamente chiamata Progetto X o “iniziativa di Londra”, e
ufficialmente “Forward Thinking on Drugs” (Pensiero avanzato
sulla
Droga), che serviva a preparare delle alternative alle vigenti
convenzioni dell’ONU sulla droga prima dell’incontro di Vienna.
Quale
presidente di questa iniziativa era stata scelta l’australiana
Cheryl
Kernot, nel dicembre 2002. Il bilancio a disposizione per
l’iniziativa
fu stabilito a 405 mila dollari. Il finanziamento provenne da Soros e
da altre fondazioni europee che condividono gli obiettivi di Soros.
Fonte: www.movisol.org
Assaggi 47: Restituire ai professori l’autorità del loro ruolo
I giovani d’oggi riconoscono l’autorità solo quando risulta autentica: ai loro occhi chi esige sottomissione e obbedienza in qualità d’insegnante deve fondare e giustificare la propria autorità con competenza, personalità carismatica e integrità morale. I giovani vogliono che docenti, educatori e soprattutto genitori siano persone dotate di un forte ascendente, tuttavia devono sottostare anche a insegnanti che con la loro personalità non riescono ad affermare il proprio diritto all’autorità: in questo caso, è necessario conferire a questi ultimi una sorta d’autorità ufficiale che procuri loro rispetto e ne tuteli il ruolo. I docenti dovranno però salvaguardare questa autorità ufficiale e dunque non potranno tollerare nessuna mancanza di rispetto. Se uno studente usa il tono sbagliato l’insegnante dovrà riferire l’accaduto alla direzione della scuola: quand’ero rettore ho sempre preteso che fosse così. Ogni insegnante ha diritto al rispetto, ed è preciso dovere dell’istituzione scolastica far sì che lo ottenga. Un insegnante deve poter girare per la scuola ed entrare in qualunque classe con la consapevolezza del proprio valore e con dignità, perché è tutelato dal rispetto che gli viene conferito dall’autorità del suo ruolo.
Bernhard Bueb, Elogio della disciplina, Rizzoli 2007, p. 51
Spaghetticons. La deriva neoconservatrice della destra cattolica. La recensione di Carlo Gambescia
Come promesso in un precedente post, ecco a voi una recensione del bellissimo libro di Luigi Copertino Spaghetticons. La deriva neoconservatrice della destra cattolica. Ho pensato di proporre non una recensione inedita, ma quella – ottima – apparsa giovedì 19 giugno 2008 sull’interessante sito carlogambesciametapolitics ad opera appunto del sociologo Carlo Gambescia. Buona lettura.
Il libro della settimana: Luigi Copertino, Spaghetticons. La deriva neoconservatrice della destra cattolica italiana, Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 2008, pp. 204, euro 18,00 – info@ilcerchio.it
Si fa presto a dire cattolici neoconservatori… In realtà si tratta di un movimento molto articolato. Benché, qui in Italia, attualmente, il discrimine sia rappresentato dalla posizione assunta verso il neoconservatorismo americano di “impronta” cattolica. Semplificando, quello impersonato da Michael Novak e da Russell Kirk, autore il primo dell’Etica cattolica e lo spirito del capitalismo (trad. it. Einaudi 1999), in cui si celebrano le nozze tra cattolicesimo e mercato. Mentre al secondo, Kirk, dobbiamo Le radici dell’ordine americano. La tradizione europea nei valori del Nuovo Mondo (trad. it. Mondadori 1996), dove invece convolano a nozze Platone, il cattolicesimo medievale e i padri costituenti americani.
Ecco, in sintesi, i tre i punti critici che separano, al suo interno, la destra cattolica italiana. Le cui non folte schiere possono essere divise, a grandi linee, tra filoamericani e antiamericani.
Il primo è quello dell’identificazione, in nome dell’Occidente, fra Stati Uniti ed Europa. Sorvolando però, a detta degli antiamericani, su un dettaglio storico non secondario: quello della Riforma Protestante, profondamente anticattolica.
Il secondo è quello dello scontro di civiltà, sollevato da Huntington, e rinfocolatosi, in chiave anti-islamica, dopo l’attentato alle Torri Gemelli e negli anni della Presidenza di Bush jr. Celebrato dai filoamericani il “Nuovo Crociato”.
Il terzo è quello del capitalismo “globalizzatore”. Per i filoamericani sarebbe il vero “motore” delle libertà cristiane. Mentre per gli antiamericani solo un odioso rullo compressore. Di qui il diverso giudizio sul ruolo economico dello Stato: fonte di sprechi per i primi; sorgente di sostegno sociale per i secondi.
Il lettore si sarà accorto che non abbiamo fatto ancora nomi e cognomi. Per una ragione molto semplice: perché li fa Luigi Copertino, giornalista pubblicista e capace studioso del tradizionalismo cattolico italiano. E in un libro brillantemente prefato da Franco Cardini, il cui sarcastico titolo è tutto un programma: Spaghetticons. Le deriva neoconservatrice della destra cattolica italiana (Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 2008, pp. 204, euro 18,00).
Va ricordato che Copertino è un “osservatore partecipante”. Nel senso che non nasconde il suo tradizionalismo e neppure la diffidenza verso il “Crociato Bush”. Tuttavia il libro non ne risente più di tanto. Come nota Franco Cardini nella bella prefazione, Luigi Copertino è “andato con pazienza alla ricerca delle tracce e delle prove” lasciate da certo cattolicesimo a stelle e strisce in salsa italiana. Aiutandoci a scoprire l’alto prezzo pagato per “questi passaggi sull’auto del vincitore” le cui “poltroncine e… strapuntini… costano salati”. Il punto è sapere, conclude Cardini, “se quell’autobus, che attualmente sembra arrivato a un capolinea. Farà un’altra corsa, e imbarcherà ancora i medesimi passeggeri , se il manovratore avrà ancora bisogno dei loro consigli teologico-politici o si rivolgerà ad altri”.
Adesso però bisogna fare qualche nome. Copertino, oltre a tracciare un esauriente ritratto dei neoconservatori americani, cattolici o meno, già abbastanza studiati in Italia (e sul quale perciò sorvoliamo), dedica pagine molto interessanti al cattolicesimo conservatore italiano pro-Bush, ben incarnato da eruditissimi teologi d’assalto come Gianni Baget Bozzo, e da certo giornalismo “ateo devoto”, targato Giuliano Ferrara.
Osserva Copertino: ” Certa destra cattolica, da Alleanza Cattolica a Comunione e Liberazione, dalla Associazione Tradizione Famiglia e Proprietà al Centro Culturale Lepanto, dai cattolici padani alla Borghezio al variegato mondo del tradizionalismo legittimista che confonde federalismo transnazionale e reticolare con la presunta restaurazione dei corpi intermedi dell’antica Cristianianità, guarda agli Stati Uniti… come al nuovo impero romano che la Chiesa dovrebbe battezzare come proprio ‘braccio secolare’. Gli Stati Uniti sarebbero, in tale prospettiva, il Nuovo Cesare provvidenzialmente suscitato da Dio per il trionfo del cristianesimo nel mondo” .
Sappiamo di metterla sul complicato, ma il lettore deve sapere che Copertino ragiona in termini piuttosto alti di teologia e storia delle idee. Il che però spiega la sua tesi che dietro la scelta del cattolicesimo neoconservatore italiano di sposare la prospettiva americana vi sia “la sottovalutazione delle radici protestanti dell’ordine americano”. Un errore madornale che esporrebbe “l’infatuata destra cattolica alla sostanziale accettazione dell’antropologia negativa, della sociologia contrattualista e del decisionismo ‘imperiale’ che caratterizza l’ideologia neocon statunitense, filiazione diretta della linea Lutero-Calvino-Hobbes-Schmitt che è la linea del pessimismo cosmico-antropologico”. Una corrente “contrapposta dialetticamente a quella dell’ottimismo cosmico antropologico Kant-Rousseau-Marx-Popper della quale è erede al sinistra liberal”.
Due linee ideali, prosegue Copertino, “che nascono certamente in Europa lungo i secoli del processo di scristianizzazione del vecchio continente, ma come variabili contrapposte e complementari”, all’interno del “pensiero politico moderno dell’immanentismo ateo. Ed è in esse che “l’ordine americano sia nella declinazione conservatrice che il quella liberal ha le sue radici”.
Insomma, semplificando, il neoconservatore cattolico che sposa le ragioni, dell’unità culturale euro-americana, dello scontro di civiltà e della necessità di una crescente globalizzazione capitalistica, accetta di muoversi idealmente in un contesto di tipo non cattolico ma protestante. E soprattutto all’interno di una visione individualistica in cui è l’uomo, materialmente, a farsi mondo, relegando Dio nell’ angolo.
Si dirà che l’impostazione di Copertino risale al pensiero controrivoluzionario dei Bonald, dei de Maistre, eccetera. Dunque nulla di nuovo. Tuttavia, l’autore applicandola agli “Spaghetticons”, mostra come in certi “atei devoti” alla Giuliano Ferrara, la religione cattolica sia esclusivamente considerata strumento di controllo sociale. Secondo una visione – ecco il punto – completamente secolarizzata del sociale di origine protestante, in cui ordine sociale religioso e morale sono identificati con le istituzioni esistenti del capitalismo americano. Il che rivela – facendo un passo ulteriore rispetto alla lezione controrivoluzionaria – come dietro il “liberalismo cattolico” dell’ateo devoto del dare a Cesare quel che è di Cesare, si nasconda, in realtà, un bruciare incenso sull’ara del Cesare americano, come supremo tutore dell’ordine politico e soprattutto economico.
Venendo infine ai rapporti con l’Islam, le tesi da “colomba” di Copertino sono condivisibili sotto l’aspetto storico e culturale. Dal momento che è storicamente giusto sostenere come le affinità culturali tra cristianesimo e Islam, proprio perché di lunga data, continuino a garantire una migliore conoscenza reciproca. E di riflesso, pur tra gli alti e bassi della storia, la possibilità di un’accettabile convivenza tra i due mondi: Cristianesimo e Islam, avrebbero, insomma, le carte in regola per intendersi, come del resto sostiene uno storico del calibro di Franco Cardini.
Tuttavia, sul versante politico immediato, potrebbero aver ragione i catto-conservatori filoamericani. Dal momento che ai cattolici, come Copertino, che in verità non sono molti ( e ai quali magari si potrebbe dedicare un altro libro, più piccolo…), è finora mancata una sponda politica “forte”, sia in Italia e in Europa che nel mondo Islamico. Di qui la necessità di una scelta “prudenziale”, come sostengono i filoamericani, in favore degli Usa.
In conclusione, i cattolici alla Copertino sperano nella ragioni profonde della storia, gli “Spaghetticons” in quelle, più a breve termine della politica. E tutti insieme si appellano a Dio. Che probabilmente è in tutt’altre faccende affaccendato.
Irrigata senza posa dall’eterno. La Cristianità secondo Gustave Thibon
Gobineau si definiva un anarchico conservatore, formula che ripresi volentieri a mio riguardo apportando questa precisazione: anarchico quanto alle mode, alle convenzioni, ai pregiudizi e ai riflessi imposti alle folle dai capricci del grande animale di Platone (il mondo, dirà il Vangelo); conservatore in rapporto alle vere tradizioni che hanno la loro sorgente al di là dei tempi e della morte.
Cos’è la cristianità? Non solamente l’insieme dei popoli dove predomina il cristianesimo, come la definisce il dizionario, ma un tessuto sociale dove la religione penetra fino alle ultime pieghe della vita temporale (costumi, usanze, giochi e mestieri…), una civilizzazione in cui il temporale è irrigato senza posa dall’eterno.
Nominalmente, un paese come la Francia resta ancora una cristianità perché il numero dei battezzati in essa predomina; vitalmente, la cristianità vi muore di consunzione.
[…è nel Medioevo] che esplode il paradosso dell’incarnazione del divino nel sociale. Paradosso che, a prima vista, sembra mascherare una contraddizione interna.
Da una parte, il cristianesimo ci reca la rivelazione di un Dio, autore dell’universo in cui ha lasciato il riflesso e le vestigia della sua potenza e della sua bontà, ma infinitamente distante da questo universo per la sua trascendenza e la sua perfezione assoluta (“Dio non è né più grande né più felice per aver creato l’universo” diceva Bossuet), di un Dio inaccessibile non solamente ai nostri sensi, ma anche alla nostra intelligenza, e che non si conosce che rinunciando a comprenderlo, vale a dire eliminando progressivamente tutto ciò che si credeva di sapere su di lui… ? questa la via negativa dei teologi, la notte dei mistici, senza fine evocata nel corso delle epoche dai più alti testimoni dell’insondabile. Un Dio che ha Lui stesso proclamato il suo regno non essere di quaggiù, e il cui appello si rivolge al centro più segreto dell’anima, ai figli della luce strappati per mezzo della grazia alle tenebre del mondo.
D’altro canto, nella cristianità, questo Dio il cui eccesso di luce fa la notte nel nostro sguardo si abbassa a portare questa stessa luce nei nostri occhi e nelle nostre mani. Egli si inserisce nelle patrie e nelle culture: l’infinito si localizza, l’eterno sposa i ritmi del tempo…
E, nuova apparente contraddizione, sono stati quasi sempre i santi, questi testimoni solitari del Dio sconosciuto, coloro che hanno vegliato più scrupolosamente sulle fondamenta temporali dell’eterno. Tali i fondatori di ordini religiosi – san Benedetto su tutti – scrutatori del cielo e prodigiosi realizzatori sulla terra.
Paradosso che risale al Vangelo: il Cristo, il cui regno non è di questo mondo e che ha rifiutato, all’ora della tentazione nel deserto, gli imperi della terra (Tu non servirai che Dio solo…), ci ingiunge anche – cosa che sembra contraddire la risposta a Pilato – di domandare a suo Padre, che fa una cosa sola con Lui, che il suo regno venga, che la sua volontà sia fatta in cielo come in terra…
Il regno di Dio sulla terra… ? nel Medio-Evo che questa osmosi del divino e dell’umano ha trovato la sua espressione più alta. Dopo il Rinascimento (a eccezione del Romanticismo che se ne faceva un’immagine abbastanza convenzionale), non si è cessato di considerare questi mille anni di storia come un’epoca di tenebre e di barbarie. Mi tornano alla memoria i versi di Leconte de Lisle che ci facevano recitare alla scuola primaria:
“Hideux siècles de foi, de lèpre et de famine
Que le reflet sanglant des b?chers illumine (…)
Dans chacune de vos exécrables minutes
? siècles d’égorgeurs, de l?ches et de brutes
Honte de ce vieux monde et de l’humanité,
Maudits, soyez maudits, et pour l’éternité!”
[“Orridi secoli di fede, di lebbra e di carestia / che il riflesso sanguigno dei roghi illumina (…) / Per ciascuno dei vostri esecrabili minuti / Oh secoli di scannatori, di vigliacchi e di bruti / Vergogna di questo vecchio mondo e dell’umanità, / Maledetti, siate maledetti, e per l’eternità!”.]
La corrente sembra invertirsi e oggi assistiamo, almeno presso gli storici più obbiettivi, alla riabilitazione della cristianità medievale. Persino una Simone Weil, le cui reticenze circa la Chiesa istituzionale non hanno bisogno di essere richiamate, riconosceva che la società umana aveva raggiunto il suo apice nel XII secolo e non aveva fatto in seguito che degradarsi.
[…? possibile descrivere] questa età dell’oro della cristianità in termini segnati da una radiosa nostalgia: il sacro penetrante il profano fino alle radici; l’uomo inserito in una comunità dove tutto gli parlava della sua origine divina e della sua destinazione eterna; il soldato trasfigurato in cavaliere e in crociato; il principe unto del Signore e reggitore della spada di Dio; la forza al servizio della luce; in poche parole, una città degli uomini in cui germina l’abbozzo della città di Dio.
Prevedo la reazione di un buon numero dei nostri contemporanei di fronte a questo masso gettato nello stagno delle convenzioni e delle ideologie del mondo moderno. Essi sottolineeranno gli aspetti negativi della cristianità: fanatismo, intolleranza, superstizioni, collusione tra il potere politico e l’autorità spirituale, resistenza alle innovazioni liberatrici – e tutto ciò sfociante nell’asservimento dell’individuo e nell’immobilità della società, in nome di Dio.
Per quanto eccessive siano queste accuse, nessuno saprebbe negare le zone d’ombra della cristianità senza malafede. Ma la questione vera si pone in questi termini: può esistere un cristianesimo senza cristianità, vale a dire un insieme di strutture sociali, di regole e di pratiche che assicurano la trasmissione e vegliano sullo schiudersi della semenza divina? E questa lega di umano e di divino può essere esente da imperfezioni e da impurità?
La risposta è negativa per le due ragioni seguenti. Primariamente in virtù della dipendenza del superiore nei confronti dell’inferiore, che è l’amara legge di quaggiù. La vita è per essenza più nobile della materia inanimata, ma non saprebbe esistere senza la materia; il pensiero è per essenza più nobile della vita, ma esso non esiste, salvo che negli angeli, senza essere legato ad un corpo; la grazia appartiene a un ordine irriducibilmente superiore alla natura, ma ha bisogno di questa natura che essa trascende senza abolirla. ? ciò che un umorista esprime in modo eccellente: “La rosa ha bisogno del terriccio, ma il terriccio non ha bisogno della rosa”. Ed è ciò che dimenticano gli idealisti di ogni tendenza, che pretendono di liberare l’uomo e di ricostruire la società senza tenere conto di questa subordinazione esistenziale della causa alla condizione: solo i fiori artificiali possono fare e meno del terriccio, perché non hanno linfa né radici…
In secondo luogo perché Dio, “creando l’uomo il meno possibile”, secondo l’ammirabile formula di Blanc de Saint-Bonnet, l’ha affidato nello stesso tempo alla tutela dei suoi simili. C’è infatti qualcosa al mondo di più indigente, di più disarmato del bambino al momento della nascita e durante gli anni che seguono, senza parlare della massa innumerevole di coloro che non accedono mai alla vera maturità dello spirito? ? grazie all’educazione ricevuta dallo comunità, e in parte grazie alle costrizioni che la comunità gli impone, che lo z?on politikon di Aristotele accede alla dimensione dell’universale. E la vera libertà – quella che sfida tutte le pesantezze sociologiche e che consiste nell’obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (parere Deo libertas est, diceva il vecchio Seneca) – è ancora per il tramite del sociale che fiorisce nell’uomo. Dante, cacciato da Firenze, scriveva a un amico che si impietosiva per il suo esilio: Le alte verità, nella loro suprema dolcezza, sono visibili sotto tutti i cieli. Niente di più vero, ma è in quella Firenze che Dante aveva attinto il tesoro interiore di cultura e di religione che l’accompagnava nel suo esilio. Simone Weil arrivava a dire “che un popolo senza passato è inadatto al soprannaturale”, giacché se Dio è la fonte, la società è il canale.
La stessa Simone Weil distingueva due tipi di società, o piuttosto due aspetti del fenomeno sociale. Da una parte la società come mezzo trasmettitore e diffusore di quei valori eterni (il Vero, il Bello e il Bene) di cui Dio è il centro, laddove la tradizione e i costumi sono dei metaxu (degli intermediari) tra l’uomo e la sua destinazione; dall’altra la società chiusa su se stessa, di cui il grande animale di Platone ci offre l’immagine. La questione sta tutta nel valutare la parte rispettiva di ciascuno di questi elementi all’interno della tale o talaltra forma di società.
Ora, essendo il Bene assoluto irrealizzabile nella vita sociale e politica, da quale parte sta il male minore e da quale altra parte il peggio? La cristianità, anche nelle sue forme più alte, non è mai sfuggita a questa pesantezza del sociale che è il prezzo dell’incarnazione, ma essa ha pure, per mezzo delle sue istituzioni, dei suoi riti, del suo spirito comunitario, addomesticato in parte il grande animale e trasformato i suoi riflessi in strumenti della grazia, cosicché la via stretta tracciata sulla terra rimaneva un ampio viale che conduceva alla nazione senza confini. Un mondo chiuso, diranno gli spiriti moderni. In un certo senso sì, ma alla maniera di un nido che è chiuso dalla parte del suolo al fine di prevenire le cadute e aperto dalla parte del cielo, adatto a favorire la crescita delle ali.
Infine – argomento definitivo – da cosa è stata rimpiazzata la cristianità ovunque essa è crollata? Gli idoli che si sono succeduti al vero Dio hanno condotto l’umanità verso un maggior grado di luce, di pace e di libertà? Nella cristianità, la pesantezza sociale giocava in parte al servizio della grazia. Questa pesantezza non è invece ai nostri giorni più schiacciante che mai? Non abbiamo forse visto, dopo la fine del Medio-Evo, l’amore delle patrie irrigidirsi in nazionalismi gretti e aggressivi, lo spirito comunitario virare in lotta di classe, il liberalismo nelle idee e nei costumi sfociare nelle peggiori schiavitù, l’oblio del passato rendere sterile l’avvenire, in breve l’avvento di un mondo dove la peggiore forma di vita sociale soffoca la libera respirazione delle anime? ? ancora necessario ricordare la proliferazione delle sette che fioriscono sulle rovine della cristianità e sostituiscono un fanatismo infantile allo spirito d’infanzia del Vangelo? O i regimi totalitari dei paesi dell’Est [la stesura di questo testo risale al 1986, ndr] dove sono portati alla loro espressione suprema tutti gli abusi che a torto o a ragione si è potuto rinfacciare alla Chiesa: opaco dogmatismo, violazione delle coscienze nel nome di un’ortodossia imposta per mezzo dell’esercito e della polizia, caccia agli eretici (i dissidenti!), inquisizione, impiego della scomunica, ecc. – e tutto ciò senza la minima via d’uscita verso un mondo trascendente dove tutto sarà in ultima istanza giudicato e definitivamente ricollocato al suo posto. […]
Tale è il frutto delle ideologie disincarnate che si sono sostituite all’esperienza millenaria degli uomini. Il pesce marcisce a partire dalla testa, dicono gli orientali; l’utopia promette in sogno la ricostruzione del paradiso terrestre e, applicata alle realtà concrete, si traduce al risveglio in uno straripamento dell’inferno sulla terra: il gulag in Oriente e, in Occidente, un altro gulag, molle, indolore, intessuto di sazietà, di noia, di distrazioni senza finalità, ma altresì completamente estraneo ai valori che fondano una civilizzazione autentica.
Aristotele, questo principe senza uguali dell’intelligenza, denuncia i misfatti delle ideologie dissociate dalle realtà empiriche con queste semplici parole: “? assurdo non fidarsi che del pensiero”. E tra i moderni citiamo solamente Rivarol: “Ovunque vi sia una mescolanza di barbarie e di religione, è la religione che finisce per avere la meglio; laddove vi è una mescolanza di barbarie e di filosofia, è la barbarie che prevale (allusione da una parte all’opera del cristianesimo dopo il crollo della civilizzazione greco-romana, e dall’altra agli orrori della Rivoluzione francese scaturita dall’idealismo di Rousseau)”. E Valéry: “Niente conduce più sicuramente alla barbarie che l’attaccamento allo spirito puro”. E potrebbe darsi che la forma più malefica di peccato contro lo Spirito sia di ricondurre tutto allo spirito…
[…è lecito fare appello] all’edificazione di una nuova cristianità. Non il ricalco servile della cristianità di un tempo, ma l’imitazione creatrice, adattata alle esigenze del secolo, del medesimo modello eterno. Questo è il senso della vera tradizione, immutabile nelle sua fonte e mobile nel suo corso, che consiste, dice ancora Valéry, “non nel rifare le cose che altri hanno fatto, ma nel ritrovare lo spirito che ha fatto queste cose e che ne farebbe tutt’altre in altri tempi”. Solo per mezzo della tradizione l’uomo potrà sfuggire all’individualismo che separa e al collettivismo che confonde […].
Tutto ciò postula la presenza fecondatrice di una nuova aristocrazia, originante non dal sangue né dal potere, e nemmeno dalla cultura nel senso intellettuale della parola, ma dall’élite di tutti gli ambienti sociali.
La parabola della semente e del terreno riassume splendidamente […questo] messaggio […]. La semente è la parola divina, e il terreno è l’uomo e la società che la ricevono. Non si semina su terreni incolti; una solidarietà misteriosa ha sempre unito, presso i grandi apostoli del Vangelo, il gesto alato del seminatore che sparge la semente e il gesto più umile e più pesante, ma ugualmente necessario, del coltivatore che opera l’aratura del campo.
GUSTAVE THIBON
30 aprile 1986
Del come una libreria laica sia in realtà una libreria anti-cattolica. Un giro alla Libreria Ubik di corso 3 Novembre a Trento
Lo confesso: a volte, benché sempre più di rado col progredire dell’età e dell’assennatezza, cedo alla tentazione di fare una capatina in quell’alienante e impersonale supermercato del libro che è la Libreria Ubik (ex Rizzoli) di corso 3 Novembre a Trento. L’ho fatto anche recentemente, traendo dalla breve visita tra gli affollati quanto anodini scaffali un insegnamento che non reputo del tutto inutile condividere con i lettori di questo sito.
La nostra è una società sempre più clericalizzata, dove i preti dettano legge e in cui è negato alla cultura laica uno spazio di espressione libero da “ingerenze” e “censure”. Questo l’ossessionante leit-motiv che dalle cattedre universitarie alla rubrica di letterine dell’Adige viene da qualche tempo ripetuto.
Parrebbe trattarsi di un problema di scottante attualità. Perché non dare un’occhiata, allora, a puro scopo di verifica, proprio nel settore Attualità della nostra Libreria Ubik? Che le cose stiano davvero nei termini predetti, un mero elenco dei volumi offerti alla sete di sapere del pubblico potrà confermarlo o smentirlo.
Ignoriamo dunque copertine e titoli a sfondo sessuale campeggianti in vetrina, scendiamo le scale, viriamo a sinistra e concentriamoci sul settore preso in esame.
Et voilà un elenco significativo dei volumi messi in evidenza dai responsabili della Libreria Ubik nel settore Attualità, addì 10 o 12 giugno 2008 circa:
Richard Dawkins, L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, Mondadori;
Sam Harris, Lettera a una nazione cristiana (con prefazione di Richard Dawkins), Nuovi Mondi (dal retro di copertina: “Ateismo è una parola che non dovrebbe esistere. Nessuno ha bisogno di qualificarsi come non-astrologo o non-alchimista“);
Christopher Hitchens, Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa, Einaudi (dello stesso autore è presente anche l’indispensabile Consigli a un giovane ribelle, sempre Einaudi);
Tony Braschi, Il libro nero del Vaticano, Edizioni Libreria Croce;
Jacopo Fo – Sergio Tomat – Laura Malucelli, Il libro nero del cristianesimo. Duemila anni di crimini in nome di Dio, Nuovi Mondi;
(immancabile) Piergiorgio Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), Longanesi;
Michel Onfray, Trattato di Ateologia, Fazi (del grande ateologo Onfray è presente nella sezione Filosofia praticamente l’opera omnia);
Telmo Pievani, Creazione senza Dio, Einaudi;
Hemant Metha, Ho venduto l’anima su E-Bay. La religione agli occhi di un ateo, Baldini Castoldi Dalai.
Ohibò! Nessuna traccia è dato ravvisare, almeno tra i libri posti in evidenza, dell’arrembante offensiva culturale clerico-fascista lamentata ad ogni piè sospinto da intellettuali, politici e giornalisti del Bel Paese. Già, poiché l’unico titolo lontanamente riconducibile a una prospettiva cattolica (dico lontanamente) è nientepopodimenoché Enzo Bianchi, La differenza cristiana, Einaudi. Si direbbe piuttosto che, se offensiva esiste, questa sia condotta in direzione esattamente contraria.
Ma diamo velocemente una scorsa ai libri riposti negli scaffali. Tra essi, nessuna traccia dei soliti, onnipresenti autoracci cattointegralisti e fanatistoidi. Invece, in tema religioso, ecco che abbiamo:
Ferruccio Pinotti, Opus Dei segreta. Frusta, cilicio e alta finanza: per la prima volta parlano i testimoni, Rizzoli;
Carlo Falconi, Il pentagono vaticano, Kaos Edizioni;
Francesco Remotti, Contro natura. Una lettera al Papa, Laterza;
Carlo Augusto Viano, Laici in ginocchio, Laterza.
Questi laici non si direbbero davvero “in ginocchio”, come recita il titolo di Viano citato. Anzi, sembrerebbero padroni incontrastati della più grande e frequentata libreria di Trento. Ma sorge un ultimo dubbio: che i cristianacci fondamentalisti e retrivi si celino nel settore Religione?
Proseguiamo lungo il corridoio e rendiamoci conto della situazione.
Fatti pochi passi, la situazione è che il settore Religione è stato inopinatamente collocato accanto al settore Esoterismo. Forse i commessi della Ubik pensano che le due materie abbiano qualcosa in comune. E in effetti, frugando nel settore Religione, pare proprio così: vi si trova infatti, quasi esclusivamente, materiale su Cabala, Talmud, testi gnostici, vangeli apocrifi. Inevitabile la presenza del cosiddetto Vangelo di Giuda nell’edizione della massonica National Geographic Society. Non fanno difetto, certamente, testi di interesse più propriamente religioso (su tutti l’interessante L’eros nell’ebraismo), ma facendosi largo tra l’Inchiesta su Gesù di Augias e Pesce e titoli come Gesù Profeta Rivoluzionario o Gesù non l’ha mai detto non è dato constatare una particolare ricchezza di materiale serio. Non sono assenti, nemmeno qui, vari libri di Enzo Bianchi (un titolo per dare l’idea: Dio, dove sei?, Rizzoli), qualche librone di Hans K?ng, alcuni indispensabili testi della Kaos Edizioni e uno del fantateologo Vito Mancuso, personaggio peraltro molto amato dalle signore-bene. Libri cattolici? Le Ipotesi su Gesù di Messori (meno male), l’autobiografia del Card. Biffi, qualche volumetto di Socci e della principessa Borghese. Almeno per quantità, nulla di preoccupante.
Se a qualcuno è negato uno spazio di espressione, alla Ubik (e non solo) non è certo al mondo laico.