Avrei potuto battezzare questo piccolo racconto “Delle leggi e della Giustizia”, ma il nome non avrebbe centrato il senso.
Le riflessioni di Justine, infatti, non si soffermano sull’azione-reazione del controllore (se il biglietto
dell’autobus non è corretto si paga la multa), quanto sul modo in-umano di portare a termine il suo compito.
Tuttavia, pur nella tristezza della situazione, la turista ha assaporato la dolce sensazione del calore umano ricevuto dal popolo di viaggiatori, giovani e meno giovani, che abitava l’autobus della Linea 36, direzione Miramare, in quel caldo quindici luglio.
Un po’ assonnata Justine aprì un occhio, ma solo aprendo anche l’altro si rese conto di non trovarsi in un luogo familiare.
Un attimo: – Sì, sono a Trieste, ricordò, mentre uno sbadiglio a tutto tondo la travolgeva in pieno.
– Oggi sarà Miramare, non vedo l’ora. Giù dal letto Justine! Colazione e via!
La giornata era splendida, ieri si era sentita nel ventre della Madre Terra nella Grotta gigante, in una esperienza magnifica ed oggi non si aspettava di meno.
Il destino, però, si era svegliato anche lui e, sicuramente, la Matricola della linea Trentasei, stava sorseggiando il suo caffè.
Mentre mangiava il croissant con tutta l’energia del suo entusiasmo Justine ripensava a ciò che Vittor e Dany le avevano raccontato del castello, ai particolari; l’impazienza aumentava e con la mente era già là.
Le quattro, piacevoli chiacchiere d’obbligo alla reception, la conferma delle informazioni già memorizzate: – Ma è sempre meglio controllare, e si lasciò l’albergo alle spalle.
Justine si diresse in piazza per prendere l’autobus linea Trentasei direzione Castello di Miramare, ma lo intravide alla fermata prima e corse per prenderlo: – Che fortuna (!?!) pensò e salì. La rituale timbratura del biglietto (di cui si era rifornita ieri dopo l’arrivo alla stazione) mentre respirava l’aria di allegria, della quale era colmo l’autobus, dovuta ad un gruppo di ragazzi del Centro estivo.
– Le classi, i ragazzi, il mio mondo fatto di chiasso e risate, pensò Justine ed un sorriso si allargò sul suo volto. Due di loro “si davano di gomito” osservando il telefonino di evidente fattura Paleolitica col quale Justine stava parlando coi suoi figli e scambiava con loro le impressioni sulla città.
In quel mentre, anche il solito destino aveva iniziato la sua giornata e, per l’occasione, vestiva la divisa di un controllore con le sembianze di una Anonima matricola. Questi, indossata l’uniforme, pavoneggiandosi impettito e compiaciuto davanti allo specchio: – Bene, tremino le genti là fuori, sono pronto a far rispettare la legge. Nessuno potrà sottrarsi, avrà pensato sentendosi protetto da un tale simbolo di potere.
Eccolo, si manifesta tra le persone. Nella gioia e nella piena umanità si fa strada una figura priva di sguardo e di espressione, una presenza in-umana: una casuale sequenza numerica. Discute con gli insegnanti sul numero dei ragazzi e dei rispettivi documenti di viaggio.
Justine finiva la sua conversazione al telefono:
– Buona giornata Matthieu, ciao André, vi saluto perché sono saliti i controllori e preparo il biglietto, a domani.
Era già pronta; in mezzo a quella folla l’uomo con le tendine sugli occhi non si era neanche accorto della sua presenza, ma lei, sempre pronta al rispetto del senso civico, tendeva il talloncino (ma perché mai!).
L’artiglio lo uncina e dopo qualche secondo la voce metallica della Matricola cieca:
– Questo biglietto è già stato timbrato ieri.
Justine non capì, fu come se quella frase non fosse per lei, tanto che venne ripetuta. Ora aveva sentito bene, aveva persino capito, ma non sapeva, comunque, cosa rispondere.
– Il biglietto… non so…l’ho timbrato adesso…
Il controllore non guardava, ma aveva già chiara la sentenza:
– Colpevole!
– Guardami! pensò sconcertata Justine.
– Guardami un istante negli occhi e avrai chiaro che non sto mentendo.
Si ritrovò a balbettare qualcosa per spiegare, ma il fatto è che non sapeva nemmeno lei come potesse essere successo. Provò a riandare ai fatti di ieri.
– Allora Justine, pensa! Ma doveva farlo in fretta perché il Tribunale dell’Inquisizione incombeva.
– Hai comprato quattro biglietti alla Stazione, ne hai usati tre ieri, pensavo che questo fosse il quarto, ma se questo è usato il quarto dov’è. Boh, forse l’ho strappato, non lo so. Non riesco a pensare. Certo, sono in torto, ma se questo alieno mi guardasse solo un attimo capirebbe subito che non ho mai “sgarrato” una sola volta in vita mia.
– Oh! pensò,
– Ma ci vedi? Ma mi guardi?
Nel frattempo le signore sull’autobus erano state bruscamente zittite mentre cercavano di convincere l’uomo che non sarebbe stato giusto darle la multa, ma il Grande Inquisitore aveva ormai allacciato un rapporto quasi intimo con lo strumento elettronico per certificare le multe che stringeva in mano per registrare l’incancellabile onta; non aveva occhi che per lui e dava l’impressione che quella “macchinetta” contenesse tutto intero il senso della sua leggerissima esistenza.
– Bene, si arrese Justine – Non sono riuscita a farle capire che sono in vacanza, ho speso del denaro per il treno, per l’albergo, il ristorante, i musei e non mi sarei certo persa per un biglietto dell’autobus. Non sono nemmeno riuscita a farle capire che oggi ha commesso un’ingiustizia, tanto più grave in quanto perpetrata in presenza di questi ragazzi ai quali ha dato un pessimo esempio di comportamento.
L’Automa parla! Parla, ma non guarda:
– L’esempio che ho dato a questi ragazzi è che chi sbaglia paga!
– Dio! pensò Justine: – Ancora! Non impareremo dunque mai? In una città come Trieste dove strade, statue, monumenti, racconti rimandano al dramma delle leggi che vogliono stare al di sopra della Giustizia. Dove una moltitudine di persone ha dato la vita per questo… Ancora…
– Mi dia il suo nome di battesimo, chiese gentilmente Justine al Codice a barre.
– Perché lei sarà oggetto di discussione in classe coi miei ragazzi sul tema dell’umana coscienza.
Secco e stizzito: – Troverà il mio numero di matricola sul verbale, naturalmente senza alzare gli occhi dalla “macchinetta” che ormai era l’unico modo per evitare gli sguardi delle persone intorno che gli avrebbero restituito solo un senso di vergogna. Gentiluomo fino in fondo.
L’”Ineffabile Matricola”, in quel caldissimo 15 luglio, ha fatto sicuramente il suo dovere, ma l’ha fatto con lo sguardo ostile di un cuore di pietra, con l’atteggiamento dell’oppressore per il quale è fondamentale incutere paura per essere d’esempio agli altri.
– Sacrifico questa turista per dare un esempio ai ragazzi presenti. Ma lo spirito dei giovani, ancora libero e leggero, già capisce che, in qualche modo, legge e Giustizia non sempre vanno sottobraccio tant’è che alcuni di loro asciugarono le lacrime di Justine con parole dolci aggiungendo: – Non si preoccupi, tanto il Karma gira…
Mai, lei, avrebbe augurato alcun evento nefasto alla “Sequenza numerica” – Il mio augurio è che re-impari (sicuramente ne era capace) a guardare il viso delle persone e a ricordarsi di essere molto più di un codice; che torni a rivestirsi di quell’umanità che, evidentemente, è rimasta prigioniera della divisa e che ha smarrito lentamente tra un autobus e l’altro.
Justine arrivò comunque al capolinea e trovò il Castello di Miramare meraviglioso come se l’aspettava senza, però, quella lucentezza che aveva immaginato perché il velo di lacrime che l’accompagnò per tutto il giorno aveva tolto brillantezza ai colori del mare, del cielo e dei fiori.
Lungo tutto l’arco della giornata continuò a ripetersi che lei era in torto perché il suo biglietto era timbrato due volte e che quel controllore – Chissà quante persone incontra che cercano di rendersi credibili e…e…e… ma poi c’era sempre quel “però poteva guardarmi un attimo negli occhi…” quel “però”, spartiacque tra Sabato e Legge del cuore. Quel “però” che ha reso Trieste libera nella differenza tra brutalità della legge ed umanità della Giustizia grazie, non ad aride matricole, ma a persone traboccanti di umana emozione.