La mattina del 24 luglio
Finalmente a Caltagirone è la mattina del 24 luglio. Le rondini garriscono ebbre di gioia in quell’aria ancora frizzante, qualche passerotto chiama debolmente dopo essere caduto dal nido durante i primi voli al mondo. Ricordo ancora quel morbido tepore quando ne soccorrevo uno nel tentativo di salvarlo.
In un attimo il tempo si ferma: una salva di cannoni (posti in cima alla Galleria Luigi Sturzo) ha preteso
l’attenzione per annunciare l’inizio dei festeggiamenti; e come nei Regni delle fiabe, nelle lontane Terre della Fantasia, dureranno una intera settimana.
La cesura è avvenuta: ora tutto riprenderà anche se dentro i nuovi confini tracciati dal “tempo sacro”; e sacro e folklore si fonderanno deliziosamente durante questo tempo e all’interno di questo spazio.
A metà mattina si aspetta l’arrivo d’”u Senato” (il corteo delle autorità con la banda) che dalla Piazza si recherà a rendere omaggio al Santo nella sua Casa. Il “tuonare” della “rancascia” (la grancassa) annuncia l’arrivo della musica lungo Via Vittorio Emanuele e, nella parallela Via Celso, separata da una lunga scalinata, rimbalzano i richiami di casa in casa: “Signura Cetta, ci sta scinninnu ‘u senato” (“sta “scendendo” la banda”); “Signura Rosina “scinnisse”; Signurina Angela “niscisse a taliàri” (esca a vedere). In un momento, decine di grembiuli, ciabatte e sorrisi si ritrovano ai piedi della scala per assistere, da quello spicchio di strada visibile da laggiù, al fugace passaggio di cavalli, carrozze, notabili e “sunaturi” in mezzo ai quali indoviniamo “u’ lattàru”, “u’ scarpàru” e “u’ buccèri” (macellaio).
Poi ognuno torna alla propria cucina e ai propri affari un po’ più contento, ché, la musica, si sa, rallegra i cuori.
La sera
Al tramonto, il paese intero è in fermento. Ci si prepara all’uscita del Santo Patrono dalla sua chiesa. Una parte del paese attende fuori dalla basilica; una parte si trova in Piazza.
Per l’occasione tutti sfoggiano abiti di un’eleganza esasperata per esternare, ciascuno a suo modo, un orgoglio “paesano”; le donne calzano scarpe dai tacchi vertiginosi che piangeranno per tutta la sera durante la lunghissima processione che unirà virtualmente il paese vecchio con il nuovo “di ultima generazione”.
I tavolini dei bar della Piazza e della Galleria Luigi Sturzo sono tutti occupati (da ore qualcuno è andato a “prendere i posti”) e sul loro piano un’orgia di bibite, gelati, granite siciliane, arancini, pistacchi e tutta un’enciclopedia di “ben di Dio mangereccio”.
I bambini, anch’essi vestiti come bambole e bambolotti, corrono intorno alle sedie impacciati nelle loro armature e gridano e cadono e ridono; i genitori li osservano, li chiamano e a volte intervengono a mettere pace nelle loro liti infantili.
Profumi, suoni, rumori si rincorrono e si superano gli uni gli altri; i colori, smorzati nella loro brillantezza dal buio della sera, fanno il “cambio della guardia” con gli eleganti lampioni che riversano una luce suggestiva su questa scena paesana. Immagine di attimi che diventano eterni.
Davanti alla chiesa
Davanti alla chiesa, la giostra di sensazioni si ripete. Qui l’immagine che predomina è quella dei bambini “in spalla” o in braccio ai papà: la testina posata, gli occhi accesi a bere ogni gesto che sta già forgiando la loro identità.
Anche qui bambini che corrono, inciampano, scappano, piangono… e genitori che vegliano, sgridano, asciugano lacrime… Questa interezza non si può assaporare separando gli ingredienti che la compongono; va ricordata così, nella sua disordinata armonia.
Intorno alle ventuno cresce l’agitazione e, finalmente, la “vara” con la statua di S. Giacomo e la “cascia” con la Reliquia si apprestano ad uscire dalla chiesa. Da anni i gradini della basilica sono stati ricoperti da una pedana in legno che permette alle due “macchine” di uscire più facilmente. Queste sono state donate alla cittadinanza dal direttore di un Circo parecchi anni fa.
Bisogna aver acquisito una grande esperienza per manovrare un tale mezzo nelle vie strette e nelle curve in pendenza del paese. Queste manovre sono “affare comune” e tutti gli uomini presenti si sentono chiamati in prima persona a fornire il proprio contributo con gesti e parole. Per questo motivo l’autista, che guida la macchina che ospita la vara, è sempre lo stesso; col costume e la parrucca bianca dell’epoca fa un figurone e, nel suo portamento, vuole ricordarlo a tutti.
La manovra per far scendere i mezzi dalla pedana è difficoltosa sia per l’uscita della chiesa, sia per la folla di persone che non ha intenzione di spostarsi perché “bisogna fare foto e filmini”.
Gli abitanti del paese sanno ormai quali sono i “punti strategici” per non “essere d’impiccio”, ma vedere bene. I turisti, invece, sono allo sbando e vengono rimpallati da una parte all’altra dalle guardie a seconda della direzione che la macchina deve prendere. Tutti i presenti prendono parte alle manovre con indicazioni urlate in coro all’autista come se ci fosse in gioco la fine del mondo: “Piano! A destra! A sinistra! Avanti! Forza caru’!”, e la buona riuscita dell’impresa è opera di tutto il paese.
Quando la missione è compiuta e il Santo comincia a muoversi ha inizio la gara di popolo tra chi vuole il suo posto, durante la processione, immediatamente dietro la “banda” e nessuno permette di essere superato.
Ecco i fuochi d’artificio. In un attimo, le manine di tutti i bambini si sono sollevate a coprire le orecchie, i palloncini sono volati via per questo e ora non si capisce più chi piange per il rumore e lo spavento e chi per la perdita del proprio trofeo (magari ottenuto dopo grandi e faticosi capricci).
La processione è bellissima ed è un classico esempio di fusione di potere spirituale e temporale.
Il corteo storico
La sfilata del Corteo storico del Senato civico, nella sua magnificenza ed eleganza, rappresenta una grande attrattiva per i turisti e i cultori delle tradizioni e dell’arte e si svolge nel suggestivo scenario barocco del centro storico: uno spettacolo nello spettacolo, nel segno del fascino esercitato dalle tradizioni.
La processione si conclude con la solenne benedizione da parte del vescovo e con la Reliquia del Santo che rientra in Basilica: “San Japucu s’ha ricugghiutu ‘n casa so” (San Giacomo è ritornato a casa sua).
Riposa, ora, il Santo, dopo aver fecondato di grazie e di speranza, al suo passaggio, terra e popolo; riposano i grembiuli, abbandonati, sporchi di vita, nelle cucine; riposano le rondini nei loro nidi a ricordarci che i cicli della natura sono immutabili.
Il nuovo giorno richiamerà ciascuno a tutta questa vita fatta di affanni che, a volte, si trasformano in gioia; di ricordi che, a volte, si trasformano in memoria.