A settant’anni dallo sgancio dall’atomica su Hiroshima, avvenuto com’è noto il 6 agosto 1945 alle ore 8:45, c’è aspettarsi – oltre alla doverosa commemorazione delle 80.000 vittime – una prevedibile ondata di retorica che nulla aggiungerà, sul versante storico, alla conoscenza di fatti drammatici che pure, a distanza di decenni, esigerebbero riflessioni più profonde e che, soprattutto, presentano ancora lati poco noti, per non dire sconosciuti. Non tutti, per fare un esempio, sanno che le due bombe atomiche sul Giappone vennero sganciate sì per volontà del presidente Harry Truman (1884-1972) e del colonnello Henry Stimson (1867-1950), ma con la netta opposizione non solalmente degli scienziati ma pure dei vertici militari, a partire dal generale Leslie Groves (1896–1970), responsabili dello sviluppo della bomba atomica.
Se non tutti sono a conoscenza di queste divergenze sul ricorso all’atomica – divergenze che la dicono lunga sull’effettiva necessità strategica e politica di radere al suolo quelle due città -, ancora meno conosciuto è un altro aspetto, oggettivamente inquietante, vale a dire il fatto che nei centri Hiroshima e Nagasaki viveva la stragrande maggioranza dei cattolici presenti in Giappone. C’è chi naturalmente osserva come la scelta di bombardare proprio quelle città sia stata determinata da esigenze anzitutto strategiche, e che Nagasaki fu rasa al suolo dopo che furono scartati, per ragioni meteorologiche, i centri di Nakamura e Kokura; comunque sia, è storicamente fuori discussione come a fare le spese dei micidiali ordigni sia stata, più di tutte, la comunità cristiana. Eppure, curiosamente, non lo si ricorda mai.
Un terzo aspetto, altrettanto sconosciuto su Hiroshima e Nagasaki, riguarda quelli che potrebbero essere ritenuti dei miracoli. Il primo riguarda, appunto, la città di Hiroshima, le cui abitazioni furono in gran parte rase al suolo dalla bomba tranne pochi edifici fra i quali quello che ospitava una comunità di otto padri gesuiti: la cosa fu tanto più straordinaria se si pensa che stiamo parlando di un presbiterio adiacente alla chiesa parrocchiale che si trovava – com’è accertato – sostanzialmente a meno di un miglio di distanza dal punto di detonazione di “Little Boy”, dunque ampiamente compreso nel suo raggio infernale. Nel 1976 padre Hubert Schiffer, uno dei superstiti, registrò la sua testimonianza con gli altri sopravvissuti, incredibile ma vero, tutti ancora in vita.
Un evento simile accadde pure nella città di Nagasaki, nella quale la bomba sganciata tre giorni dopo per piegare un Giappone che ostinatamente rifiutava la resa, vide resistere alla devastazione dell’ordigno – anche grazie alla protezione di un piccolo monte – il convento francescano fondato da san Massimiliano Kolbe (1894-1941). Furono, questi di Hiroshima e Nagasaki, davvero due miracoli? Come spesso accade e come i credenti ben sanno, Dio predilige manifestazioni che potremmo definire moderate, cioè abbastanza luminose per innescare il dubbio della propria origine divina ma non eccessive, per non alterare la libertà, da parte degli uomini, di credere mossi da fede autentica e non perché costretti dall’evidenza. Ragion per cui non si vuole, qui, presentare questi eventi come prove di nulla se non del fatto che neppure pagine orribili della storia possono eliminare del tutto la Speranza.
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