Tiziano Terzani: un cattivo maestro

Ho letto diversi libri di Terzani, e vista la fama di cui gode, ho pensato di dedicargli un articolo. Perchè lo ritengo un “cattivo maestro”, ma anche, per certi aspetti, una vittima dei suoi tempi confusi.

Un articolo critico, dunque, che non esclude affatto, però, la simpatia umana verso di lui.

http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-c-poco-da-impararedal-guru-terzani-3199.htm

Solitudini

Forse qualcuno un giorno avrà il coraggio di fare una indagine sociologica sulla terribile tristezza causata dai modelli di comportamento della società post cristiana. Parlavo, stamattina, con una amica, che vorrebbe sposarsi, avere figli… Eppure non riesce.

Costruire una famiglia bella, solida, fedele, oggi, è una impresa difficilissima. Tutto congiura contro il sano e fondamentale rapporto tra uomo e donna. Congiurano il femminismo, l’aborto, l’amore libero… Chiarisco: vi sono infinite persone che vivono il rapporto affettivo senza alcuna capacità di costruirlo. Cercano un compagno o una compagna, per sfuggire la solitudine, ma lo fanno senza alcun criterio di fondo.

 L’errore più grosso è quello della convivenza: due persone che si conoscono poco, che non si sono veramente incontrate nel profondo, si buttano..provano… Provano come se il rapporto di coppia fosse lo stesso che provare una macchina, o una cucina..se non va, al massimo, si cambia. Ma la realtà non è così. Certo, provare bisogna: ma si prova stando insieme, parlando, facendo amicizia, permettendo alle anime, e non solo ai corpi, che sono, alla fine, intercambiabili, di conoscersi davvero.

 “Sto con lui, ma non vuole storie serie, mi cerca solo quando sono contenta, allegra”, così mi diceva. “Certo, le ho risposto, tu vai a letto con lui quando vuole, lui viene da te, prende ciò che gli fa comodo, come al supermercato, e poi se ne torna a casa sua. Senza impegni, senza problemi…non cerca te, ma ciò che tu dai a lui, egoisticamente e tu intanto perdi anni della tua vita, ti bruci gli anni della giovinezza, gli anni in cui dovresti costruire la casa sulla roccia”.

Poi, pur sapendo di farci la figura del bacchettone, ho aggiunto: “Quanta saggezza nel pensiero della Chiesa. Niente rapporti prima del matrimonio, non darti tutta ad uno che cerca, di te, solo una parte. Ti darai completamente quando riconoscerai un uomo che ti prenderà tutta, come sei, nel profondo, nello spirito e nel corpo. Ora stai buttando via la tua vita, e lo sai…un uomo vero sa attendere e sa amare, con pazienza; sa modere i suoi istinti e sa temprare il suo carattere. O meglio: più che saperlo fare, lo impara, se lo vuole. E il periodo del fidanzamento è proprio la palestra più importante anche per questo…Con Dio e seguendo la sua legge l’uomo e la donna ritrovano se stessi e il loro rapporto…”

U. Veronesi: sulla mente non ci abbiamo capito niente. Ma la colpa è di preti e integralisti

In occasione della conferenza "The future of science", svoltasi a Venezia dal 18 al 20 settembre, il Prof. Veronesi è sembrato molto deciso a prevenire "le deviazioni" della mente umana. Detto da chi indica l’amore più puro in quello omosessuale, ci preoccupiamo che per "deviazione" possa intendere il rapporto "etero". Ma approfondendo la questione, sembra che ln particolare il Prof. Veronesi sia rimasto molto colpito dalla recente strage in Norvegia. Infatti in un articolo pubblicato il 14 settembre su La Stampa afferma:
Il disagio mentale è in aumento e gli episodi di incapacità di trovare questo equilibro si fanno sempre più frequenti. Prendiamo l’esempio più recente. Nella civile e progressista Norvegia un giovane uccide, sparando ad uno ad uno, 70 ragazzi dell’età media di 16 anni. Non è stato un raptus, ma l’esito del piano di una mente che ci ha lavorato per anni, in collegamento con altre menti simili alla sua.
Vale allora la pena di approfondire tutto ciò che riguarda la mente umana, per migliorare la nostra vita e per prevenire le sue deviazioni, che possono causare dolori immensi. Per prima cosa siamo lieti che si sia accorto del fatto che il disagio mentale è in aumento.

Allora pensiamo che forse si sarà reso conto del fatto che la nostra società è disumanizzante, che la competizione sociale crea tensioni insostenibili, che la precarietà del lavoro toglie ogni progettualità, che la mancanza di senso dell’esistenza è disperante, e che, infine, che gran parte del disagio è il retaggio delle ideologie (atee come lui!) che il ‘900 ha seminato .
No, niente di tutto questo, per capire cosa crea il disagio mentale bisogna fare degli studi più approfonditi.
Per il Prof. Veronesi l’animo umano è un mistero da iniziare a studiare ora, come se per secoli non se ne fosse occupato nessuno. Però il Professore chiarisce subito questo punto: tutto quello che sappiamo sull’uomo è sbagliato.

E perchè è sbagliato?
Presto detto, la colpa è di preti e dei "fondamentalisti", così chiama gli scienziati che non accettano il riduzionismo, cioè il fatto che l’essere umano sia solo un insieme di molecole e niente più.
Ecco infatti la posizione del Professore:
la mente è campo minato per gli integralisti e gli ideologi. Le religioni non amano indagare la psiche, perché i loro dogmi spiegano a priori l’esistenza e il funzionamento di mente e anima. Poi esiste anche un integralismo laico sottilmente antiscientifico e antiriduzionistico, che non ama ridurre la complessità della mente umana alle molecole e alle loro interazioni, e vede un pericolo di abuso o misuso, in una sua lettura e conoscenza troppo meccanicistica.

Vuoi veder che Veronesi ha citato il caso di Brevik perchè si è definito "cristiano integralista"?
Sarebbe un bel colpo far passare che uno dei comportamenti definiti devianti è proprio l’integralismo cristiano, l’idea non sarebbe per niente nuova, infatti si tratta di uno dei pensieri fissi del darwiniano Richard Dawkins, quello che voleva fare arrestare Benedetto XVI durante il suo viaggi a Londra. Ma andiamo oltre, parimenti convinto del fatto che la religione e gli scienziati "integralisti" (ma non sono anche loro degli integralisti sul versante opposto?) abbiano bloccato la ricerca sulla mente è il Prof. Boncinelli:
A causa di questo “blocco ideologico” sappiamo pochissimo di fenomeni come la depressione o l’autismo», sostiene il grande genetista Edoardo Boncinelli, che ha guidato la regia del programma di Venezia. L’obiettivo della nostra conferenza è contribuire a rimuovere questo blocco e promuovere la ricerca nella neurobiologia e nelle neuroscienze.

Dunque una volta rimosso il "blocco" (ma come viene attuato questo blocco: qualcosa impedisce fisicamente ai ricercatori di essere riduzionisti?) Boncinelli dice che si potrà finalmente capire cosa veramente è all’origine dei comportamenti "fuorvianti e violenti", quello che insomma gli integralisti chiamano "male", leggiamo infatti:
Di fronte a comportamenti fuorviati e violenti, o di fronte a più semplici espressioni di disagio, dobbiamo quindi primadi tutto chiederci che cosa sbagliamo nella nostra attività educativa, formativa e sociale. È doveroso impegnarci nella costruzione di personalità individuali indipendenti e critiche.

Ecco dove si va a parare: una volta eliminata la vecchia idea di uomo, ogni etica precedente, saranno finalmente loro gli "scienziati" a dirci quali saranno i comportamenti da tenere!

Saranno dunque Veronesi e Boncinelli a dirci come si "costruiscono" personalità indipendenti e critiche, che sicuramente non saranno religiose. In poche parole, ci sarà una nuova morale, integralista e intransigente, più di qualunque religione tradizionale: quella scientista.

E al posto dei vecchi preti ci saranno i nuovi santoni, i vari Veronesi e Boncinelli.

da:CriticaScientifica

L’indignazione del Menzognero

Premetto che non seguo nulla, e non ho mai seguito nulla sulle donnine di Berlusconi. Bastano i titoli per capire che l’uomo è un gran porcello di potere.

 Un uomo in cui il vizio personale è giunto alla perversione. Non leggo nulla, perché delle perversioni altrui non mi interessa. Ci sono quelle grandi, di chi ha tanti soldi, e può permettersele, e quelle più piccole, solo perchè mancano le possibilità, ma non il desiderio… Penso, in verità, che tra i lettori accaniti di queste notizie fanghigliose, e sono tanti, come si capisce dal fatto che i giornali ci marciano da mesi, i veri indignati siano pochi, purtroppo. Per veri indignati intendo quelli che, appunto, delle porcate altrui sanno dare un giudizio, non relativista, chiaro, netto, senza voler immergersi ogni giorno nel fango.

Lo sanno dare perché lo danno, anzitutto, su se stessi. Berlusconi, lo ripeto, è da un certo punto di vista, un povero sessuomane. Ma chi sono coloro che hanno pronte le pietre, per lapidarlo? Sovente gli stessi che sono pronti a scegliere, come loro eroina, Manuela Arcuri, un’altra poveretta che si vende da quando era un ragazzetta, e mostra il suo corpo giovane e bello, senza aver mai pensato, forse, che un giorno invecchierà anche quello e che dovrà allora, forzatamente rendersi contro, di non aver mai amato, ma solo fatto volgare e bassissimo sesso. Chi sono molti dei lapidatori? Sono quelli che hanno candidato Cicciolina e Tinto Brass, Marrazzo e Del Bono, Toscani, Grillini e Luxuria…

Sono quelli che stanno con Pisapia (e Tettamanzi), che cerca di insegnare ai bambini dell’asilo che la famiglia uomo-donna non esiste…Sono quelli che si scagliano ogni due per tre contro la Chiesa e la sua morale “sessuofobica”… Sono quelli che hanno lanciato, ormai da anni una moda, la moda per le donne impegnate. Quando c’è da protestare, ne prendono alcune e chiedono loro: spogliatevi, per protesta. E quelle si spogliano, fanno calendari, sfilano per strada….dimostrando di aver capito tutto quello che oggi i maschi femministi chiedono alle donne: “spogliatevi, è il vostro unico modo per dire qualcosa…”.

Che pietà! La sapevano lunga certi coruttori, quando prevedevano e speravano che la società sarebbe crollata con il crollo della moralità femminile. Le donne, infatti, sono il cuore del focolare, della famiglia, ed hanno sempre opposto a certe derive maschili il buon senso delle madri e delle mogli. Decenni di femminismo, di tv e di mille altre porcherie (tipo gli inserti femminili del Corriere e di Repubblica), hanno insegnato agli uomini ad essere prima guardoni, e poi maiali, e alle donne che, per parlare, prima di parlare, più che pensare, basta che si spoglino.

Donne nude in tv, donne nude sulle vetrine, sulle copertine… dovunque. Poi c’è qualcuno che si stupisce di Berlusconi, di Marrazzo e degli altri? Io non mi stupisco: un diluvio continuo di pornografia, insieme ad una feroce lotta culturale contro la famiglia, la castità, la Chiesa, che ne è l’unico bastione, per quanto malandato, produce queste povere figure, che poi finiscono ai vertici, in politica, in tv, sui giornali…Si potrebbe pensare che Satana, tanto toglie di vero, di buono, di bello, con le sue seduzioni, quanto regala in vacui piaceri e vacui poteri che non durano.

Che poi il Menzognero sappia fare l’indignato anche lui, il moralista improvvisato, dagli stessi pulpiti da cui predicava corruzione, col ghigno ben nascosto, anche questo è risaputo…

Roma: cadaveri in mostra (aggiornato…)

Qualcuno pensa che sia una mostra didattica, qualcuno la chiama arte, in realtà non è niente di tutto questo. Il termine corretto è “necrofilia”(N.b. l’articolo contiene immagini “forti”). La mostra è intitolata “Body worlds” e propone le “opere” di un certo Gunther von Hagens, anatomo-patologo tedesco, sedicente artista.
In Body worlds sono esposti dei veri cadaveri umani che, sottoposti ad un trattamento chiamato plastinazione, non vanno incontro decomposizione. Lo scopo dell’iniziativa viene chiarito proprio dalle parole di von Hagens, riportate dal portale ADN Kronos:
E’ un viaggio attraverso il corpo – sostiene Von Hagens – Qui si possono trovare tante informazioni sull’anatomia umana e toglierci curiosità che avevamo fin da bambini

Ma le “curiosità” sul corpo umano sono già chiarite dai libri scolastici, non c’è niente che sia visibile nella mostra e non sia riportato in un qualsiasi manuale di liceo o universitario. No, la curiosità che la mostra soddisfa è la curiosità “morbosa“, quello che il visitatore può vedere in esclusiva non è l’anatomia umana, è proprio il cadavere di un uomo.
Siamo di fronte all’osservazione voyeuristica della morte, è la stessa curiosità di chi si sofferma sui corpi di un incidente stradale, dei curiosi che vanno a vedere la casa di Avetrana dove è stata uccisa la povera Sarah Scazzi, è una curiosità che però è finalmente liberata dalla sua essenza morbosa grazie al camuffamento sotto la parola “arte” o “scienza”.

Il perché di una mostra proprio a Roma è spiegato nello stesso articolo:
Il corpo umano è sempre un’opera d’arte – sostiene – anche da morto. Questa è una mostra sulla bellezza del corpo e siamo contenti di arrivare in Italia, nel solco della grande tradizione dell’anatomia a fini estetici e scientifici iniziata durante il Rinascimento, quando il corpo umano era esaltato per la sua bellezza“.

L’affermazione che il corpo umano sia un’opera d’arte anche da morto, implica che dunque il corpo sia sempre un’opera d’arte, sarà quindi arte anche la pornografia e le immagini dei corpi dilaniati in guerra.
Sparisce in questo modo la pietà verso le vittime di ogni tipo di violenza e rimane solo il soddisfacimento egoistico ed egocentrico di un osservatore che può godere della vista di un uomo fatto a pezzi, dell’Uomo privato della sua grandezza e ridotto a bestia da macello.

Non è vero inoltre, come vorrebbe invece far credere von Hagens, che la sua mostra è nel solco della grande tradizione dell’anatomia a fini estetici e scientifici iniziata durante il Rinascimento, quando il corpo umano era esaltato per la sua bellezza”, infatti l’anatomia rinascimentale, nella quale la Roma cattolica era all’avanguardia, studiava il corpo umano dissezionandolo nel chiuso dei laboratori, sotto il solo sguardo discreto dello scienziato, mai avrebbe esposto il corpo alla vista dei passanti.
Il corpo così studiato poteva fornire utili indicazioni ai medici ma anche ad artisti come Leonardo da Vinci, ma quella che Leonardo e gli altri autori poi rappresentavano era sempre la bellezza di un corpo vivo o della morte come dramma dell’esistenza.
Non era mai l’ostentazione di un cadavere fine a sé stessa, l’esposizione di un corpo morto senza la speranza di una resurrezione o senza il dramma e la grandezza di una tragedia greca.

Sicuramente l’evento avrà successo, e molti insegnanti porteranno le loro classi a vedere la mostra, convincendo i loro studenti che si tratta di arte e scienza.

P.S.
Approfondendo l’argomento si viene a sapere che la mostra è stata fortemente sponsorizzata da Don Mazzi, il quale sulle colonne del quotidiano La stampa ha rilasciato le seguenti dichiarazioni:
“Io spero che il cardinal Ravasi venga qui e mi auguro che tutte le scuole medie passino da qui a vedere la donna con il bambino, è così poetica e affascinante, io me la sarei baciata quella donna li pensando a mia madre.”

“Poetica ed affascinante”?
Da mostrare alle scuole medie?

Don Mazzi ha poi aggiunto:
“Sono affascinato, questa è l’ esaltazione del corpo, se don Bosco che adoro invece che essere nella tomba fosse li, un don Bosco vivo… Ve l’ immaginate?”

Quelle cose lì sarebbero “vive”?!?
No, don Bosco preferiamo non immaginarlo così…

Da:Critica Scientifica

Per l’Unità Giordano Bruno è il precursore degli scienziati moderni

Come è possibile che il mito di Giordano Bruno come scienziato incompreso e, per questo motivo osteggiato dall’oscurantista Chiesa Cattolica, venga riproposto continuamente? Eppure basterebbe una semplice verifica, per non cadere più in questo luogo comune. Come tutti sapranno, il 6 agosto 2011 tutti i quotidiani hanno riferito la notizia del finto telegiornale del tg 3 in cui si dava l’annuncio dell’arrivo degli alieni. Proprio il giorno in cui nel web impazzava il video col finto annuncio dello sbarco alieno dato dal tg3, sulla pagina scientifica dell’Unità appariva un articolo dal titolo “Alieni, forse qualcuno c’è”. Ma quali sarebbero secondo l’autorevole quotidiano i motivi per ritenere che “forse qualcuno c’è”? All’origine di tanto ottimismo è la scoperta di un pianeta intorno ad una stella a 20 anni luce dalla terra, il pianeta Gliese 581 d:
 «la scoperta di Gliese 581 d avrebbe commosso fino alle lacrime Giordano Bruno per il semplice motivo che è il primo pianeta extrasolare «della stessa specie della Terra» di cui conosciamo con certezza l’esistenza.»

E poi:

«Gliese 581 d è per così dire il primo pianeta davvero «bruniano» che abbiamo scoperto fuori dal sistema solare, il giardino di casa nostra. Ora il Nolano era stato mandato al rogo a Campo de’ Fiori a Roma nell’anno 1600 anche perché aveva asserito che l’universo è popolato da «infiniti mondi» e che molti tra questo mondi sono «della stessa specie della Terra». E dunque, proprio come la Terra, abitabili (e abitati) da essere intelligenti.»

Ricordiamo che Bruno visse all’alba della rivoluzione scientifica ma non era uno scienziato, che era un cabalista e credeva nella magia, alcuni dei titoli delle sue opere sono “De vinculis” che tratta del condizionamento a distanza che si può effettuare sugli altri:

«Tra tutte le opere di argomento magico, è proprio il De vinculis a farsi carico più di ogni altra dell’interpretazione in chiave politica della magia bruniana, in quanto nei suoi XXXIII articoli affronta il tema del vincolare in maniera diversa rispetto alle altre opere magiche, declinandolo all’interno di una prospettiva interamente umana e civile.»
Fonte: Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento – Signum

Il “De magia”, pubblicato solo nel 1891, sul cui argomento per evidenti motivi non ci soffermiamo, e “La cabbala del cavallo pegaseo” la quale:
«contiene spunti importanti e nuovi per la comprensione del pensiero bruniano: il rapporto fra fede e verità; la critica di alcuni aspetti della filosofia antica, soprattutto nei confronti di Aristotele e Sesto Empirico; l’idea della trasmigrazione delle anime»
Fonte: Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento – Signum

Gli “infiniti mondi…abitati da esseri intelligenti” di cui egli parlava erano, molto probabilmente dello stesso tipo di quello che lo spiritista Allan Kardec descriveva nel suo “Vangelo secondo gli spiriti” quando teorizzò per primo l’esistenza di abitanti di altri pianeti, solo che tali extraterrestri non erano degli esseri viventi originati in altri luoghi dello spazio, bensì anime di defunti reincarnate e con le quali era possibile entrare in contatto i “medium” seduti intorno ai tavolini a tre gambe. Va inoltre puntualizzato che, come lascia appena intravedere l’autore dell’articolo, Bruno quando fu sottoposto al famoso processo non fu condannato perché fautore dell’eliocentrismo o di altre posizioni sull’astronomia, ma perché, pur avendo giurato fedeltà allo stato (come farebbe oggi un militare in qualsiasi paese) lo aveva tradito a favore di una potenza ostile e operava per il sovvertimento delle istituzioni che avrebbe dovuto servire. Una vicenda che evidentemente con l’astronomia aveva ben poco a che fare ma che ha invece molto a che fare con un certo tipo di mitologia diffusa a fine ottocento, in pieno periodo risorgimentale quando la figura di Giordano Bruno, che fino ad allora non era stata considerata da nessuno come un caso di persecuzione politica o religiosa, venne strumentalizzata per mettere in cattiva luce la storia dei secoli precedenti.
Testimonianza di questa situazione è la statua eretta a Roma in memoria di Giordano Bruno a Campo de Fiori nell’anno 1889, opera dello scultore Ettore Ferrari che nel 1904 diverrà Gran Maestro della Massoneria alla quale imprimerà un’impronta fortemente anticlericale.

Detto questo, non ci facciamo illusioni sulla possibilità che la vicenda di Giordano Bruno venga esposta nel suo vero svolgimento, ma poiché Bruno sta agli astronomi come Branko sta a Margherita Hack, speriamo che almeno non venga più rappresentato come un precursore dei moderni scienziati.

Fonte: Critica scientifica

Indro Montanelli raccontato da Piero Gheddo

Ho conosciuto Indro Montanelli nel 1972 quando, da presidente di una giuria che comprendeva Enzo Biagi, Guido Piovene, Paolo Monelli e altri, mi diede il premio dei giornalisti italiani “Campione d’Italia”, per il volume “Terzo Mondo perchè povero” (EMI 1971, pagg. 196).

Nelle motivazioni del Premio definì i missionari “gli italiani più amati nel mondo”. E dopo la consegna mi prese in disparte e mi disse: “Hai vinto il Premio perché sei un missionario e scrivi dei missionari, raccontando le loro esperienze… Se eri un prete e parlavi dei preti in Italia, il Premio te lo sognavi”.

Ero troppo timido e giovane per reagire. Nel 1886 mi chiamò a collaborare con “Il Giornale”. Sapeva che viaggiavo molto e mi chiese di mandargli articoli sulla vita e il lavoro dei missionari. Così è iniziata una lunga collaborazione, continuata con “La Voce”. Gli mandavo cartoline e articoli e quando tornavo in Italia andavo a trovarlo.

Era curioso di come vivevano e cosa facevano i missionari, dei quali aveva una visione mitica. “Voi missionari siete tutti eroi, diceva, perché abbandonate la nostra bella Italia, per andare a vivere tra i più poveri dei poveri in capanne di fango e paglia”. Quando nel 1991 la Somalia era nel caos e io c’ero stato da poco, Montanelli mi chiese articoli e scrisse due editoriali invitando i lettori ad “aiutare i missionari di padre Gheddo in Somalia”, dicendomi di precisare chi erano questi missionari e missionarie. So che le Missionarie della Consolata di Torino e i Francescani milanesi lo ringraziarono per le notevoli somme ricevute.

Ho conservato due testi di Indro. Il primo è una sua “stanza” sul “Corriere della Sera” di domenica 7 febbraio 1999, che era una mia lunga lettera pubblicata integralmente, dichiarando: “Ciò che padre Gheddo dice è tutto vero: tonnellate di rifornimenti e “cattedrali nel deserto” servono a poco. Bisogna insegnare agli africani a “fare da sé”, come infatti fanno i missionari…Ho detto e ripeto che per l’Africa non servono né le diplomazie con i loro “protocolli”, né gli eserciti con le loro armi. Servono solo i missionari. Se vogliamo aiutare l’Africa, aiutiamo loro”.

 Il secondo testo di Indro è la prefazione al mio volume “Missionario – Un pensiero al giorno” (Piemme 1997, pagg. 648), nella quale si legge: “Per soccorrere quei popoli disgraziati un mezzo ci sarebbe. Dare la gestione dei miliardi di “aiuti” ai missionari, di cui padre Gheddo scrive in questo libro: quelli che da anni e decenni vivono laggiù, peones tra i peones, sfidando lebbra e colera e tutto il resto, combattendo la fame non con la distribuzione di farina, ma insegnando alla gente – nella sua lingua – come si coltiva il grano, come si scavano i pozzi e i canali, condividendone, giorno dopo giorno, rischi e privazioni. E’ tra questi ultimi grandi Crociati della civiltà cristiana che la Chiesa dovrebbe reclutare i suoi nuovi santi, perché sono i missionari, figli del nostro mondo ricco e arido, che indicano ai giovani la via per stabilire con i popoli poveri ponti di comunicazione e di aiuto fraterno".

“Per aiutare i popoli poveri – aggiungeva – i miliardi non bastano. Ci vogliono i missionari alla Marcello Candia (industriale della Milano opulenta che vende tutto e va in Amazzonia a servire i poveri) e alla Clemente Vismara (eroe della prima guerra mondiale che trascorre 65 anni fra i tribali in Birmania), di cui parla questo libro. Ma i missionari sono difficili da stanziare nei bilanci dello Stato. Dovrebbero produrli le nostre famiglie, la nostra scuola, la nostra cultura cristiana. Temo che la vocazione profonda della civiltà cristiana – la carità verso gli altri – sia oggi in ribasso, almeno nelle cronache quotidiane e nella “filosofia di vita” della nostra società”.

Ho visto con piacere che in queste pagine padre Gheddo parla di padre Olindo Marella, che egli definisce “un santo del nostro tempo”. E’ vero, l’ho conosciuto bene come insegnante di filosofia a Rieti e poi a Bologna. Lo si vedeva per le strade a mendicare, completamente dedito alla missione di aiutare i ragazzi sbandati, i barboni, gli anziani abbandonati, i poveri. Mi insegnò a vivere per gli altri. Insegnamento che peraltro io non ho seguito. In un certo senso oggi lo invidio. E’ morto ignaro di se stesso, ignaro di essere santo”.

Conservo di Indro un commosso ricordo per le volte che mi bloccava e mi chiedeva perché il Papa dice così o cosà, perché la Chiesa non capisce questo o quel problema, come si può credere a Dio che si lascia flagellare e crocifiggere… Era un uomo assetato di Dio, voleva capire qualcosa del Creatore e Signore di cui sentiva la presenza ma non riusciva a parlarci e ad avere risposte ai suoi interrogativi. Il 22 aprile 1989 sono andato a fargli gli auguri per i suoi ottant’anni e mi dice: “Fra me e te il fortunato sei tu che hai ricevuto la fede. Io invece non ce l’ho. Tu sai perché vivi, io ancora non lo so. Infatti tu sei sempre sereno e sorridente, mentre io soffro di insonnia e di depressione”. Ma questi sono i palpiti di un’anima che lasciamo alla paterna bontà e misericordia di Dio. Prego per lui, ma sono sicuro che la sua onestà intellettuale e la sua ricerca di Dio hanno già ricevuto la giusta ricompensa dal Padre nostro che è nei Cieli. Gheddo Piero

Qualcuno dice che la scrittura è finita

di Massimo Introvigne

Lo Stato nordamericano dell’Indiana ha annunciato che da settembre, alla ripresa dell’anno scolastico, le scuole elementari che lo desiderano potranno smettere d’insegnare a scrivere con carta e penna. I piccoli di Indianapolis e dintorni impareranno a scrivere direttamente su una tastiera o sul touch di un tablet. Sarà loro insegnato, con la penna, soltanto a fare la propria firma. Le autorità dell’Indiana si sono affrettate a precisare che la riforma non impone alcun obbligo: le scuole che lo desiderano potranno continuare con il metodo tradizionale. Ma è facile prevedere che la maggior parte delle scuole vorranno mostrarsi più "moderne" e "avanzate".

Come si può immaginare, la riforma dell’Indiana ha scatenato feroci polemiche. I critici hanno osservato che l’uomo ha impiegato 175mila anni per imparare a scrivere, e che ora un governatore vuole abolire la scrittura in tre mesi, mentre altri sostengono che scrivere a penna aiuta a pensare, favorisce la lettura e migliora anche le capacità di pronuncia. Non manca, all’estremo opposto, chi vorrebbe generalizzare la misura dell’Indiana estendendola a tutti gli Stati Uniti argomentando che, per quanto non piaccia ai nostalgici, un adolescente americano di oggi usa la penna due o tre volte all’anno, e sta disimparando a usare le stesse tastiere dei computer tradizionali, perché vive con i sistemi touch dei cellulari di ultima generazione o dell’iPad e dei suoi fratelli.

In questo dibattito, naturalmente, ci sono molte esagerazioni. Non si tratta di abolire la scrittura ma di cambiare il modo di scrivere. La penna non è la scrittura, è uno strumento al servizio della scrittura, e non è l’unico possibile: basta pensare allo stiletto usato da greci e da romani. La tastiera, tradizionale o touch, è un sostituto della penna, non della scrittura.

La scrittura, dunque, rimane. Ma resta anche vero che l’abolizione della penna rischia di accelerare il processo analizzato dal grande sociologo e storico gesuita Walter J. Ong (1912-2003), il quale – studioso del passaggio dall’oralità primaria alla scrittura – temeva un regresso dalla scrittura all’oralità secondaria, cioè a un mondo dove le immagini sono più importanti delle parole e dove anche i diplomati e i laureati sbagliano spesso a scrivere e conoscono poco l’ortografia. Il passaggio dalla penna alla tastiera non abolisce la scrittura, ma rischia di aggravare le tendenze a una scarsa familiarità con le strutture e le regole dello scrivere descritte da Ong.

La notizia che viene dall’Indiana mi spinge a chiedermi quante volte uso la penna in un anno. Più del medio adolescente americano, perché firmo spesso documenti e purtroppo anche assegni. Ma molto meno di quanto facessi dieci o vent’anni fa. Soprattutto con l’avvento di iPhone e iPad mi capita molto di rado di prendere appunti con la penna, anche se occasionalmente lo faccio ancora. Uso la penna, però, quando devo riordinare le idee su un tema difficile, il che sembrerebbe confermare – almeno nel mio caso – le tesi dei pedagogisti americani che criticano l’Indiana e affermano che la penna aiuta a pensare. Ma qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di un condizionamento che viene dal passato e che, se non i nostri figli, i nostri nipoti si abitueranno a scrivere e anche a pensare senza la penna, che resterà un oggetto da collezionisti.

Personalmente ritengo che, se da una parte le tastiere sostituiranno quasi tutti gli usi della penna – anche per gli assegni e le firme sono in arrivo versioni elettroniche -, dall’altra la scrittura con le penne dovrà continuare a essere insegnata perché davvero aiuta a pensare. Hanno la stessa funzione anche il latino e il greco, e il rischio è che fra qualche anno scrivere a penna prenda posto accanto a loro fra le "lingue morte".
La scrittura ha però un’ultima speranza. Se devo trasferire a un altro quello che ho scritto su un computer userò normalmente la posta elettronica: tanto più se ho un iPad, dove non si possono inserire chiavette USB né collegare via cavo stampanti. E la posta elettronica può essere intercettata abbastanza facilmente. Se tengo alla mia privacy, molto meglio una lettera o un appunto. Qualche anno fa gli americani mandarono in Sicilia degli esperti a studiare i modi di comunicare della mafia – i famoso foglietti detti pizzini – perché pensavano che così comunicasse al-Qa’ida. Ed era proprio così: Osama bin Laden (1957-2011), come Bernardo Provenzano, usava i pizzini e non i computer. Con buona pace delle maestre dell’Indiana, forse saranno bin Laden e Provenzano a salvare l’insegnamento della scrittura con la penna nelle scuole. I pizzini, in tal caso, avranno avuto almeno un effetto positivo.

Da La Bussola Quotidiana.it, 15 luglio 2011

Educare: introdurre alla realtà, alla ragione, all’ideale

Si parla da tempo di “emergenza educativa”. Penso che lo abbia fatto per primo, con questa espressione, don Luigi Giussani, che è stato, appunto, un grande ed acuto educatore.

Cosa significa codesta emergenza? Nella mia esperienza mi sembra di poter dire questo: che il dato più evidente per chi abbia oggi a che fare con i giovani, ma non solo, è che molti non sono educati. Manca infatti, spesso, una famiglia alle spalle. Sempre più manca un padre che faccia il padre: che sappia appioppare una sberla, quando serve; che indichi paletti chiari, pochi ma ben precisi, coniugando regole e libertà. Intendo padre in senso lato.

Qualche mese fa un professore viene in una mia classe per spiegare la donazione del sangue e incomincia: “per donare il sangue non bisogna fare uso abituale di droghe…”. E subito dopo: “non che io stia giudicando un modello di vita, ognuno fa ciò che vuole”.

Questo è il messaggio della società, dei media, persino di non pochi che dovrebbero insegnare, con una funzione, diciamo così, paterna: “fai ciò che vuoi”.

Cioè: non crescere, rimani lì, dove il tuo ombelico, dove il tuo istinto, dove il tuo capriccio, dove la circostanza, ti porta. Inchiodato lì.

Cosa nasce da questo modo di intendere il rapporto tra generazioni, tra genitori e figli, tra società e giovani? Una società sbrindellata, un uomo che cresce solo, e che non viene mai contenuto, aiutato, guidato, per cui finisce per essere instabile, incapace di equilibrio, di autocontrollo, di tenacia. Senza forma. La fragilità estrema è la prima caratteristica di chi non è stato educato. Perché l’educazione permette di stare, con una propria forma, nella realtà: di non subirla soltanto, né di ribellarsi ad essa, come un toro che vede sempre rosso, ma di viverla.

Anzi, è la realtà stessa, se rispettata, che ci educa. Un figlio viene educato quando riconosce intorno a sé ruoli distinti e chiari; un figlio cresce quando impara che vi è un tempo per obbedire e che ogni luogo e ogni circostanza ha le sue regole, non assurde, arbitrarie, farisaiche, ma profondamente corrispondenti, appunto, ad una realtà.

Educare alla realtà significa anche educare alla ragione. E’ necessaria una corrispondenza tra un ordine oggettivo e la nostra esistenza soggettiva. Chi si droga, per capirci, non “fa ciò che vuole”, ma va contro la realtà e contro la ragione. Chi approva che una anziana cantante possa avere un figlio senza marito, grazie alla tecnica, violenta la realtà e la ragione, perché pretende di affermare la propria volontà su tutto e tutti. La ragione ci aiuta a non cadere nelle grinfie di Circe o di Armida.

Una vera educazione, dunque, deve essere, anzitutto, educazione alla realtà, alla ragione e all’ideale. La letteratura antica e medievale insegna proprio questo, che c’è un dover essere. Ulisse è chiamato a superare le circostanze contingenti, le difficoltà sul suo cammino, per tornare in patria, da moglie, sudditi e figlio. Ulisse è proposto come ideale, esattamente come Ettore nell’Iliade; come Enea nell’Eneide, come Rinaldo e Goffredo nella Gerusalemme Liberata…

Il giovane deve crescere sapendo che può e deve tendere verso l’alto, che ogni talento che gli è stato dato, va messo a frutto e moltiplicato. C’è un compito, nella vita. L’esistenza dell’ideale contempla anche la consapevolezza di una distinzione tra Bene e male.

Quando questa non vi è più, non si dà educazione, perchè non si dà né crescita né vera scelta. Il bambino deve sapere che vi sono azioni e pensieri giusti e ingiusti, e con gradualità deve essere educato a capirne e ad amarne il perché. Oggi invece si tende spesso ad una educazione di tipo roussoiano: come se non esistesse una nostra intrinseca miseria. La quale, se ignorata, diventa più radicata che mai. Persino nelle parrocchie, ai ragazzi che fanno il catechismo, non si insegnano più, da decenni, i comandamenti: roba vecchia, si dice, sono meglio gli “insegnamenti in positivo”. In verità è l’uomo di oggi che non tollera più una autorità con cui confrontarsi e da cui essere aiutato a crescere.

Anche Dio è diventato buonista: non più giusto, né misericordioso, né “geloso”, ma solo indifferente. Un Dio che non ci turba mai, che non ci chiede, che non esige nulla. Un dio inutile. Così facendo si dimentica che è la pedagogia stessa di Dio ad indicare, come primo passo verso la crescita, la chiara condanna di ciò che è male: initium sapientiae timor Dei. I dieci comandamenti, per lo più in negativo, sono il preludio necessario al comandamento dell’amore. Non sa amare chi non è stato educato a dire di no al proprio egoismo, alla propria superbia, alla propria propensione anche al male. Averlo dimenticato ha prodotto generazioni di cattolici che si fanno la morale da soli e che alla fine modificano la stessa Fede alla luce della loro morale. La caratteristica dell’uomo non educato è proprio questa: il rifiuto a riconoscere un Bene e un male che lo trascendono. Si chiama relativismo.

Ma laddove il limite del comandamento, persino il concetto, è respinto, rimane la immensa superbia dell’uomo, che crede di essere libero, ma è in verità vittima della propria miseria e della propria continua e irragionevole pretesa sulla realtà. Il Foglio, 5 maggio 2011

ZEIGEIST: CONTROINFORMAZIONE O CIALTRONERIA? Il nuovo movimento che predica la falsità del Cristianesimo

“Più inizi a porti domande su tutto ciò che crediamo di comprendere… su da dove veniamo, su ciò che pensiamo delle nostre azioni… e più inizi a vedere che ci è stato mentito: ogni istituzione ci ha mentito…”.

      (ZEITGEIST, The Movie)

 Il nostro tempo potrebbe essere definito anche come l’epoca della sfiducia radicale. A fronte della caduta delle grandi ideologie e della perdita di credito subita dalle istituzioni politiche, scientifiche, statali e religiose, la reazione di molti nostri contemporanei, infatti, sembra indirizzarsi verso una generalizzata critica per tutto quello che, con espressione inflazionata ma efficace, viene spregiativamente definito “cultura ufficiale”.

Questo atteggiamento non può sempre essere biasimato.

Il discredito in cui è caduta l’informazione mass-mediatica accusata di manipolare e ingannare l’opinione pubblica, l’arroganza di un potere economico ogni giorno più invadente e disumano, l’ottuso conservatorismo e la sottomissione ai poteri forti da parte dei rappresentanti della “scienza”, i sacrosanti dubbi sulle vere cause e sugli autentici scopi di molti avvenimenti della storia più recente, il fariseismo e/o il secolarismo imperante presso istituzioni e personalità religiose, sembrerebbero infatti giustificare le ragioni di uno scetticismo così diffuso.

Il discredito verso la “cultura ufficiale”, d’altronde, genera per reazione una sorta di autodifesa che, giovandosi dei mezzi di comunicazioni più recenti, si concretizza nella creazione di spazi di “controinformazione”, di gruppi, blog e servizi informativi “non allineati”, dove il bisogno represso di verità si esplica in tutte le forme possibili. Questo mare magnum dove si trova tutto e il contrario di tutto, dove la notizia più interessante può sovente mescolarsi alla menzogna e al delirio, dove la limpidezza di intenti può trovar posto al pari dell’inganno e delle motivazioni più oscure e inquietanti, è anche il luogo sociologico dove vedono la luce veri e propri movimenti di pensiero destinati a catalizzare l’interesse di vaste masse. Fra questi movimenti, uno dei più noti (ma anche dei più ambigui), è certamente il movimento ZEITGEIST, che col suo programma di radicale messa in discussione della politica, della cultura e della religione ha conquistato milioni di simpatizzanti in tutto il mondo.

– Cosa predica ZEITGEIST?

Il termine tedesco Zeitgeist, letteralmente “spirito del tempo”, è stato scelto per indicare un movimento d’idee che si prefiggerebbe una radicale messa in discussione della cultura “dominante” in tutte le sue forme. Il movimento nasce di fatto a partire da tre documentari prodotti dall’americano Peter Joseph (Zeitgeist:the Movie del 2007, Zeitgeist:Addendum del 2008 e Zeitgeist:Moving Forward del 2011), distribuiti gratuitamente sul web allo scopo di favorirne una più capillare diffusione. Mescolando elementi di socialismo utopico (abolizione della moneta e delle banche), ecologismo, suggestioni New Age e cospirazionismo, lo scopo dei film sembra essere apparentemente quella di promuovere un radicale e scetticismo verso ogni forma di “autorità”, a partire dalla rivelazione pubblica di “verità nascoste”.

D’altronde, i contenuti di questi filmati sono vari e non di rado interessanti, benché caratterizzati dalla continua mescolanza di informazioni e illazioni. Il tono accattivante dei commenti, la perentorietà delle affermazioni -che solo di rado vengono suffragate da pezze d’appoggio, ma sono costantemente proposte in maniera assertiva come dati acquisiti- creano peraltro nello spettatore una disposizione ad accettare tutto il contenuto del messaggio come verosimile e condivisibile. I temi trattati spaziano dal ruolo delle banche nel potere politico all’usura e al signoraggio, dai dubbi sulla versione ufficiale della tragedia dell’11 settembre alla critica dell’economia. Il nucleo più corposo, tuttavia, è costituito da una serrata e implacabile critica religiosa –indirizzata quasi esclusivamente contro il Cristianesimo- dove 2000 anni di fede in Cristo vengono derubricati come strumento di dominio oppressivo sulle coscienze, di annichilimento della felicità e, soprattutto …come clamoroso e ignobile inganno storico!

Falsità del Cristianesimo? Un ingegnoso esempio di fanta-mitologia.

Non c’è dubbio che lo scopo principale di Zeitgeist sia, prima d’ogni altra cosa, una messa in discussione radicale del Cristianesimo. A tal scopo, l’autore (o gli autori) dei filmati rispolverano soprattutto la vecchia teoria mitica di ottocentesca memoria, per cui la stessa figura di Cristo non sarebbe altro che la mera riproposizione di antiche figure mitiche, come le divinità solari presenti nei culti dei popoli mediterranei.

Ed è così che, mescolando abilmente mezze verità con vere e proprie bufale, Zeitgeist riesce a produrre uno “spot” pseudo-storico che nessun esperto prenderebbe sul serio, ma che può risultare decisamente accattivante agli occhi di un “non addetto ai lavori”.

Alcuni dei dati ostentati con tanti sicumera nei film Zeitgeist, per la loro palese inconsistenza storico-religiosa, sembrerebbero persino gettare un ragionevole dubbio sulla buona fede degli autori: é questo, ad esempio, il caso del presunto parallelismo tra la figura del dio egizio Horus e Gesù. Nel corso dei filmati, infatti, si afferma che il dio Horus avrebbe avuto 12 discepoli, avrebbe operato miracoli e sarebbe stato “crocefisso” (!) per poi risorgere dopo tre giorni[1] …insomma, una vera e propria fanta-mitologia inventata di sanapianta ad uso e consumo delle proprie ipotesi, utilizzata però con molta spregiudicatezza per accusare il Cristianesimo di “plagio”!

Analoghi esempi di tale atteggiamento si susseguono a spron battuto nel corso delle produzioni targate Zeitgeist, dove in un florilegio di forzature o di autentiche mistificazioni, si afferma ad esempio che anche il dio frigio Attis –nume microasiatico della generazione e della rigenerazione- sarebbe stato crocefisso (?) oppure, saltando all’Antico Testamento, che il nome Mosè –in realtà di evidente origine egizia[2]– null’altro sarebbe che la translitterazione del cretese Minos o del sanscrito Manu (sorprendente esempi di fanta-etimologia, tanto suggestiva quanto inconsistente). …e tutto questo, alla faccia delle rassicuranti dichiarazioni dell’autore che, allo scopo di apparire più convincente, dichiara di “non voler essere offensivo ma di voler basarsi SUI FATTI. Di non voler ferire sentimenti, ma di voler essere ACCADEMICAMENTE CORRETTO” (!).

Naturalmente, i filmati Zeitgeist contengono anche dati storico-religiosi autentici utilizzati, come spesso accade in questi casi, per avvallare la credibilità di tutto il contesto. Così, ad esempio, è innegabile che esistano alcune analogie simboliche tra le vicende evangeliche e i miti di altre tradizioni spirituali; ma tali analogie, lungi dall’essere banalmente interpretabili come “scopiazzature”, rimandano piuttosto ad un comune sottofondo di simboli e di archetipi che sottende a tutta l’esperienza religiosa umana[3]. Un patrimonio comune che, tuttavia, è ben lungi dal poter dimostrare l’infondatezza storica della figura di Gesù. E d’altronde, così sembrerebbero pensarla anche gli autori di Zeigeist, che se avessero avuto abbastanza dati “reali” a sostegno delle loro tesi, non avrebbero evidentemente sentito il bisogno di inventarne di falsi…

– Ma il loro vero scopo é…

Ma a questo punto, al cospetto di una tale opera di mistificazione bella e buona, riecheggia quasi spontaneamente l’inquietante frase che più di un secolo fa si lasciò “scappare” dalla bocca Elena Petrovna Blavatsky: “nostro scopo non è di restaurare l’Induismo, ma di cancellare il Cristianesimo dalla faccia della terra”[4]. Proprio quella Blavatsky la quale, fondatrice di una Società Teosofica nata mescolando centoni di tradizioni orientali malcomprese con vaghe reminescenze di gnosticismo occidentale, può essere idealmente posta a capostipite di quella corrente neospiritualista confluita più di recente nello “stato di spirito” collettivo noto come New Age. Un movimento New Age dove, a fronte di una sbandierata proposta di “nuova spiritualità”, si cela più probabilmente l’interesse di chi, nella prospettiva della creazione (e imposizione?) di un Nuovo Ordine Mondiale, ha tutto lo scopo di omologare le varie identità religiose e culturali in un melting pot informe e inoffensivo. Una New Age dove, non a caso, è centrale quell’attesa della nuova Età dell’Acquario che dovrebbe sostituire la vecchia Età dei Pesci caratterizzata dal Cristianesimo: proprio il genere di suggestioni a cui attingono a piene mani gli autori di Zeitgeist.

Purtroppo però, a fronte di una diffusissima (e spesso coltivata) ignoranza di massa sulle tematiche religiose, accade ormai fin troppo spesso che certe “attraenti interpretazioni” finiscano per irretire un numero sempre crescente di persone; e, cosa ancor più dannosa, esse finiscono per ingannare soprattutto i più sensibili e intelligenti fra i nostri contemporanei, ovvero quei “cercatori di verità” a cui, sempre più spesso, il mare magnum della sottocultura contemporanea sembra offrire solo pallide parodie o interessate menzogne.       

 

 

 



[1] E’ probabile, inoltre, che in questo specifico caso, l’autore di Zeitgeist abbia per ignoranza sovrapposto (o letteralmente confuso) il mito di Horus con quello di Osiride: è Osiride, infatti, a venir ingannato e ucciso dal fratellastro Tifone-Set e a risorgere successivamente grazie alla magia di Iside. Anche nel mito di Osiride, tuttavia, non appare minimamente alcun “racconto di crocefissione”.

[2] Il nome Mosé rimanda, con ogni probabilità, all’antico termine egizio Mòsis (figlio). Come abbiano fatto gli autori di Zeitgeist a ricondurlo ad una radice cretese o indiana, questo è un vero mistero.

[3] Che il simbolo della Croce, ad esempio, possieda un significato sacro in una moltitudine di culture pre e post-cristiane, è un dato di fatto; ma questo non impedisce affatto che ”la croce” sia stata anche uno strumento di supplizio il cui utilizzo è tristemente documentato dagli storici antichi. In una prospettiva di fede, in effetti, non vi è nulla di strano che gli episodi della vita di Cristo possano essere, al tempo stesso, storicamente concreti quando significativamente simbolici. Chi ha occhi per vedere…

[4] Dichiarazione della Blavatsky, rilasciata sulla rivista The Medium and Daybreak, London 1893, p.23