Per una politica attenta alle famiglia: disegno di legge sulla valutazione dell’impatto famigliare

Quello della famiglia è uno dei temi più gettonati nei programmi delle forze di ogni schieramento politico. Anche il presidente della Giunta provinciale, Lorenzo Dellai, nella sua recente relazione al bilancio di previsione 2007, ha dichiarato una particolare attenzione del suo esecutivo ai problemi delle famiglie trentine. Un segnale positivo che mi auguro non si esaurisca nel mero annuncio, come spesso accade, ma sia seguito da atti concreti: non sfugge a nessuno, infatti, l’urgenza di politiche di sostegno alla famiglia, soprattutto sul piano dell’equità fiscale. I dati parlano chiaro: le famiglie con reddito medio-basso e con figli a carico (anche solo uno) sopportano una vera e propria situazione d’iniquità fiscale. La circostanza non è secondaria se si prende sul serio il convincimento diffuso secondo cui i problemi economici incidano pesantemente e siano uno degli ostacoli alla stessa contrazione di un legame affettivo matrimoniale ed alla generazione di figli. Sono, ovviamente, diversi i fronti su cui operare per uscire dal circolo vizioso delle facili promesse. La strada che ho proposto con un disegno di legge depositato in Consiglio provinciale, prevede il ricorso sistematico, sia in fase d’approvazione di un atto, d’indirizzo o amministrativo della Provincia di Trento, sia al momento di verificare gli effetti di quello stesso atto, alla Valutazione d’impatto familiare. Si tratta di una procedura finalizzata a promuovere una maggiore equità fiscale, tributaria e tariffaria nei confronti delle famiglie del Trentino. La proposta – che comprende anche l’istituzione di un Osservatorio sulla Valutazione dell’impatto familiare – se approvata, imporrebbe alla Provincia non solo la valutazione preventiva e motivata degli effetti delle proprie scelte nei confronti della famiglia, ma anche di operare scelte che raccordino carico fiscale, tributario e tariffario alla composizione ed al reddito del nucleo familiare. Merita, in conclusione, sottolineare che il disegno di legge, richiamandosi all’art. 29 della Costituzione, esprime una chiara opzione a favore dell’istituto familiare inteso come rapporto basato sul matrimonio tra persone di sesso diverso. In altri termini, se esso diverrà legge, il legislatore provinciale sarà tenuto, prioritariamente e laicamente, ad indirizzare azioni di sostegno e d’equità fiscale, fermi restando tutti i diritti inalienabili di ogni singola persona, verso coloro che assumono coscientemente e pubblicamente un reciproco vincolo fatto di diritti e di doveri, potenzialmente aperto anche alle responsabilità genitoriale e, quindi, alla solidarietà tra generazioni. Walter Viola

 Scarica il disegno di legge sull’impatto famigliare

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Il vero riformismo è nel centro destra

Osservava qualche giorno fa sul Corriere della Sera Nicola Rossi, stimato economista e deputato di Diesse che, deluso dalla politica non riformista di Prodi e Fassino, ha da poco riconsegnato la tessera del suo partito: “cosa pensereste di un leader politico che a novembre annuncia urbi et orbi che per marzo il paese avrà messo un punto fermo sui temi della riforma previdenziale e poi a gennaio conclude che la cosa non è poi così urgente? Non pensereste quello che pensano molti italiani? E, gentilmente, non si tiri fuori l’argomento francamente un po’ deboluccio relativo alle difficoltà entro le quali quotidianamente si muove la politica. Alla fatica – che c’è, lo sappiamo – della costruzione politica. Alla incertezza degli esiti: sappiamo anche questo, si può vincere e si può perdere. Il punto è un altro: da una classe politica si chiede – avrei voluto scrivere, si pretende – che spenda il proprio tempo a pensare come evitare o superare quelle difficoltà. La politica – mi si perdoni la franchezza – non è pagata per raccontare ai cittadini gli ostacoli che incontra giorno dopo giorno ma per superarli. Se ne è capace. E se non ne è, per lasciare ad altri la possibilità di provarci”. Trovo del tutto condivisibile l’analisi di Nicola Rossi quando sostiene che “la cifra di questa sinistra è questo governo”, smentendo la tesi di Romano Prodi, secondo cui “è falsa la divisione tra riformisti e conservatori”. L’economista marca la distanza dal premier che ritiene “non urgente” la riforma delle pensioni: “In fondo ? commenta Rossi ? lui dice ciò che molti nell’Ulivo pensano”. E allora è meglio smetterla con gli “alibi”, e ammettere un fallimento che è anche personale, “perché ? ha confidato Rossi ? avevo la speranza di vedere un giorno la sinistra italiana contaminata da idee liberali, come è avvenuto in Inghilterra e in Spagna”. Credo come Rossi che questo sia il problema politico non solo della Sinistra ma di tutto il centrosinistra al governo del Paese e della nostra Provincia. Centrosinistra che si è oggi rivelato la massima espressione non del riformismo ma del conservatorismo di chi per dirla con Tomasi di Lampedusa, annuncia di continuo cambiamenti (liberalizzazioni, riforma previdenziale, ecc.) perché si è disposti a cambiare tutto purchè nulla cambi. Di chi per non irritare i partner di governo più decisi e influenti perché con le idee più chiare – la sinistra radicale, i Verdi e Rifondazione – e per sottrarsi preventivamente alle critiche dei sindacati e dei poteri forti pronti ad alzare la voce di fronte a qualunque tentativo di rendere il sistema competitivo, ne accontenta le pretese rinunciando ad ogni prospettiva di sviluppo. Il che, beninteso, non equivale a stare fermi ma ad arretrare sempre più allontanandosi dagli obiettivi considerati oggettivamente irrinunciabili per la crescita della società e dell’economia, allontanando sempre più, in definitiva, la politica e le istituzioni dalla realtà che esige decisioni. A questa logica non sfuggono le “mezze riforme” messe in campo dalla Giunta provinciale del Trentino in questa prima metà della tredicesima legislatura. Mezze riforme perché anche quando le premesse sono teoricamente innovative l’esecutivo non è politicamente in grado di svolgerne fino in fondo la logica. Abbiamo così una riforma istituzionale che non riconosce piena responsabilità decisionale e finanziaria ai territori per paura che la Provincia perda il controllo sugli enti locali; una riforma della scuola che non attribuisce vera autonomia agli istituti per evitare che prenda piede una sana concorrenza fra loro e un’offerta plurale qualificata pubblica privata cui possano liberamente rivolgersi studenti e famiglie; una annunciata riforma della cultura che non riesce ad arrivare nemmeno ai blocchi di partenza per la pretesa di mantenere saldamente nelle mani della politica e della burocrazia i progetti e le iniziative più importanti in questo settore. Potrei citare altri esempi di leggi proposte o approvate (sulla ricerca, l’Itea, i nuovi tributi per il turismo e per le situazioni di non autosufficienza, ecc.). Quello che vorrei evidenziare è l’incapacità strutturale del centrosinistra al governo in Italia e nella nostra provincia di anteporre lo sforzo per risolvere i problemi e rispondere alle attese della gente alle pregiudiziali ideologiche da cui è ancora pesantemente condizionato al proprio interno. Ecco perché ha ragione Nicola Rossi quando, andandosene, afferma che se un governo non è capace di questo “lasci ad altri la possibilità di provarci”. E l’unica alternativa al conservatorismo del centrosinistra è oggi il riformismo programmatico del centrodestra e in particolare di Forza Italia, che a differenza dei propri avversari non è vanificato da profonde divisioni interne e crede profondamente e unitariamente nella necessità di restituire il primato, il protagonismo, la fiducia ai soggetti sociali, economici e territoriali liberandone la capacità ideale e di iniziativa a favore della crescita del sistema. Un riformismo – questo – incompatibile con gli ideali “rivoluzionari” e utopistici della sinistra, perché parte dal riconoscimento e dalla valorizzazione di quel che di positivo già esiste e costituisce una potenziale ricchezza per tutti. Un positivo da riconoscere nelle famiglie, nelle risorse umane delle persone, nelle piccole e medie imprese, nelle opere del no profit con cui il popolo, attraverso le proprie organizzazioni sociali ed economiche, mette in gioco se stesso per affrontare le sfide del presente e anche quelle del suo futuro. Nell’incontro tra tradizione politica cattolica e quella liberale questa attitudine riformista di chiama sussidiarietà. Sussidiarietà orizzontale e verticale. Attorno a questo che più che un principio astratto considero un criterio operativo da applicare flessibilmente ai problemi vecchi e nuovi della società e delle istituzioni, vedo la possibilità e l’opportunità per tutto il Trentino di costruire e offrire un’alternativa credibile all’inguaribile statalismo del centrosinistra.

cons. Walter Viola

Corriere del Trentino, domenica 21 gennaio 2007

Sanità: è tempo di bilanci

E’ormai tempo di bilancio anche per il sistema sanitario trentino che manifesta una crisi palese e di tipo strutturale.
A nulla servono i maldestri tentativi di difesa, vuoi del Direttore Generale, vuoi dell’assessore competente, per nascondere una situazione che se non risolta immediatamente prefigura elementi di difficoltà innegabile. E alcuni prese di posizione degli ultimi tempi lo testimoniano. Il presidente dell’Ordine dei medici della Provincia afferma che nel servizio sanitario provinciale “è palpabile la presenza di un clima difficile”. Ed anche il primario Eccher ha denunciato la difficile situazione dell’ospedale principale della provincia, il Santa Chiara di Trento, oggetto di una ristrutturazione costosa ed inutile con gravi carenze di organico che minano la capacità operativa dei reparti e con una qualità della degenza che è rimasta ferma a vent’anni fa. E poi la Borgonovo Re che censura la lettera di richiamo del direttore dell’Azienda alla dott.ssa Giannelli.
Tutto questo con un costo pro capite della sanità a carico del bilancio provinciale che è superiore alla media delle altre regioni italiane. A questo livello ricordo l’affermazione dell’allora Ministro della Sanità Rosi Bindi che in un convegno a Trento di qualche anno fa disse che sicuramente la qualità del sistema sanitario provinciale era discreta, ma per le risorse pubbliche investite sarebbe dovuto essere ottimo.
Ma andiamo con ordine.
Penso di interpretare lo stato d’animo della maggioranza dei nostri cittadini, sentimenti misti a sconcerto, delusione e talvolta anche di rabbia, quando recentemente è stata data notizia che a fronte dell’ennesima incapacità dimostrata dal nostro sistema sanitario di rendere più accettabili i tempi di attesa per effettuare visite specialistiche, il Direttore Generale è stato penalizzato con una riduzione del suo premio annuale. Poche centinaia in euro in meno, peraltro non sullo stipendio (che ricordo è sempre il più alto non solo tra i manager pubblici della nostra provincia), bensì su una voce aggiuntiva, appunto un premio.
E proprio tempi di attesa e mobilità passiva, ovvero la necessità per i nostri cittadini di doversi recare fuori regione per trovare una risposta di cura ai loro bisogni, rappresentano, a mio avviso, due elementi che risultano inaccettabili per la nostra comunità che destina al sistema sanitario una quantità di risorse economiche tra le maggiori nel contesto regionale nazionale.
Ricordo che l’abbattimento dei tempi di attesa per l’effettuazione di prestazioni specialistiche è un obiettivo che l’Assessorato da ben 6 anni assegna all’Azienda sanitaria. E cosa è stato fatto in tutto questo tempo. Ricordo ancora che diverse volte abbiamo assistito a proclami celebrativi dell’Azienda e dell’assessorato, che esultavano dicendo che avevano finalmente trovato la chiave di volta per abbattere questi tempi di attesa; si sono celebrati persino dei convegni in proposito. Ma allora mi chiedo. Ci ha impiegato tutti questi anni il sig Assessore per accorgersi che era tutta una bufala e che il problema giace irrisolto come e più di prima?
Debbo riconoscere che su tale aspetto alcune componenti sindacali, e solo recentemente, lo stesso ordine dei medici, hanno vigilato con attenzione e più volte hanno richiamato l’opinione pubblica che le cose in sanità non sono poi tutte rose e fiori.
Mobilità passiva. E’ questo forse l’aspetto più rilevante. Basti pensare che oltre al disagio per i trentini di doversi recare fuori provincia, tale situazione costa al bilancio provinciale circa 85 milioni di Euro all’anno e che solo a titolo di esempio all’ospedale di Negrar in pochi anni gli interventi ed esami per residenti in Provincia di Trento sono passati da 700 a 5000 all’anno. La mobilità passiva è la somma di ben tre negatività. L’incapacità di un sistema sanitario di offrire tempestive risposte ai bisogni di cura, la conseguente necessità che il paziente trovi queste risposte al di fuori del proprio contesto provinciale di appartenenza, ed infine l’obbligo da parte della nostra Provincia di rimborsare ad altre regioni le spese sanitarie che queste hanno sostenuto per curare i nostri trentini.
E se tutto questo non bastasse ancora, vi possiamo aggiungere altri rilevanti elementi negativi. Se i trentini vanno fuori provincia per farsi curare, sempre meno sono i pazienti di altre regioni che vengono da noi per ricevere cure. Il nostro sistema ha perso di attrattività, si è impoverito sul piano della capacità di offerta professionale, sul piano della qualità. I trentini vanno fuori provincia non solo per ottenere prestazioni che qui non hanno, ma anche, cosa assai grave, per avere prestazioni che qui vengono erogate. E’ questo un sintomo di grande allarme. Significa che siamo di fronte ad un crollo di fiducia, di mancanza di stima generale.
E infatti in questi anni sono mancati interventi significativi volti a valorizzare le diverse componenti del sistema, a partire dai medici e infermieri professionali, non si è pensato di attivare un accordo sinergico con l’ordine dei medici finalizzato a realizzare investimenti seri sul piano della professionalità medica. La comunicazione istituzionale è stata gestita al ribasso e non ha inciso in maniera oggettiva su comportamenti e abitudini. Una comunicazione troppo autoreferenziale e spesso gestita in rimessa.
Enormi investimenti, con un costo sociale impressionante, invece sul piano dell’edilizia sanitaria per avere un ospedale a Trento in perenne ristrutturazione e un nuovo ospedale forse tra dodici anni, a fronte di una non chiara politica sugli ospedali periferici. Una sottolineatura forte al riguardo va fatta sul caso dell’Ospedale San Lorenzo di Borgo. Il punto nascite funzionante all’interno dell’Ospedale S. Lorenzo di Borgo Valsugana dal giorno 7 agosto 2006 ha cessato l’attività e ciò in ossequio alla deliberazione della Giunta Provinciale n.1496 del 21 luglio 2006 punto 3 del dispositivo.
E’ stato detto che non c’erano i numeri per tenere in vita il punto nascite, è stato anche detto che non erano presenti le figure professionali previste dalla normativa vigente per garantire la massima sicurezza alle partorienti ed ai neonati ed è stato soprattutto detto che questo stato di cose non poteva essere cambiato.
Sono ragionamenti che danno da pensare su come chi ci governa intende assicurare alla popolazione i servizi di cui essa ha bisogno; perché è certo, malgrado quello che stabilisce la Giunta Provinciale, che in Valsugana, e non solo, si continuerà a concepire e a nascere e quindi un punto nascite ben organizzato dovrebbe esistere per soddisfare i bisogni connessi al concepimento ed alla nascita.
Facendo qualche conto si vede che la popolazione della Valsugana, Alta e Bassa, è di circa 85000 (ottantacinquemila) abitanti, considerando che la natalità è di circa l’uno e mezzo per cento della popolazione, tra Alta e Bassa si dovrebbero raggiungere sicuramente, se ci fosse un punto nascite organizzato e ben strutturato 500 nascite all’anno.
E invece cosa è successo? Agli atti non vi è neppure un tentativo non solo di costituire un punto nascite, ma neppure di potenziare ed adeguare quello esistente; si dice per mancanza di figure professionali adeguate, ma quali azioni sono state intraprese per reperire queste figure? Che tipo di programmazione a medio termine è stata fatta per rendere appetibile il punto nascite di Borgo Valsug
ana per i professionisti del settore?
Sembra proprio che il reale disegno di questa Giunta Provinciale sia la riduzione degli Ospedali periferici a poliambulatori. E’ stato in tempi non lontani fatto con l’ospedale di Levico Terme potrà benissimo accadere anche ad altri.
Ho citato il caso di Borgo Valsugana perché lo ritengo esemplare della considerazione che questa Giunta e questa Azienda sanitaria hanno nei confronti del ruolo degli ospedali periferici, ciò a dispetto dei tanti proclami di valorizzazione della famosa periferia.
A fronte di questa situazione credo che divenga irrinunciabile imporre al nostro sistema sanitario una inversione di rotta drastica e immediata. Un’inversione di rotta che parta dalla valorizzazione piena delle componenti professionali in gioco, attraverso un loro coinvolgimento responsabile, un’inversione che sappia riconsegnare gradualmente fiducia al sistema nel suo complesso anche attraverso una riorganizzazione profonda e coraggiosa dei servizi offerti. In merito evidenzio solo un’altra partita persa: la definizione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) che poteva rappresentare un’occasione per avviare un confronto eccezionale con i nostri cittadini per la definizione dell’appropriatezza dell’assistenza specialistica e di quella ospedaliera. Anche in questo caso è mancata programmazione politica, capacità manageriale e comunicazione alla collettività che poteva almeno essere condotta con il coinvolgimento delle associazioni rappresentative dei cittadini.