“Il regime degli ayatollah usa tecnologia europea per combattere il dissenso”

“Le forze di sicurezza iraniane hanno distrutto le antenne satellitari nei villaggi kurdi lungo la frontiera con l’Iraq, evidentemente per impedire la ricezione di programmi televisivi e radiofonici esteri. Questo è quanto riportano i collaboratori della sezione kurdo-irachena dell’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) dopo la distruzione degli impianti satellitari a Mahabad, Bokan, Saqis, Baneh e Marivan. Oltre alla stampa ufficiale iraniana, gli interessati dal provvedimento iraniano possono attingere informazioni alternative solo da Internet, con tutti i pericoli che l’uso di questo mezzo comporta.

Il regime iraniano dispone infatti di un preciso sistema di sorveglianza per cui tutti i provider sono costretti a far passare i collegamenti per il sistema di telecomunicazioni statale (TCI). Grazie all’attrezzatura tecnica fornita dalla Nokia Siemens Network, nata dalla joint venture tra la tedesca Siemens AG e la finlandese Nokia Corp., la TCI è in grado non solo di spegnere determinate pagine web e di interrompere collegamenti ma anche di controllare i collegamenti e le comunicazioni individuali e di identificare mittenti e destinatari di messaggi. La tecnologia antispionaggio della Nokia Siemens è stata installata in Iran nell’ambito di un accordo sulle telecomunicazioni e comprende anche la gestione delle telecomunicazioni mobili. Il regime dovrebbe disporre anche del programma SmartFilter, un programma commerciale di filtraggio prodotto da una ditta statunitense, che però nega che il suo software venga utilizzato in Iran. Il regime iraniano sta infine sostenendo lo sviluppo di programmi di filtraggio e di sorveglianza nazionali, in modo che gli utenti di Internet possano essere controllati tramite una tecnologia nazionale, come già succede in Cina.

Utenti coraggiosi riescono ancora a eludere la sorveglianza di internet collegandosi a server proxy e accedere quindi a siti proibiti come facebook o youtube, ma sono comunque identificabili. Secondo i rapporti di organizzazioni per i diritti umani iraniani, nelle carceri del paese sono detenuti 41 giornalisti, quattro blogger e uno studente francese per aver inviato tramite e-mail immagini e notizie delle azioni di protesta. Si stima che i blogger iraniani attivi siano circa 60.000. In Iran ci sono ca. 23 milioni di collegamenti a Internet. In vista delle ultime elezioni presidenziali almeno 38 siti nuovi erano stati censurati, inclusa la BBC persiana che rappresenta il sito straniero di notizie più popolare in Iran.”

(Fonte: Associazione per i Popoli Minacciati, 4 agosto 2009)

I quattro gatti del Papa (e del TG3)

 "Il Tg3, che domenica sera ha ironizzato su Papa Ratzinger dicendo che ormai ad ascoltarlo saranno sì e no quattro gatti, dovrebbe ricordarsi che fine ha fatto la «profezia» di uno dei suoi ex punti di riferimento, Giuseppe Stalin, il quale a chi gli chiedeva se fosse preoccupato dell’anticomunismo della Chiesa cattolica rispondeva beffardo con una domanda: «Di quante divisioni dispone il Papa?».

La storia, che procede spesso, anzi sempre, in difformità dalle previsioni degli uomini, si è incaricata da tempo di rispondere. Le «divisioni» del Papa non avevano e non hanno né Kalashnikov né Mig, sono armate di rosari e di preghiere magari di vecchie beghine, ma sono ancora lì. Della Grande Armata Sovietica restano solo vecchi filmati scoloriti di grottesche parate sulla piazza Rossa.  Sarà anche vero – anzi, è vero – che ad avere «ancora il coraggio e la pazienza di ascoltare» (quantomeno: di ascoltare e anche di mettere in pratica) le parole del Papa sono pochi coraggiosi e pazienti fedeli. Ma non è cosa, questa, che possa preoccupare il credente. Il quale sa bene che, da sempre, il popolo dei cristiani è «un piccolo gregge», il «sale della terra» per usare espressioni evangeliche. Sempre nel Vangelo, in quello di Luca per la precisione, Gesù pone l’inquietante domanda se «troverà ancora la fede, il Figlio dell’Uomo, quando tornerà sulla Terra». Gesù ha assicurato che la Chiesa arriverà fino alla fine dei tempi, ma non ha detto in quali condizioni ci arriverà. Anzi, ai suoi discepoli ha promesso emarginazione e persecuzioni, non certo la vittoria in questo mondo.

Forse, alla fine ci saranno solo quattro gatti. Ma ci saranno, al contrario dei seguaci di tante ideologie millenariste di cui abbiamo già visto il destino. Se dunque il vaticanista del Tg3 voleva offendere i cattolici, come ha ipotizzato il vicepresidente della Vigilanza Rai Giorgio Merlo, del Pd, non c’è riuscito. Intendiamoci: Merlo ha fatto benissimo a sollevare la questione, e a parlare di una «deriva anticlericale singolare e volgare» (testuale). Ha fatto benissimo anche se prima del suo intervento nessuno s’era accorto di nulla, a riprova che se i cattolici sono quattro gatti, gli spettatori del Tg3 sono ancora meno. Immaginiamoci che cosa sarebbe successo se in un tg Rai un cronista avesse detto che ad ascoltare un qualsiasi politico sono rimasti solo quattro gatti.

Giorgio Merlo ha la nostra approvazione, quindi. Come ce l’ha il portavoce della sala stampa vaticana, padre Lombardi, che giustamente ha chiesto più rispetto. Ma abbiamo l’impressione che Roberto Balducci – questo il nome del vaticanista gaffeur – non volesse offendere. Solo, «ha fatto la battuta», come dicono a Zelig. Ha cercato di colorare un po’ la solita e ripetitiva cronaca di un Angelus con un po’ di umorismo, e non gli è venuto fuori dalla bocca niente di meglio che un’espressione paragonabile, per banalità, a quelle dei cronisti sportivi che ci descrivono barbe al palo o finali al cardiopalmo. Visto che siamo in tema, diremmo che il buon Balducci ha fatto autogol. Antonio Di Bella, il direttore del Tg3, è un giornalista corretto e ha riconosciuto l’infortunio. I «quattro gatti» di Papa Ratzinger non appartengono quindi, probabilmente, alla deriva anticlericale – che produce ogni giorno espressioni ben peggiori – ma a quella della Rai, servizio pubblico che dovrebbe attenersi alla regola aurea del giornalismo di separare, perlomeno durante le cronache, i fatti dalle opinioni, e che questa volta non è riuscito nemmeno a separare i gatti dalle opinioni. " (articolo di Michele Brambilla, www.ilgiornale.it 14.7.09)

Assaggi n. 64: Stampa e decenza, come eravamo siamo

“…Non si può non essere seriamente preoccupati dal fatto che, in questi ultimi tempi, organi di stampa, nel riferire e nel descrivere, anche mediante fotografie, episodi di cronaca, hanno troppo spesso oltrepassato i limiti della decenza e dell’etica sociale. Ciò è tanto più grave in quanto dai periodici illustrati il fenomeno tende a dilagare anche nei giornali quotidiani i quali, essendo un mezzo normale di informazione, entrano nella generalità delle famiglie e vanno nelle mani dei giovani esercitando un effetto negativo nella loro formazione. La repressione penale (…) spetta all’autorità giudiziaria e non ha nulla a che fare con la pienezza della libertà d’informazione che tutti si vuole salvaguardare… ”

(Presidente del Consiglio on.le Mario Scelba, intervento in risposta a un’interrogazione sul “caso Montesi” Camera dei deputati, 20 novembre 1954)

“…Mai forse un punto tanto alto di prestigio era stato toccato dal giornalismo nel nostro Paese, dove potremmo quindi credere che si stia per estendere la situazione che si favoleggia esistente in Inghilterra, dove un resoconto di cronaca del Times, come suol dirsi, fa fede in Tribunale. Ahimé, non oseremmo dire che si è arrivati anche in Italia a questo punto, ed anzi, forse, è incominciata, nella parabola del prestigio del cronista, la curva discendente. (…) Si può anche supporre che il cronista-detective che ha indagato per mesi sulla vita privata di un cittadino investito di pubbliche funzioni, abbia creduto di dar lustro alla professione, essendo stato proprio lui e non la polizia a scoprire una storia di tristi amori. Si ingannerebbe così pensando; anche l’iniziativa per un dibattito culturale sui diritti del giornalista in quanto uomo e cittadino, è infatti il sintomo – uno dei molti – di una protesta della coscienza pubblica contro chi abusa intollerabilmente dei privilegi che ci offre il nostro nobile mestiere…”

(Vittorio Gorresio sul cosiddetto “scandalo Sotgiu”, La Stampa, 30 novembre 1954).

Il mondo nuovo di Obama, tra realtà e fantasia

Lacunosità e autoriferimento nel discorso di Obama al Cairo. Un articolo di Fiamma Nirenstein aiuta a riflettere.

"Sarebbe bello vivere nel mondo disegnato ieri da Obama al Cairo, ma il senso di realtà suggerisce che non sarà possibile. Tralasciamo le ovvie parole di apprezzamento per la volontà di pace e per il coraggio politico del presidente americano: chi potrebbe negarli. Obama ha tentato al Cairo di creare con la forza della sua magia una svolta epocale, quella in cui non esiste il conflitto fra islam e Occidente. Ne è risultato il ritratto un po’ banale di un giovane presidente buono. Obama immagina il mondo a partire dalla sua autobiografia: non a caso non ha nemmeno citato la parola terrorismo. Il presidente americano si è presentato come la prova vivente della negazione del conflitto di civiltà, un giovane uomo cresciuto senza conflitto fra islam e cristianesimo, il padre e il nonno musulmani, la madre cristiana e bianca, gli Stati Uniti il porto d’arrivo, dove anche l’islam è una componente indispensabile. Obama ha parlato un’ora intera, ma il mondo ha sentito bene solo alcune cose: la prima riguarda il tono apologetico, in fondo abbiamo principi simili, quelli dei diritti umani. Ma non è andata così.

Prima di tutto la storia dei diritti umani è saldamente ancorata all’Europa e agli Usa, non giace anche in qualche anfratto delle satrapie mediorientali pronta a saltare fuori. In secondo luogo la storia delle due culture è sempre stata conflittuale, e mentre le nostre masse lo hanno dimenticato quelle islamiche invece ne fanno la bandiera di ogni giorno, a scuola, in piazza. Non si tratta di fenomeni marginali: lo testimoniano le enormi piazze di Hamas e degli hezbollah, la determinazione dei talebani e di Al Qaida, la laboriosa strategia atomica e terrorista dell’Iran che dal 2005 minaccia prima di tutto gli arabi moderati (per poco Mubarak non veniva deposto da una recente sovversione). Il più grande problema musulmano è la guerra intraislamica, non quella con gli Usa. Gli Usa, come Israele, non sono in guerra con l’islam, ne sono attaccati. Dal ’79, attacco all’ambasciata americana a Teheran, poi Nairobi nel ’98, la Tanzania, giù fino all’11 settembre, l’islam radicale ha attaccato, mentre si creava intorno agli attacchi un consenso di massa.

Obama misura dentro di sé l’equilibrio delle sue componenti e le proietta in un universo pacificato. Fa così anche sul conflitto israelo-palestinese che ha citato prima della questione iraniana, lasciando Israele di stucco: ha ribadito la forza del rapporto con Israele, ma ha anche messo sullo stesso piano il comportamento di due popoli di cui in realtà uno ha offerto molte volte di sgomberare i territori occupati per fare spazio a uno Stato palestinese e l’altro ha fatto del rifiuto la sua bandiera. Ed è difficile immaginare che proprio a Hamas, che fa della distruzione di Israele la sua ragione sociale, la proposta di Obama di due Stati possa suonare realistica. Non lo è stata ieri quando Arafat ha rifiutato tutte le offerte, non lo è stata poco fa quando Abu Mazen ha detto no a Olmert. Oggi che c’è di nuovo? Quanto all’Iran, troppe poche parole ha dedicato Obama a quello che è oggi il Paese più pericoloso del mondo, l’islam più aggressivo e feroce. Forse è proprio la sua inconciliabilità con l’islam obamocentrico che lo ha spinto a dire che il Paese degli ayatollah può farsi la sua energia atomica per usi domestici. Risibile ipotesi. Manca lo sfondo: Obama quando parla della tolleranza islamica percorre luoghi comuni. La sua citazione della Spagna era sbagliata: Cordoba, Granada furono testimoni di eccidi musulmani di ebrei, come anche il Marocco, l’Algeria, la Libia, l’Irak, la Siria, l’Iran, lo Yemen, l’Egitto.

Lo scontro con il cristianesimo, poi, è così lungo e profondo che non basterà il viso contrito e deciso di Obama a portare pace. Abbiamo già visto Shimon Peres proclamare ai tempi dell’accordo di Oslo che il Nuovo Medio Oriente era stato realizzato. Ma l’attrattiva dei vantaggi della stabilità non ferma l’aspirazione islamica a primeggiare. Obama ha sbagliato a non farne una promessa all’Egitto: forse solo l’aiuto concreto contro l’estremismo iraniano potrebbe confederare l’islam in un sogno di pace."

("Il mondo musulmano non è quello che il presidente Usa dipinge" di Fiamma Nirenstein, su "Il Giornale", 5 giugno 2009)

Assaggi n. 62: Ordo Meretricium

“Forse è arrivato il momento di prendere atto che la prostituzione c’è, esiste ed è inestirpabile (…) diamo almeno la dignità a chi “lavora” nel comparto di essere garantita perché “legalmente iscritta all’Ordine”, riconosciuta, domiciliata in un preciso luogo di lavoro (casa privata, un locale, una forma consorziata con altre esercitanti la professione) e magari anche tenuta a versare le tasse come tutti i cittadini…”

(estratto dall’articolo di Pierangelo Giovannetti “Invasione di prostitute, forse un rimedio c’è”, L’Adige, 15 maggio 2009, pag. 53)

Assaggi n. 61: Scegliere il momento della morte (altrui).

"…Ci sono cose che si possono ancora scegliere, come il momento della propria morte…Non penso che lascerò scegliere la mia morte agli altri, all’ingiustizia del governo italiano…"    

 (Cesare Battisti, brigatista rosso latitante in Brasile, condannato in Italia a due ergastoli per l’omicidio del gioielliere Torreggiani, di un agente di custodia e di un funzionario della Digos)

Intolleranza porcina

Influenza suina in Egitto: i Cristiani Copti protestano per l’abbattimento coatto dei loro maiali – L’Egitto fa dei Cristiani un capro espiatorio e alimenta le tensioni religiose

(Associazione Popoli Minacciati News 4-5-2009): “Il 28 aprile scorso il parlamento egiziano ha deciso la macellazione di circa 250.000 maiali, per lo più di proprietà di Cristiani copti, che in Egitto sono poi anche gli unici a mangiarne la carne. Il provvedimento non solo risulta incomprensibile agli esperti sanitari internazionali ma distrugge anche la base vitale di decine di migliaia di Copti egiziani che vivono in condizioni precarie e in povertà. Centinaia di Cristiani copti hanno protestato ieri al Cairo contro una misura considerata ingiusta e discriminatoria.

Indipendentemente dal fatto che il pericolo di contagio da consumo di carne di maiale svanisce con la cottura della carne poiché il virus muore a una temperatura di 70 gradi, il ministero della sanità egiziano ha giustificato il provvedimento come misura preventiva per la salute pubblica generale e ha avviato l’abbattimento dei capi immediatamente il giorno successivo la decisione del parlamento.

Le autorità egiziane sembrano volersi mostrare preparate ed efficienti facendo pagare il costo di tale presunta efficienza alla comunità copta, ma, critica l’APM, chi vuole veramente combattere la diffusione di malattie ed epidemie dovrebbe invece concentrarsi sulla lotta alla povertà e all’aumento delle bidonville. Il peggioramento delle condizioni sociali di larghe fette della popolazione non sembra però preoccupare il governo di Mubarak, tant’è che il numero delle bidonville in Egitto è cresciuto da 916 nel 2000 a 1228 nel 2006. Circa il 40% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e circa 12,2 milioni di egiziani vivono in condizioni di estrema precarietà dove la diffusione di malattie risulta essere una caratteristica ormai endemica.

In considerazione della generale miseria diffusa nel paese, l’abbattimento coatto dei maiali come misura urgente per la salute pubblica risulta quanto meno bizzarra. Di fatto si ha l’impressione che il governo egiziano abbia deciso di fare dei Cristiani copti una specie di capro espiatorio e distogliere così l’attenzione sui problemi sanitari veri del paese. Ancora una volta la minoranza copta si sente discriminata e teme ora una nuova ondata di aggressioni. In Egitto vivono circa dieci milioni di Cristiani copti che regolarmente lamentano discriminazioni e aggressioni da parte delle autorità e della popolazione musulmana maggioritaria.”

Anche a Trento un TRANS Festival. Patrocina il Comune.

Dal sito www.universinversi.it:

“UNIVERSINVERSI è un festival lesbico – gay – bisex – trans – queer. La seconda edizione sarà a Trento dal 15 al 23 maggio 2009. “Universinversi” è organizzato dal Tavolo LGBTQ Trento, composto da ArciGay 8 Luglio, P.O.U.M., Queer Pro Quo, Collettivo Femminista deGenere e singoli individui che lottano per i diritti civili e contro l’omofobia.”

Patrocinio del Comune di Trento, Sponsor(s) Università di Trento, Opera Universitaria, CARITRO.