Sabato 31 marzo il Direttivo “Libertà e Persona” ha scelto di scendere nuovamente in piazza per sostenere la campagna in favore della famiglia naturale e per riproporre il proprio manifesto a riguardo, dal titolo significativo “Dico no, famiglia sì”. Teatro di questa nuova iniziativa è stato Mezzolombardo, i cui cittadini, ad onor del vero, hanno risposto con grande entusiasmo, tanto che, al termine della mattinata, abbiamo raccolto una cinquantina di sottoscrizioni al sopra citato manifesto. Da sottolineare come, durante tutta la manifestazione, vi sono stati anche momenti di intensi scambi di opinione, piccole discussioni e commenti, che hanno ribadito, se mai ce ne fosse bisogno, quanto sentiti siano i temi legati alla salvaguardia della famiglia. L’iniziativa di Mezzolombardo segue quella già positiva organizzata a Trento il 10 marzo scorso e che aveva segnato il debutto di “Libertà e Persona” come movimento di opinione tra la gente. In quell’occasione furono raccolte 115 firme; ricordo a tutti che è sempre aperta la sottoscrizione dell’appello “Dico no, famiglia sì” sul sito dell’Associazione. Per concludere la breve cronaca dell’iniziativa, un ringraziamento agli amici della Piana Rotaliana, in particolare a Francesco Betalli, per il loro lavoro e per l’entusiasmo che hanno portato e che ha certamente contribuito al successo della manifestazione.
Autore: Paolo Zanlucchi
Trento come Genova? No global in città.
Dopo lo sgombero del Centro sociale “Bruno” avvenuto lo scorso 21 marzo, sono proseguite le azioni di protesta da parte dei no global trentini: dopo aver causato disagi al traffico, bloccando la tangenziale, i manifestanti si sono recati alla rotatoria nei pressi della funivia per Sardagna e hanno imbrattato di colore rosa la statua dell’orso, dono del Comune di Berlino-Charlottenburg alla città gemellata di Trento.
La settimana precedente i no global nostrani avevano anche tentato un’irruzione alla sede del Comune in via Belenzani, naturalmente dopo aver imbrattato il selciato con la solita vernice rosa. Certo, la posizione del sindaco Alberto Pacher non deve essere per nulla facile in questo momento, guidando una coalizione “di lotta e di governo”, che in alcune sue frange più sinistrose, dentro e fuori le istituzioni, aveva talvolta ammiccato, più o meno palesemente, alle iniziative dei ragazzi del Bruno. Al momento si è tornati al rispetto della legalità, mettendo fine all’occupazione illegale dello stabile presso il piazzale Zuffo a Trento, che durava, addirittura, dal 10 ottobre 2006. Certamente gran parte dell’opinione pubblica trentina ha accolto con soddisfazione la chiusura della palazzina occupata illegalmente al piazzale Zuffo. Nulla di personale verso i ragazzi del “Bruno”, ma quel senso di illegalità manifesta, ostentata, quel linguaggio pieno di diritti e mai di doveri, francamente indispone chi, da anni, all’interno di associazioni di volontariato, culturali, sociali, si è visto rispondere picche dall’amministrazione comunale a richieste per una sede per le proprie attività; peggio ancora vi sono sul territorio comunale, associazioni realmente impegnate nel sociale, non solo a parole o a slogan, che spendono gran parte dei loro ricavi, quando non si autotassano, per pagare l’affitto di un locale. Se volessi indulgere in demagogia, direi che sarebbe arrivato il momento anche per tutti i loro associati, per tutti noi, di marciare su Palazzo Thun! Direi, inoltre, che sarebbe interessante calcolare quanto è costato alla collettività l’attività del “Bruno”: costi legati alla pubblica sicurezza, pulizia degli immobili, danari che avrebbero potuto essere spesi in ben altre iniziative e ben più proficue azioni, ma non mi illudo di certo che i contestatori e gli agitatori di piazza comprendano un siffatto ragionamento, per quanto elementare.
Fin qui la descrizione di eventi legati alla cronaca cittadina, ma vi sono alcuni punti che vorrei evidenziare: in taluni passaggi della stampa locale è sembrato che gli occupanti, anzi gli okkupanti, del C.S. “Bruno” siano sì dei ragazzi a volte un po’ sopra le righe, goliardici, ma tutto sommato, innocui, chiusi nella loro riserva di indiani metropolitani, in un’oasi di illegale felicità, comunque sotto controllo, gestibili a distanza di sicurezza. Tutto questo però stona con un’intervista rilasciata sabato scorso (24 marzo, ndr) dal portavoce del “nostro” centro sociale, Federico Zappini, il quale ripete più volte, a metà tra il messianico e la minaccia, “guai a chi ci tocca!” ed annuncia urbi et orbi che il 21 aprile prossimo sarà organizzato a Trento un grande raduno al quale hanno aderito numerosi centri sociali provenienti da tutta Italia “contro la repressione che si respira in tutta Europa verso i centri di aggregazione. Trento sarà un catalizzatore paradigmatico (sic!) della libertà di movimento”. L’iniziativa avrà, a quanto pare, anche il sostegno convinto del leader nazionale dei no global Luca Casarini, il quale esprime con decisione il proprio sostegno all’azione dei disobbedienti trentini e si dice pronto a puntare verso il capoluogo per unirsi alla protesta «Se i ragazzi del centro sociale Bruno ci chiameranno, partiremo subito per manifestare a Trento accanto a loro». Che cosa ci dobbiamo aspettare il 21 aprile? La solita carnevalata tutta slogan e “impegno sociale”, pacifici dibattiti, naturalmente costruttivi, democratici, antifascisti e pluralisti (purchè non si pensi in modo diverso dal loro …), prese di posizione ferme eccetera, oppure, fatte le debite proporzioni e i debiti scongiuri, Trento assisterà ad una riedizione degli scontri di Genova, di Padova, di Copenhagen? Prevarrà come sempre in questi casi l’estremismo? C’è da aspettarselo, visti i precedenti. Eppure, fino ad oggi, nessun opinionista locale ha osato prospettare la proibizione della manifestazione per motivi di ordine pubblico. Preoccupazioni infondate? Me lo auguro, ma nel frattempo sarebbe interessante conoscere il parere della giunta comunale di Trento, come cittadino vorrei sapere se la manifestazione in oggetto è, o sarà, autorizzata ufficialmente; il sindaco Pacher e gli organi preposti alla sicurezza, predisporranno una “linea rossa” intorno al centro storico e lasceranno sfogare i manifestanti in zone franche all’uopo concesse? Non ci resta che attendere, fiduciosi, una risposta del sindaco e della sua giunta, non dimenticando che se l’autorizzazione arriva, non potrà egli esimersi dalle proprie responsabilità in caso di prevedibili incidenti, dei quali Trento farebbe volentieri a meno; in caso di “manifestazione spontanea non autorizzata”, ma ampiamente annunciata, attendiamo una presa di posizione forte di fronte all’opinione pubblica cittadina e non solo. La speranza, sincera, è di non dover assistere ad un tam tam mediatico di rimpallo di responsabilità e che il 21 aprile non veda la città in stato di assedio e l’indomani la cronaca nera in prima pagina.
“Libertà e Persona” tra la gente
Grande successo ha riscosso l’iniziativa promossa dal Direttivo di “Libertà e Persona” di organizzare un gazebo in centro a Trento, sabato 10 marzo 2007, a sostegno dell’appello “Dico no, famiglia sì”, già presente sul sito dell’associazione e sottoscritto, ad oggi, da oltre 220 persone. “Libertà e Persona” ha voluto in questo modo proporsi alla comunità trentina come punto di riferimento culturale e politico per sostenere la battaglia in difesa della famiglia naturale e dei valori che essa rappresenta e ha rappresentato in passato per la nostra civiltà. Nonostante il vento impietoso che ha flagellato la città, il gazebo ha attirato moltissime persone, semplici cittadini, ma anche esponenti politici; al termine della giornata sono state distribuite quasi mille copie del sopra citato appello e 115 persone hanno apposto la propria firma a testimonianza di una convinta adesione. Vi è un aspetto certamente importante che merita di essere evidenziato e che ci incoraggia e sprona ulteriormente a proseguire nelle nostre proposte e nelle nostre iniziative: il gran numero di giovani che hanno voluto manifestare la loro condivisione dei contenuti presenti nel documento di “Libertà e Persona” e che hanno firmato l’appello. Un bel ritratto di una gioventù, troppo spesso ricordata solo per episodi di cronaca nera o comunque poco edificanti, ma che non rispecchiano in toto un mondo giovanile che ha, invece, bisogno di occasioni, buoni maestri e proposte, culturali, educative, politiche, che sappiano rispondere alla pressante richiesta di dare senso e contenuto alla vita. Concludendo, un ringraziamento sincero da parte del Direttivo a tutti gli amici che hanno collaborato all’organizzazione della manifestazione, sia dietro le quinte, sia scendendo in piazza; una menzione particolare ai rappresentanti del gruppo giovani di “Libertà e Persona” e agli amici di “Trento Azzurra”, i quali, oltre a mettere a disposizione il gazebo e le attrezzature di supporto, hanno voluto trascorrere con noi tutto il pomeriggio.
Riflessioni su “Manuale d’amore 2”
Si è scatenata nei giorni scorsi sulla stampa trentina, e siamo certi ne sentiremo parlare anche nel prossimo futuro, una campagna contro la proposta del sindaco di Mezzolomabardo, Rodolfo Borga, di impedire la proiezione del film “Manuale d’amore 2”. Nel seguito dell’articolo ospitiamo la lettera del sindaco in cui spiega le ragioni di tale presa di posizione. Un’azione a mio parere legittima, non fosse altro per il fatto che lo stabile del Teatro “San Pietro” è di proprietà parrocchiale e il regolamento che ne disciplina l’utilizzo prevede che non possano essere trasmessi film in contrasto con la morale cattolica.
Non voglio entrare nel dettaglio della questione che, ripeto, sarà ben spiegata dal sindaco Borga: mi preme, invece, fare una breve riflessione sulle reazioni dei mass media e di certo mondo cattolico. Appurato il fatto che il film andrà regolarmente in scena, non si può non constatare come, ancora una volta, intorno ad alcune tematiche, si scateni una sorta di inquisizione al contrario in nome del sessantottino “vietato vietare”, di una presunta tolleranza acritica e amorale contro chiunque tenti di esprimere la propria opinione in materia di omosessualità, matrimonio, morale, etica, in maniera contraria alla vulgata corrente. Papa Ratzinger ha ben espresso il momento storico-culturale che stiamo vivendo, definendolo “dittatura del relativismo”, in cui si assiste quotidianamente a tronfi e retorici, se non ideologici, richiami al dialogo, panacea sterile contro ogni vero tentativo di distinzione caso per caso, di dare giudizi (orrore!) anche di carattere morale ed etico su argomenti fondamentali per la vita sociale di una comunità. Il discorso è troppo complesso per non essere ripreso in futuro, anche a partire da due passaggi nodali: l’emergenza educativa che attanaglia il nostro Paese e che riguarda ormai anche le piccole comunità di provincia, e l’assordante silenzio di una parte del clero e del mondo cattolico in generale, per il quale si possono anche mettere in discussione le verità dogmatiche della Fede, naturalmente con un atteggiamento “adulto”, ma non si può prendere posizione netta su argomenti quali quelli trattati, ad esempio, nel film del regista Veronesi. Paradossalmente, nel nome della tutela della “diversità”, vengono calpestate le prese di posizione di chi esprime opinioni davvero diverse e non si è ancora lasciato sedurre dagli imbonitori di quelle che Vittorio Messori definisce le “parole mantra” quali pace, dialogo, solidarietà, giustizia, secondo la logica del conformismo buonista in auge anche nel nostro Paese, soprattutto nei mezzi di informazione di massa.
Mezzolombardo, 4 febbraio 2007.
E’ proprio vero che quando ci si innamora – in buona, ma non di rado in malafede – di un’idea (nella fattispecie l’idea è quella del Sindaco censore), nulla possono né la logica, né la semplice realtà dei fatti. L’idea, che tanto piace (o serve), diventa realtà, anche quando la medesima con la realtà stride. Ciò premesso, il sottoscritto “censore” chiede rispettosamente la facoltà di poter esporre le circostanze di fatto, così da lasciare ai lettori la possibilità di giudicare serenamente (e cioè senza condizionamenti di sorta) quanto accaduto. Il cinema-teatro di Mezzolombardo, di proprietà della Parrocchia, è gestito dal Comune sulla base di una convenzione, che trova puntuale riscontro in un regolamento, debitamente approvato nell’anno 2000 dal Consiglio comunale, che ne disciplina l’utilizzo. A tale regolamento tutti, ma proprio tutti, in primo luogo il Comune, debbono attenersi (e ci mancherebbe altro!). Esso impone al Comune di non consentire la rappresentazione di spettacoli di qualsiasi genere, il cui contenuto contrasti con la morale cattolica.
Al fine di garantire il rispetto di tale obbligo, è prevista l’istituzione di una commissione di sei membri (tre indicati dalla Parrocchia, due dalle associazioni culturali del paese e solo uno dal Comune), incaricata di esprimere un parere preventivo su tutti gli spettacoli in programma. Di fatto è tale commissione a decidere se uno spettacolo rispetta o meno l’obbligo sopra richiamato, ed a tale decisione il Comune si è sempre attenuto. Nella fattispecie in esame per un disguido, non imputabile ad alcuno, la commissione non è stata convocata e i film programmati non sono pertanto passati al vaglio della medesima. Venuto a conoscenza dell’accaduto, ho semplicemente richiesto al Coordinamento Teatrale, con il quale collaboriamo positivamente da quasi sette anni, se fosse ancora possibile convocare “a posteriori” la commissione, così da consentire il rispetto del Regolamento comunale vigente. Reso edotto del fatto che ormai i contratti erano già stati sottoscritti e che, conseguentemente, non era comunque in ogni caso più possibile alcuna eventuale diversa valutazione, abbiamo deciso di proiettare tutti i film in programma. Nessuna censura, quindi, e nessun tentativo d’impedire la proiezione di un film, ma molto semplicemente la volontà di appurare la possibilità di applicare anche in questa occasione, così è stato fatto da sette anni a questa parte, il Regolamento comunale. Questa la realtà dei fatti. Se poi mi si chiede, così come è stato fatto, quale voto avrei espresso qualora la commissione fosse stata convocata, non ho alcun problema ad affermare che il voto del Comune sarebbe stato contrario; e ciò anche alla luce del giudizio negativo (letteralmente “inaccettabile/superficiale”) espresso dall’Associazione Cattolica Esercenti Cinema.
Ciò non significa però censura, ma semplice (meglio doverosa) applicazione del Regolamento comunale; qualora poi il voto della Commissione fosse stato di segno opposto (così come accaduto qualche anno fa per “Magdalene”), il film sarebbe stato comunque proiettato a norma di Regolamento. E se, ancora, mi si chiede, così come è stato fatto, la mia opinione su “matrimonio” tra omosessuali e fecondazione assistita, non ho alcun problema a ribadire che, fermi i diritti individuali, che vanno comunque garantiti, vi sono limiti che la presunta onnipotenza dell’uomo non può varcare e che tra famiglia naturale ed unione omosessuale vi è una differenza abissale. Nel concludere una breve considerazione sulla presunta censura. Io non ho fatto altro che applicare un Regolamento vigente. Altra cosa è la censura, praticata, in modo ferreo e puntuale, da quelle lobby, potenti e ben introdotte, che su determinati temi non tollerano opinioni difformi in nome di una democrazia, che a tutti vorrebbero fosse garantita, eccetto però a chi la pensa in modo non conforme al loro. Distinti saluti.
Rodolfo Borga
Scuola e libertà in Guareschi
Riproporre oggi alcuni pensieri tratti da “Lettera al postero”, di Giovannino Guareschi, pubblicata su Candido numero 51, del 16 dicembre 1956, può apparire operazione anacronistica solo nelle apparenze. In un periodo storico, politico e culturale come quello in cui ci è dato di vivere, non possiamo che trovare straordinariamente profetiche le parole che mi permetto di presentare qui di seguito. Spunti per una riflessione costruttiva, seppur amara, dovendo constatare come l’utilizzo della scolarizzazione di massa, in atto a partire proprio dagli anni appena seguenti questa lettera, attuata da tutta l’area marxista, complice anche una certa miopia culturale e politica cattolica, ha portato il nostro Paese ad una omologazione dei pensieri attuata anche attraverso la scuola, e oggi anche attraverso l’università, mediante l’adozione di libri di testo ideologizzati, se non tendenziosi e docenti “votati alla causa”. Ironia della sorte, Guareschi morì proprio nel “formidabile” 1968, e da allora è un susseguirsi di riforme scolastiche farraginose, l’ultima ancora tutta da verificare sul campo, del Ministro Fioroni, purtroppo ancora troppo infarcita dirigismo statalista, che ripropone, tra le altre cose, la commissione d’esame mista fra docenti interni ed esterni, ma non incide sulla valutazione della qualità dell’insegnamento e nemmeno sulla serietà della preparazione effettiva finale dell’alunno. Aumenterà, invece, il carico di lavoro burocratico dei docenti impegnati nelle commissioni, con la conseguenza di, per citare Guareschi, “Non dire mai con quattro parole ciò che potresti non dire con tremila. Il paradosso serva a chiarirti il concetto: l’italiano preferisce parlare piuttosto che dire”. Veniamo dunque al racconto di Giovannino Guareschi, che rivolgendosi al suo immaginario “postero”, ad ognuno di noi quindi, genitori, insegnanti, studenti scrive: Un tempo si diceva: “Chi comanda fa legge”. Oggi, con maggior precisione, si dovrebbe dire: “Chi comanda fa Regime”. E’ l’eterna storia di chi, arrivato al posto di amministratore, tende a diventare padrone. Mentre il Partito che ha espresso il Governo tende a identificarsi col Paese, il Governo tende a identificarsi con lo Stato. Gli Enti statali, parastatali, criptostatali, nazionali e paranazionali creati dal Governo e diretti e dominati da uomini fidati del Partito funzioneranno da legame fra Stato, Governo e Paese-Partito. Il gioco è fatto. Naturalmente, postero diletto, io non ti ho parlato da tecnico: l’operazione è più complessa. E, quando il Regime è instaurato, ha bisogno di farsi le ossa. Orbene – ed è questo il punto – ogni Regime si fa le ossa rompendo le ossa degli altri. Se si tratta di un Regime sul tipo delle cosiddette repubbliche democratiche orientali, entrano in azione la polizia politica, i carri armati, la statizzazione integrale e via discorrendo. Se si tratta di un Regime a sfondo democratico occidentale, si usano armi di altro genere e l’azione si sviluppa nascostamente e senza strepito.
In ogni tipo di Regime, comunque, si pone la massima diligenza nell’annientare il nemico numero uno della dittatura: l’individuo. Si tende a spersonalizzare l’individuo, a fare di esso un semplice elemento della mandria, o massa o collettività. Si tende cioè a svuotare l’individuo del suo contenuto personale. Postero mio, figurati che la nazione sia un immenso frutteto con alberi di centomila specie diverse: alberi teneri e giovani, alberi vecchi dalla corteccia dura. Cambia il padrone del frutteto, e il nuovo padrone dice: “L’avvenire del frutteto è nelle pesche. Da oggi in avanti voglio solo pesche”. Tutto va bene per i peschi giovani e vecchi che sono nati, appunto, per produrre pesche. Ma per i peri, i meli, i ciliegi e le altre piante la faccenda si complica. I vecchi peri, i vecchi meli, i vecchi ciliegi non possono obbedire e continuano a produrre pere, mele, ciliegie. Si comportano come irriducibili sovversivi e il padrone non può tollerare un fatto del genere e, allora, o li sradica, o li pota barbaramente in modo da renderli improduttivi; o ne avvelena le radici. Il padrone elimina o neutralizza i vecchi alberi soltanto; per giovani, invece, ricorre all’innesto. Ciò è contro natura perché il pero, il melo, il ciliegio non sono nati per produrre pesche, ma il padrone non ammette indisciplina: o rinnovarsi o morire. Non so se la mia similitudine sia molto felice: comunque, apprezza lo sforzo che ho fatto per rendere l’idea. Ora, postero diletto, metti nel frutteto, al posto degli alberi, altrettanti individui: al posto del padrone metti il Regime e arriverai a comprendere probabilmente il problema della spersonalizzazione. Naturalmente, e ciò dispiace molto ai Regimi, trattandosi di uomini, non è possibile tagliare a un tizio la testa, innestandogliene sul collo un’altra. E poi, mentre, anche se l’albero è giovane, è facile stabilire se esso sia un pesco, o un melo, o un pero, o un ciliegio, è difficile stabilire che tipo di testa, di pensieri e di tendenze abbia un giovane. Occorre, allora, una diligente e acuta indagine da compiere caso per caso. E il compito delicato viene affidato alla Scuola che, essendo di Stato, deve funzionare come qualsiasi altra azienda del Regime. I giovani interessano e preoccupano sopra ogni altra cosa i Regimi. I giovani sono pericolosi: le loro reazioni – non ancora sufficientemente controllate da quel senso dell’opportunismo che frena gli impulsi degli uomini maturi – sono pericolose. (…) Ogni Regime ha paura dei giovani e ai giovani rivolge le più attente cure attraverso la Scuola, gli enti parascolastici, le organizzazioni politiche, parapolitiche e criptopolitiche assistenziali e psuedobenefiche, sportive e pseudosportive. Ma la Scuola è lo strumento più efficiente e più importante, perché ha un doppio compito: svuotare il ragazzo eliminando in lui ogni fermento nocivo o sovversivo per poi riempirlo di idee e propositi conformisti. La Scuola, sotto ogni Regime, è destinata a divenire la Grande Pianificatrice dei cervelli. La Fabbrica dei Cretini. Parole certamente dure, velate di amarezza, che risentono del clima politico del tempo, i carri armati del Patto di Varsavia erano ancora agli angoli delle strade di Budapest, ma che non possono non colpire per la loro lucidità e attualità. Proseguendo nell’analisi dell’opera, mi permetto di proporre ancora un paio di pensieri del grande scrittore “della Bassa”. Cerca fuori dalla scuola gli ammaestramenti per la vita. Ai miei tempi, era in grande auge il cosiddetto tema di fantasia: esso è oggi schifato.”Lavorando di fantasia il ragazzo non impara a osservare, si distacca dalla realtà”, dicono i tecnici. “Niente più finzioni”. La verità è un’altra: chi lavora di fantasia non osserva ma pensa. La fantasia è la palestra del pensiero e i Regimi non vogliono gente che pensa. Vogliono uccidere la tua fantasia, postero diletto: questa è la sostanza. La fantasia è reato: quando tu racconti a te stesso una storia fantastica della quale tu sei il protagonista tu esperimenti la tua personalità. Figlio mio, tu sei chiuso dentro una esigua stanza assieme alla tua bicicletta: fin quando quei quattro muri ti terranno prigioniero, tu non potrai mai provare – pedalando -l’efficienza dei tuoi garretti. La potrai provare avendo a tua disposizione, tutta per te, una pista. La fantasia ti offre lo spazio e l’aria che ti sono necessarie. La fantasia è la palestra del pensiero e della personalità: e il Regime vuole, uccidendo la tua fantasia, mortificare, comprimere, contenere la tua personalità.
Prosegue ancora Guareschi, con quell’ironia e con quel realismo inconfondibili, riflessi di un animo profondamente cristiano, autentico; i pensieri che seguono non possono non far riflettere, da un lato, i docenti che, nonostante tutto, si trovano ancora ad amare il proprio mestiere, accettando e tentando di vincere (o almeno a non perdere) ogni giorno la sfida dell’educazione; dall’altro mi auguro che qualche studente faccia proprio l’invito, la preghiera che uscì oltre cinquanta anni fa dalla penna del grande scrittore emiliano. Difenditi, postero mio. Diffida di tutto quello che a scuola t’insegnano. Anche dello stesso Teorema di Pitagora. Controlla pignolescamente se il Teorema di Pitagora che t’insegnano funziona come il Teorema di Pitagora che insegnavano cinquant’anni fa. Impara a detestare, nel tuo intimo, tutto ciò che è collettivo. Collettivismo significa umiliazione dei migliori ed esaltazione dei peggiori. Il collettivismo è per i vili che vogliono sottrarsi alla responsabilità individuale per rifugiarsi nell’ombra della irresponsabilità collettiva. Difenditi e reagisci.
L’ombra di Faust sui pacs
Intorno ai PACS si è aperto un dibattito importante, delicato che va a toccare l’essenza stessa delle radici culturali dell’Europa e dell’Italia in particolare. E’ in atto un attacco diretto, frontale, violento anche nelle parole, oltre che nei modi, alla famiglia tradizionale.
Si sta insinuando con grande determinazione il concetto che la famiglia tradizionale eterosessuale, in cui un uomo e una donna accettino responsabilmente di vivere insieme e di responsabilmente educare i propri figli possa essere non più il modello, ma genericamente uno dei modelli di relazione familiare possibile. Il focus della diatriba non è certamente soltanto una questione di fede: anche non volendo prestare orecchio agli accorati appelli di Benedetto XVI° e della CEI, e prendendo in considerazione la questione anche da un punto di vista unicamente razionale, o genericamente laico, non possiamo non sottolineare il fatto che lo Stato dovrebbe incentivare quelle forme di vita che contribuiscono in primo luogo al bene comune e senza ombra di dubbio il maggior contributo al bene comune dovrebbe consistere nella procreazione e nell’educazione responsabile dei figli. Solo una società che investe responsabilmente nei figli può guardare al futuro con determinazione e speranza. In gran parte dell’Europa del nord, ormai secolarizzata e scristianizzata, presa e citata costantemente dai maestri del pensiero laicista nostrano, attanagliati da un complesso di perenne inferiorità culturale, come modello di riferimento sociale e giuridico, i risultati di politiche scellerate sulla famiglia hanno prodotto risultati drammatici. Perché allora questo impeto, anche in Italia, per cambiare la famiglia, un’istituzione che dura da migliaia di anni, da quando in qua è diventato così urgente garantire le nozze ai gay e la pensione alle coppie di fatto? Ripeteva Engels che «tutto ciò che esiste merita di morire»; una frase che fu pronunciata da Mefistofile, il diavolo, nel Faust di Goethe: una demoniaca volontà di distruzione. Vi è purtroppo una certa classe politica italiana che, come Faust sembra voler barattare l’anima della nostra cultura, delle nostra tradizioni, del nostro modo di intendere la famiglia, la società, la comunità in cui viviamo. In realtà, una certa classe politica non fa che confermare le sue antiche radici. Diceva ancora Engels che lo scopo della rivoluzione comunista non è migliorare le condizioni della classe operaia, ma «cambiare lo stato di cose presente». La distinzione è sottile. Vuol dire che un tempo si istigavano gli operai alla rivolta solo finché essi erano «la forza sociale più potente» (altra definizione di Engels. ndr); ora che non lo sono più, si scelgono altri nuclei sociali “potenti” e senza ombra di dubbio le lobbies omosessuali lo sono. Almeno, sono influenti in TV, nei giornali, nel mondo dello spettacolo, ma anche tra le forze politiche, anche in Italia, e soprattutto a livello europeo. La questione è drammatica in questo momento storico, inoltre, perchè anche una parte dei cattolici sembra seguire questa ventata di novità, mostrandosi culturalmente subalterna. Davvero, come si va ripetendo in questi mesi con una amara constatazione, sembra passato un secolo da quando il mondo cattolico seguiva soltanto le indicazioni di arcipreti e arcivescovi…oggi, nel nome di un moralismo falso e di una tolleranza fatta di indifferenza, preferisce accodarsi all’arcigay.
Servizio su Vittorio Messori
Cari Amici,
Vi ricordo che il resoconto dell’incontro con Vittorio Messori del 12 gennaio, sarà oggetto anche di un servizio su TELEPACE-Trento, che andrà in onda all’interno della Rubrica "Pietre vive" con i seguenti orari:
DOMENICA 21 GENNAIO – ORE 12:15 e ORE 20:00.
LUNEDI 22 GENNAIO – ORE 20:30.
MERCOLEDI 24 GENNAIO – ORE 19:55.
Paolo Zanlucchi.