Il Movimento per la Vita giovani e il Movimento Indipendente organizzano per giovedì 14 giugno, ore 17.00, presso la Facoltà di Sociologia di Trento (piazza Venezia, aula n. 16), una conferenza su “Terrorismo, antiterrorismo e dottrina della Chiesa sulla guerra”. Relatori saranno il prof. Francesco Agnoli e il prof. Domenico Tosini, ricercatore presso la stessa Facoltà di Sociologia e autore di “Terrorismo e antiterrorismo nel XXI secolo”, edito nei mesi scorsi da Laterza. Convinti che la difesa della persona umana innocente “dal concepimento alla morte naturale” riguardi anche le questioni aperte dalla cosiddetta guerra al terrorismo, i giovani del Movimento per la Vita invitano tutti gli interessati a discuterne in amicizia.
Autore: Mattia Tanel
Il “microfono” di Pio XII, il gramscismo cattolico e i fumetti
Padre Riccardo Lombardi, gesuita, fu noto negli anni Quaranta e Cinquanta con un soprannome impegnativo: “microfono di Dio”. Pio XII, avendone in grandissima stima l’oratoria martellante, aveva conferito a lui la missione di bandire a suo nome, in tutta Italia, una “crociata della bontà” che riconquistasse le anime a Cristo e trasformasse il mondo “da selvatico in umano, da umano in divino” [1]. Il nostro “microfono”, dati i tempi, alzava la voce in particolare contro il pericolo comunista, mettendo in guardia i fedeli dagli “atei senza Cristo, senza Dio, senza anima, figli del demonio con le mani sporche di sangue”, nientemeno, i quali miravano a trascinare nella miseria e nel fango l’intera società umana. Per contrastare tali operatori di iniquità, il sogno di Papa Pacelli era “che sorgessero immense falangi di apostoli, simili a quelle che la Chiesa conobbe ai suoi albori”. Padre Lombardi illustrava il piano d’azione in modo più preciso. Occorreva una “mobilitazione generale” dei cattolici, “una loro diffusa presenza in ogni luogo di potere, nei partiti, nei sindacati, nei giornali, nella radio, nel cinema, nell’università”; essi “dovevano mirare anche in alto, molto in alto, alle fonti della pubblica istruzione, alla conquista delle cattedre in generale, e in particolare di quelle universitarie, che potrebbero considerarsi chiave, nella cultura che riguarda direttamente la Chiesa”. Da buon cattolico d’antan, Padre Lombardi non usava mezzi termini: “la bonifica delle idee non sarà mai profonda e definitiva in Italia, finché le aule dove si creano gli indirizzi speculativi delle nuove generazioni saranno quasi tutte infestate dalla malaria”. Il “microfono di Dio”, al di là del linguaggio, affrontava qui un autentico problema pastorale, in seguito quanto mai eluso: ciò che Sant’Escrivà chiamava “apostolato dell’intelligenza” e che oggi, ben mezzo secolo dopo, è evidentissimamente il nodo più decisivo che i cattolici debbano risolvere: e stavolta al più presto, poiché ne va della salvezza delle anime in una società che di giorno in giorno si fa più confusa e sbalestrata. Padre Lombardi, oltrechè sulla conquista delle cattedre liceali e universitarie, contava parecchio anche sul cinema (di cui apprezzava “l’efficacia impareggiabile con cui imprime le idee mediante semplici immagini, anche in gente che non sarebbe capace di ragionare”) e sulla radiofonia, strumenti a cui oggi viene spontaneo aggiungere Internet e soprattutto la televisione. Ma non solo. Conviene soppesare attentamente l’amara constatazione di un grande pensatore cattolico dell’Ottocento, Juan Donoso Cortés, constatazione che dopo un secolo e mezzo resta a maggior ragione valida e attuale: “nel passato”, scrive Donoso, “gli errori stavano nei libri, in maniera tale che, non cercandoli in essi, non potevano incontrarsi da nessuna parte, mentre ai giorni nostri l’errore non sta solo nei libri, ma anche fuori di essi: sta nei libri, nelle istituzioni, nelle leggi, nei giornali, nei discorsi, nelle conversazioni, nelle aule, nei circoli, nei focolari, nel foro, in ciò che si dice ed in ciò che si tace” [2]: in una parola, l’errore sta ovunque. Dove, quindi, è d’uopo combatterlo? Certamente nelle università e nei palinsesti televisivi, ma tutto ciò non basta: bisogna combatterlo dove esso si manifesta, cioè ovunque appunto, e con ogni mezzo disponibile. Tra i cattolici qualcuno, alla buonora, ha cominciato a capire che la “nuova evangelizzazione” di Giovanni Paolo II deve concretarsi (Padre Lombardi e Pio XII docent) in un enorme Kulturkampf, in un “gramscismo cattolico” che mandi in tilt e poco a poco distrugga la cappa culturale generata, in Italia, da decenni di egemonia radical-socialista. Indubbiamente, poiché l’annuncio cristiano si rivolge alle singole anime e non alle masse anonime, rimangono insostituibili l’apostolato personale, la testimonianza di vita cristiana, la preghiera per le conversioni: ma non disgiunte da una ben concertata azione culturale volta a diffondere la visione della vita e la lettura della storia cattoliche, necessari praeambula fidei della nostra epoca. Per non rischiare l’astrattezza, porto un esempio concreto di quanto sto dicendo. ? uscito negli scorsi mesi, per i tipi della neonata ReNoir di Milano, il primo volume di una serie di fumetti (sì, fumetti) intitolata “Gli sconfitti” [3]. Ideatore e aiuto-sceneggiatore ne è quel Rino Cammilleri che, con Vittorio Messori e pochi altri, ha contribuito in modo decisivo, negli scorsi decenni, ad attualizzare e riportare in auge la nobile arte dell’apologetica [4]. Lo scenario di fondo del fumetto, nelle parole dello stesso Cammilleri [5], è il seguente: “nel West ottocentesco tre uomini incrociano i loro destini. Si tratta di un ex borbonico, un ex sudista e un ex asburgico. Il primo è un ufficiale napoletano in volontario esilio dall’Italia. Il terzo è un militare francese venuto in Messico al seguito dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo; dopo la fucilazione di quest’ultimo, è rimasto in America. I tre si incontrano per caso e si uniscono per ritrovare il tesoro dello sfortunato imperatore”. La particolarità di questa serie “consiste nel fatto che sposa volentieri il cosiddetto revisionismo storico, mostrando come sono andate certe cose dal punto di vista di chi le ha subite, e certe guerre dal punto di vista di chi le ha perse”: nel primo volume della serie, per esempio, si accenna alle vicende del “Risorgimento” italiano, mostrandone, contro la vulgata scolastica egemone, l’autentica natura: quella di brutale annessione espansionistica da parte del Piemonte ai danni degli altri Stati peninsulari, Stato della Chiesa compreso. “E c’è anche un altro aspetto “speciale”: l’attenzione alle tematiche religiose che nei fumetti, di solito, o sono completamente assenti o, al massimo, vengono scomodate per confezionare horror di tipo pagano-gnostico (v. Hellboy, Hellblazer, Spawn, Preacher…[6])”: nella nostra serie, invece, dei tre “sconfitti” due sono cattolici e uno protestante, e la cosa “avrà la sua importanza e i suoi sviluppi nel prosieguo della storia”. Il primo volume de “Gli sconfitti”, decisamente professionale e ben fatto sotto ogni punto di vista, costituisce un formidabile strumento di apostolato culturale per un motivo del tutto ovvio: è mille volte più facile regalare, consigliare, prestare, in ogni caso far leggere a qualcuno, specie se giovane, un agile e piacevole fumetto che non un noioso volume di storia del “Risorgimento”. E gli effetti sono gli stessi: un po’ di “errore” arginato e dissolto, un po’ di “verità”, anche solo a livello di precomprensione storiografica, propagata e ristabilita. Ovviamente è solo una goccia nel mare e, come ho detto, un esempio. Da imitare, nei metodi che la creatività e le capacità suggeriscono a ciascuno, per instaurare omnia in Christo.
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[1] Per quanto segue, cfr. Antonio Spinosa, Pio XII. L’ultimo papa, Mondadori, Milano 1992, pp. 292-294 e 323-324. Sulla interessante figura di Padre Lombardi (1908-1979), personaggio decaduto dalla notorietà pubblica all’avvento di Giovanni XXIII, cfr. Giancarlo Zizola, Il microfono di Dio: Pio XII, padre Lombardi e i cattolici italiani, Mondadori, Milano 1990, o per una prima ricognizione http://it.wikipedia.org/wiki/Riccardo_Lombardi_(gesuita).
[2] Juan Donoso Cortés, Lettera al cardinal Fornari, 19 giugno 1852, in [Pio IX,] Sillabo [1864], a cura di Gianni Vannoni, Cantagalli, Siena 1998, pp. 111-135: p. 113.
[3] Cammilleri-Belli-Parma-Boldrini, La fuga (I volume della serie “Gli sconfitti”), ReNoir, Milano 2006. Il volume consta di 56 pagine a colori per euro 13.
[4] Proprio Cammilleri ha espresso benissimo l’importanza della “guerra culturale” cattolica in un articolo, intitolato appunto “Cultura”, apparso sul n. 53 del mensile Il Timone (maggio 2006, pp. 20-21).
[5] Cfr. http://www.rinocammilleri.it/beyondengine/frontend/exec.php?id_content_element=434.
[6] Tutte cose che, per dirla pittorescamente e con Pio IX, “ingannano e corrompono in modo compassionevole la gioventù e le somministrano fiele di drago nel calice di Babilonia”. Cfr. l’enciclica Qui pluribus del 9 novembre 1846, in Sillabo, cit., pp. 137-154: p. 145.
Madri Selvagge. Dopo il referendum sulla legge 40
“Come mai non leggiamo sui giornali di sinistra che Vandana Shiva, Naomi Klein, le organizzazioni femministe e non solo nei Paesi Terzi, gran parte dei no global hanno posizioni durissime e diffidenti nei confronti delle tecniche di fecondazione assistita e di manipolazione degli embrioni?”. Bella domanda. Se la sono posta due “femministe libertarie di sinistra”, Alessandra Di Pietro e Paola Tavella, sul Foglio del 7 giugno 2005 (cioè a pochissimi giorni dal referendum sulla legge 40), in un articolo che aveva già avverato se stesso: era stato infatti inizialmente proposto al quotidiano di sinistra per cui le due giornaliste scrivevano di solito, il manifesto, che l’aveva puntualmente cassato.
In effetti, negli ultimi anni è successo in Italia un fatto piuttosto strano: il vasto e variegato dibattito critico che dalla fine degli anni Settanta ha avuto come oggetto le tecniche di fecondazione artificiale è stato completamente silenziato, obliato addirittura nelle coscienze dei suoi stessi protagonisti, per essere gradualmente sostituito da una contrapposizione semplicistica quanto fasulla: le donne, la libertà e la scienza da una parte, l’oscurantismo ultracattolico e le ingerenze ruiniane dall’altra. Persino le femministe italiane, che fino al giorno prima avevano dibattuto della fecondazione artificiale senza celarne i rischi e le prospettive anche inquietanti, in occasione del referendum preferirono nascondersi dietro questo schema di comodo, mettendo “momentaneamente da parte” i loro ragionamenti “in nome di una minaccia proveniente direttamente dalle gerarchie vaticane” (Elena del Grosso). Un atteggiamento riassumibile nei seguenti termini: i vescovi hanno sempre torto, anche quando sono d’accordo con noi. Eugenia Roccella, un’intellettuale femminista che durante la campagna referendaria optò per la coerenza di fronte allo strepitio anticlericale delle sue colleghe, ebbe a dire in un’intervista: “credo che le nostre battaglie da femministe siano oggi tradite, innanzitutto, dalle femministe stesse”.
Per rendersi conto della verità di questa affermazione basterebbe sfogliare le pagine della pubblicazione collettanea Madre Provetta (Franco Angeli Editore), del 1994, o fare un salto all’indirizzo web http://www.rinocammilleri.it/beyondengine/frontend/exec.php?id_content_element=310, in cui, con il referendum alle porte, venivano elencate alcune nettissime posizioni di organizzazioni femministe e no global a livello internazionale. Per chi, invece, avesse voglia di una riflessione più recente [il presente articolo è stato scritto ad aprile 2006, ndr], è uscito a febbraio [sempre 2006, ndr] presso Einaudi l’ottimo Madri Selvagge. Contro la tecnorapina del corpo femminile, libro con il quale Alessandra Di Pietro e Paola Tavella danno seguito al succitato articolo per Il Foglio e alla loro astensione militante in occasione del referendum.
Madri Selvagge è un “manifesto radicale di amore per la vita” che pone finalmente con forza, da parte progressista, alcuni temi che negli ultimi tempi sono stati appannaggio quasi esclusivo dei cattolici. Si parla innanzitutto delle cause dell’infertilità, argomento totalmente rimosso che a ben vedere è alla base di qualsiasi riflessione in materia di pma: “se nei Paesi sviluppati la fertilità umana è diminuita soprattutto a causa dell’inquinamento alimentare e ambientale”, osservano le due autrici, “la soluzione sarebbe vietare l’agricoltura chimica e l’emissione in atmosfera di nuove sostanze incontrollate. Invece”, ed è questo che la grande informazione misconosce, “si sceglie la protesi reazionaria, la fecondazione artificiale extracorporea, che apre ai gruppi farmaceutici un nuovo immenso spazio di speculazioni e di profitti”. Con il relativo paradosso: “chi provoca l’infertilità fornisce, allo stesso tempo, il rimedio artificiale. Non a caso, spesso scienziati finanziati dalle case farmaceutiche sono in prima linea a sostenere soluzioni tecnoscientifiche all’infertilità” (pag. 30).
Il potere biotecnologico “maschile” allunga le mani sul corpo femminile per sperimentare su di esso soluzioni “pesanti, invasive, grezze, poco sicure” e largamente inefficaci, lucrando sul desiderio di maternità e nascondendo alle donne le controindicazioni e i rischi, anche mortali, delle procedure a cui si sottopongono. Rischi per le donne stesse, innanzitutto, ma anche per gli eventuali nuovi nati: sono impressionanti le percentuali di malformazioni e di patologie che colpiscono i figli di “madre provetta”. “? sulle donne e sulle sorti delle generazioni future”, affermano Paola e Alessandra, “che avviene la prima sperimentazione di massa del biotech sugli umani” (pag. 48; si vedano, per quanto riguarda i rischi per le donne e i nuovi nati, i dati scientifici e statistici esposti in G.M. Carbone, La fecondazione extracorporea, ESD, Bologna 2005, pagg. 23-33).
Per non parlare della compravendita degli ovuli, pratica che nasconde i suoi risvolti schiavistici dietro il termine “ovodonazione” e che le autrici definiscono efficacemente, nel capitolo omonimo, “rapina delle uova”. Com’è noto, alcune forme di fecondazione artificiale eterologa, la cosiddetta clonazione terapeutica e la ricerca sulle staminali embrionali necessitano di un grande numero di ovuli, estratti dai corpi di donatrici prezzolate (strane donatrici…), previamente sottoposte a pesanti bombardamenti ormonali. Quello che i sedicenti pro-choice si guardano bene dal dire è che tali procedure minano la salute della “donatrice” fino a provocarne, ironia della sorte, la sterilità. Non solo. Gran parte degli ovuli provengono da paesi poveri, in particolare dell’Europa orientale, in cui la miseria spinge centinaia di donne, tra le quali molte ragazzine, a vendere in cambio di due soldi la propria femminilità, spesso e volentieri senza che i centri a cui si rivolgono le informino dei possibili rischi. In nome del concetto astratto di “autodeterminazione della donna”, il neocolonialismo tecnoscientifico ha dato vita a un enorme e sordido giro d’affari basato sullo sfruttamento delle donne concrete, meglio se povere, ignoranti e provenienti da Paesi sottosviluppati: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Ciò che sconcerta, infatti, è che tutto questo avvenga con il placet del fronte progressista italiano, che fonda la propria pretesa superiorità morale sulla difesa degli oppressi (siano essi foche monache o linciatori alla Carlo Giuliani), ma transige sulla difesa della vita e della dignità umana, in ossequio alla diffusa mentalità nichilisteggiante o a qualche grande interesse economico. Si pensi ad esempio a un tipo come Umberto Veronesi, incorrotto paladino della Scienza per i media progressisti, che all’insaputa del grande pubblico lucra sulle biotecnologie con la sua Genextra. Ad ogni modo, Di Pietro e Tavella sembrano fare eccezione. Il loro libro analizza altre importanti questioni che i referendari di un anno fa [due, ndr] hanno bellamente ignorato, come ad esempio l’inesistenza di cure dalle cellule staminali embrionali o il ritorno in grande stile dell’eugenetica nelle nostre odierne democrazie; gli ultimi due capitoli, Travagli e Spruzzi, si diffondono sulle tematiche più generali della medicalizzazione della gravidanza e dell’allattamento, con argomentazioni brillanti e a tratti sorprendenti.
Un unico aspetto, in Madri Selvagge, non convince per nulla (“Atti di Coraggio Femminista Elementare Radicale” e consimili bizzarrie a parte), ed è la soluzione fornita al problema dello statuto dell’embrione. Le due autrici sono favorevoli all’aborto e temono, peraltro del tutto ragionevolmente, “che riconoscere veramente l’embrione come umano sia ammettere che abortire significa uccidere” (pag. 96), ma tali premesse non dovrebbero dispensarle dal rispetto della logica aristotelica del terzo escluso: l’embrione, questa “entità” che secondo gli odierni “illuminati”, non privi di gusto per il paradosso, “sarebbe stato più prudente non sbattere sotto i riflettori” (Chiara Valentini), per Di Pietro e Tavella non è né un grumo di cellule né un essere umano, né del materiale biologico né una vita individuale, cioè né cosa né persona, né oggetto né soggetto. E allora cos’è, visto che tertium non datur? Non si sa. I “misteriosi embrioni” (la definizione, a questo punto pertinente, si trova a pag. 108) appartengono comunque alla donna “in virtù di una relazione carnale”: “se gli embrioni sono di qualcuno, sono delle donne” (pag. 103). Alle nostre femministe sfugge, forse, che le categorie di “proprietà” e di “potestà” su un terzo esprimono modalità di rapporto tipicamente maschili e paterne (paternalistiche, direbbero loro); la specificità e l’essenza del femminile, del materno, è l’esatto contrario, espresso dalle categorie di “accoglienza”, “reciprocità”, “tutela”. Certo femminismo è stato spesso accusato di perseguire la parità della donna a spese della donna stessa, rincorrendo ed emulando il modello e la mentalità maschile: attenzione a non ricadere inavvertitamente nell’errore, disputandosi l’embrione ai dadi con preti e tecnoscienziati. Perché ogni uomo, embrione compreso, appartiene solo a se stesso e – posto che esista, come infatti esiste – a Dio.