Un Battesimo anomalo: omelia del Giovedì Santo (Gv 13, 1-15)

Alle pagine del Vangelo noi affidiamo la possibilità che alcune domande che il cuore continuamente ci rivolge, abbiano una risposta o quantomeno un abbozzo, un pertugio dentro cui entrare e vedere l’altrimenti Invisibile. Quali sono queste domande che ripetutamente affiorano e la cui assenza di risposta genera, presto o tardi, inquietudine, insoddisfazione, tristezza?: “Chi è Dio? Perché ci ha creati? Come faccio, oggi, a conoscerlo, a vederlo, a relazionarmi?”
Quella che abbiamo ascoltato è una di quelle potenti pagine da cui strappare qualche parola rivelatrice.
Anzi più che parole, è il gesto della lavanda dei piedi ad aprire un varco nella coscienza che abbiamo di Dio. Un gesto incomprensibile, perfino scandaloso per uno che è chiamato “Signore e Maestro”. Si tratta, infatti, dell’opera del servo verso il suo padrone e Pietro, giustamente, inizialmente non accetta .
“Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine e…preso un asciugatoio verso dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli”.
“Li amò sino alla fine”. Deus caritas est ci ha detto l’evangelista Giovanni e pure Benedetto XVI, con una certa e insistita sorpresa, sta richiamando.
Questa è la risposta alla prima domanda: “Chi è Dio?”. Dio è amore. Non solo perché ci vuole bene, anzi mi vuol bene, ma perché l’amore definisce il suo stesso essere. Dio è l’amore. Dio non è un’idea, non è un’astrazione. Dio, in quanto amore, è vitale, dinamico, creativo, fantasioso, ma soprattutto è, soprattutto relazione. L’amore di Dio, infatti, è relazione tra le persone divine, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo ed è relazione con ciò che, amando, crea.
Ecco, la seconda risposta alla domanda: “perché Dio ci ha creati?” Perché ama e l’amore genera, crea. Ama e desidera essere amato.
Ci ha creati perché amando, conoscessimo l’Amore e amassimo Dio Amore.
Tuttavia, la vera questione rimane sempre la terza domanda: “Come faccio oggi a conoscere Dio?” E’ questa, ultimamente, l’urgenza più grande che avverto. A me sta a cuore non un discorso su Dio. A me preme Dio. Cioè mi interessa che Dio sia concretamente incontrabile e, dunque, realmente possibile vivere la vita in una relazione d’amore.
A questa domanda non si dà risposta piena se non si entra nell’avvenimento dell’incarnazione.
Il Figlio di Dio, infatti, facendosi carne, è divenuto uomo per rendere evidente, nella sua presenza, nella sua umanità, nei suoi gesti chi sia Dio (e quindi rispondere compiutamente alla prima domanda) e chi sia l’uomo (rispondendo alla seconda questione). Dio è amore e l’uomo è un desiderio di amore, di amare ed essere amato.
Questa sera Gesù ci prende per mano nel percepire tutta l’ampiezza, la larghezza, la lunghezza e la profondità dell’amore di Dio mendicante dell’amore dell’uomo e dell’uomo mendicante dell’amore di Dio. Gesù lava i piedi a Pietro e Pietro quando intuisce il gesto chiede di essere lavato per intero!
Il gesto della lavanda dei piedi è l’evidenza dell’amore di Dio che “ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio” fino a chinarsi a terra – “sino alla fine”- per lavare i piedi dell’uomo. L’amore di Cristo è per tutto l’uomo specie per ciò che di più sporco e meno amabile ci sia in lui: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi” (1Gv4,10).
Che strano Battesimo! Un Battesimo dei piedi…con il quale rende mondi i suoi discepoli. E’ un acqua non solo purificatrice, ma che sembra avere in sé la forza di santificare. Dopo aver compiuto un gesto così rivoluzionario dice ai suoi discepoli: “come ho fatto io, così fate voi”. Il Signore e Maestro, vero sacramentum caritatis, lavando i piedi dà loro il comando e il potere di compiere l’amore di Dio. I discepoli, tersi dalla sporcizia che si annida tra le dita dei piedi, come il peccato si nasconde dietro l’angolo di ogni nostro gesto, sono resi “creature nuove”.
Ora anche noi, dopo i discepoli, abbiamo ricevuto, nel Battesimo, l’acqua con cui Gesù ci rende mondi. Si realizza quel desiderio di Pietro (“Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”) perché anche sulla testa e poi giù per tutto il corpo, scenda l’acqua che fa rinascere a vita nuova: capaci di vivere in modo eucaristico: “come ho fatto io, così fate voi”.
Il Battesimo è davvero la porta per vivere, “sino alla fine”, l’Eucarestia che celebriamo e cioè la letizia della vita cristiana.

Apocalypto: il giudizio di un sacerdote

“Una grande civiltà viene conquistata dall’esterno solo quando si è distrutta dall’interno” Così inizia il film
Una frase secca, a schermo scuro. Non importa neppure chi l’abbia detta, anche se poi risulta di W.Durant, uno storico dei primi secoli dopo Cristo e riferita alla fine dell’impero romano. Si capisce che sta parlando di te. Non W.Durant, ma Mel Gibson. Il suo non è un film storico, né d’avventura, né tantomeno uno squatter. Il suo è un grido, un avvertimento, una profezia. Mentre il film corre, come il suo protagonista, Zampa di Giaguaro, per sfuggire al sacrificio umano e alla barbaria dei predoni, ti accorgi che il film sta parlando di te, della tua vita, di ciò che ti circonda, del tuo mondo. Per questo è un film da vedere. Mi interessa della mia sorte, della mia felicità, della casa che ho costruito, del mondo in cui vivo e vivranno i miei figli, mi interessa del mio destino specie se chi mi parla non mi sta compiacendo. Anzi proprio perché dice qualcosa di ruvido e di amaro, è bene ascoltare. Quello di Mel Gibson è un film che ti ferisce per la durezza della sua denuncia (non tanto della violenza delle scene), ma poi non ti lascia, come tanti moralismi, preda dei rimorsi, dell’angoscia, dei sensi di colpa. In cosa consiste questo monito di Gibson? Il mondo è finito. Non, “è la fine del mondo”, ma “un certo mondo è finito”. Non è nelle sue intenzioni dirimere la questione nei dettagli, né fare un analisi della situazione. Per questo ci sono i documentari e le tavole rotonde. Gibson di mestiere fa il regista e adopera il linguaggio televisivo, con i suoi limiti e con la sua immediatezza, per comunicare qualcosa. “Il tuo mondo è finito” è l’espressione di una bambina che ha dinanzi a sé uno dei predoni più feroci. Una bambina affetta da un morbo e quindi totalmente inerme. Ha la sola forza della verità: “il tuo mondo è finito”, gli dice. Il sacerdote maya riprende questa convinzione, evidentemente diffusa, e rivolto al popolo raccolto per i sacrifici umani espiatori per ingraziarsi Dio, dice: “Dicono che siamo vuoti e marci, ma non è così. Noi siamo forti”. E per affermare questo, per alimentare l’illusione della forza, uccide e sacrifica. E’ convinto non solo di essere forte, ma di avere dalla propria Dio. Il vuoto genera rabbia. La debolezza diventa arroganza. L’inconsistenza diventa violenza. E così il sacerdote per affermare la propria forza, domina, uccide, rende schiavi. Come non vedere in questa descrizione il nostro mondo occidentale? Proprio sabato scorso il Santo Padre ha detto “L’Europa rischia il congedo dalla storia”. Come non vedere che ciò che si vuol caricaturale siamo noi? Siamo noi quel mondo che sta per finire. La paura ci ha riempito l’anima e la sta già divorando. Il nichilismo, il vuoto interiore, il marcio è ciò che lambisce ormai ogni riva del cuore. In questi giorni si parla di emergenza educativa. Qual è l’oggetto della questione? E’ che i nostri giovani non hanno consistenza, sono vuoti, non hanno ideali. Spenti dal troppo niente che hanno. Arresi dal cinismo e dall’indifferenza cui sono circondati quotidianamente. Derubati dalla possibilità che le cose, persino l’amore, la realtà più bella e desiderabile, abbiano una plausibile consistenza. E la conseguenza di questo è sotto l’occhio di tutti: violenza e rabbia, bullismo e rigurgiti di vecchie ideologie che pensavamo passate. E la questione dell’educazione, non è forse la questione degli educatori? I giovani privi di valori non sono, in fondo, una denuncia per un mondo di adulti non più capaci di comunicare la bellezza del vivere, il senso della vita, il valore della conquista e della costruzione del mondo? Non è che abbiamo sacrificato all’altare del denaro, dell’arrivismo, del potere e del piacere il nostro cuore? La questione religiosa non è emergente nel film se non per la strumentalizzazione che ne fa il sacerdote maya. Non è, tuttavia, lontano dal pensiero del regista che il nostro mondo mettendo da parte Dio, si prepara a mettere da parte se stesso. Anzi mettendo da parte Dio, relega negli scantinati la dignità dell’uomo e quindi ultimamente “si è distrutta dall’interno”. Ecco di cosa parla il film, al di là e attraverso la bellezza cinematografica delle riprese nella foresta amazzonica e il coinvolgimento emotivo per un inseguimento mozzafiato. Quale risposta abbozza il regista? Il regista lascia rispondere il protagonista Zampa di Giaguaro: “Dobbiamo andare nella foresta, per cercare un nuovo inizio”. Occorre ri-iniziare. Nella barbaria più dirompente, nella circostanza più disperata è possibile sempre ricominciare. E d’altra parte se una società – potremmo dire – se la Chiesa stessa non si ricostruisce, non si reiventa di nuovo, diventa stereotipo, ideologia, affermazione di sé e quindi, in definitiva, prepotente, violenta, arroccata e arrogante…come chi scalcia per difendersi! La Chiesa usa la parola “rievangelizzazione”, non per dire qualcosa di nuovo, per annunciare di “iniziare nuovamente” a credere nel medesimo Vangelo di sempre. I Santi, da San Benedetto (con i suoi monasteri nel mezzo delle macerie dell’impero romano) a San Francesco (“và e ripara la mia casa) hanno sempre ricostruito la Chiesa e il mondo. Un nuovo inizio è possibile, tornando a scoprire ciò da cui si viene. La foresta là dove il padre di Zampa di Giaguaro era cacciatore e prima di lui i suoi avi. La ricostruzione non avviene nella demolizione e nell’erezione di un edificio nuovo. No, il rinnovamento avviene sempre tornando alle radici di sé, riaderendo più compiutamente e più radicalmente alla propria storia.