12 Maggio Roma : Family Day

Libertà e persona promuove la partecipazione al Family Day e invita quanti volessero aderire a compilare il modulo di adesione al più presto. La nostra associazione da sempre ritiene che la Famiglia sia un bene primario da tutelare e promuovere perché fondamento della nostra società. Questo non significa disprezzare coloro che la pensano in modo diverso, o peggio ancora essere “omofobici”, ma c’è sostanziale differenza tra il rispettare le differenze individuali e il promuoverle come paradigma sociale. Noi riteniamo che i diritti individuali di tutti vadano salvaguardati sempre, ma la famiglia, va non solo salvaguardata nei suoi diritti, ma supportata e sostenuta poiché senza una famiglia forte la società inevitabilmente si sgretola. E’ per questo che vi invitiamo a partecipare a Family day, perché riteniamo giusto ribadire che la famiglia non si discute.

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Putin, la Russia e il mondo.

Un sasso nello stagno Putin avverte il mondo di Fulvio Scaglione
Le tensioni che in questo periodo scuotono i rapporti tra Russia, Polonia, Estonia, Repubblica Ceca e Usa possono sembrare improvvise solo a chi negli ultimi quindici anni sia vissuto sulla luna. Era anzi inevitabile che si arrivasse a questo show down, nel punto in cui s’incontrano e si scontrano due moti opposti: l’avanzata verso Est dell’influenza americana, l’espansione verso Ovest dell’ambizione russa, spinta dalla ripresa economica. Oggi si discute dello “scudo spaziale” da installare in Polonia e nella Repubblica Ceca, ma ieri si litigava su Ucraina, Georgia e Moldavia, l’altro ieri sulla Belorussia vicina a Mosca e sull’Azerbaigian vicino a Washington, prima ancora sugli oleodotti da tracciare nel Caucaso. Per non parlare della Cecenia: gli Usa la considerano la grande palestra del neo-autoritarismo russo, in Russia molti sono convinti che proprio gli Usa abbiano soffiato, per interposta Arabia Saudita, sul fuoco dell’irredentismo ceceno.
Una citazione ormai frusta dice che “le grandi potenze non hanno ideali ma solo interessi”. C’è in questo caso una paradossale inversione dei termini: gli ideali, i valori ci sono ma sembrano solo complicare le cose. Prendiamo la polemica tra Estonia e Russia sul monumento all’Armata Rossa: per gli uni l’esercito sovietico fu uno strumento di dominio imperialista, per gli altri il primo liberatore dal nazismo di quella parte di Europa. Hanno ragione entrambi. Sarebbe forse più semplice se la Russia potesse dire che detesta la politica filo-occidentale dell’Estonia, e questa potesse ammettere che il gasdotto russo-tedesco che la taglierà fuori dai diritti di transito è una vera doccia fredda. Altrettanto vale per la polemica sullo scudo spaziale. Ha ragione Condoleezza Rice quando dice: “E’ ridicolo pensare che dieci intercettori e qualche radar possano minacciare il deterrente strategico sovietico (così, ma voleva dire russo, n.d.r)”. Ma è anche ridicolo sostenere, come invece fa la Rice, che l’Iran o qualche altro Stato canaglia (la Siria? La Corea del Nord?) voglia bombardare la Polonia, quella stessa Polonia che non perde occasione per polemizzare con Mosca. E se intercettori e radar fossero schierati in Messico o in Canada, come reagirebbero gli Usa, che considerarono persino l’isoletta di Grenada una minaccia alla sicurezza nazionale?
Parlando di rischi di “distruzione reciproca”, minacciando di congelare il Trattato sulle armi convenzionali in Europa, riesumando toni da Guerra Fredda, Putin ha voluto gettare un sasso, anzi un masso, nello stagno. Ha sollevato molti spruzzi, cioè ha raggiunto il suo scopo. L’Occidente stenta a capire che la Russia non è più quella del 1999, quando la Nato iniziò le operazioni in Kosovo senza neppure avvertire il Cremlino e il premier Evgenyj Primakov, che stava volando verso Washington per una visita di Stato, girò l’aereo e tornò a Mosca, facendosi anche un po’ ridere dietro. Oggi la Russia ha i mezzi e soprattutto la volontà per chiedere considerazione e rispetto e per respingere quel “mea culpa” continuo che da più parti le si chiede per i pure enormi misfatti sovietici. Putin non è un tenero e la sua idea di democrazia somiglia poco alla nostra. Ma alla sua Russia, così assertiva e convinta, almeno un merito bisogna riconoscerlo: quello di ricordare a tutti che, tra Usa, Russia, Cina, India e altre grandi e medie potenze emergenti, viviamo in un mondo sempre più plurale. Organizzarlo a senso unico può essere forse una pretesa, non necessariamente una buona idea.
Avvenire, 28 aprile.

Come funziona il finanziamento alle scuole cattoliche.

Qualcuno sta raccogliendo firme in Trentino contro il finanziamento alle scuole non statali attuato in una certa misura dalla Provincia Autonoma di Trento. Di fronte a questo fatto va precisato quanto segue:
1. Le Scuole Cattoliche offrono un servizio educativo che ottiene da sempre, da parte delle famiglie e di moltissimi esperti anche non cattolici, ampi riconoscimenti circa la qualità e l’efficacia dei risultati conseguiti.
2. Esse offrono un autentico ‘servizio pubblico’, in quanto rivolto a tutti i cittadini che, condividendone metodi e finalità, decidono di avvalersene. In questo senso è servizio pubblico non quello che è gestito necessariamente dallo Stato, ma quello che, qualunque sia l’ente che lo gestisce, risponde alle esigenze dei cittadini con competenza, correttezza ed efficacia; per questo ottiene da sempre la qualifica di servizio pubblico ogni ristorante, bar, negozio, farmacia, ospedale, struttura sportiva, culturale, assistenziale, etc. che svolga correttamente il proprio servizio ai cittadini che intendono servirsene.
3. La nostra Provincia spende ogni anno 8800 euro per ogni alunno delle scuole superiori statali, per coprire tutti i costi del servizio offerto. Agli alunni delle scuole non statali viene corrisposta una cifra notevolmente inferiore, cioè 3200 euro, alla quale gli alunni stessi devono aggiungere una retta annua per la copertura del disavanzo. In questo modo la Provincia risparmia 5600 euro all’anno per ogni alunno che non frequenta le proprie scuole: più alunni frequentano le scuole non statali e più l’ente pubblico risparmia.
4. Gli alunni delle scuole cattoliche versano una retta annua di circa 1400 euro. Ciò significa che la scuola che frequentano ha a disposizione un budget per ogni alunno complessivo di 4600 euro (cioè i 3200 della Provincia più i 1400 dell’alunno stesso), con il quale deve coprire tutte le spese. I fatti dimostrano che queste scuole, pur avendo dunque un budget per studente che è quasi la metà di quello delle scuole statali, offrono un servizio completo e molto spesso anche integrato da corsi aggiuntivi e da una particolare attenzione alle necessità dei singoli alunni.
5. Ciò dimostra che quando una istituzione scolastica è gestita da un soggetto liberamente costituito da persone che condividono uno stesso progetto educativo e culturale (famiglie, insegnanti, comunità) è in grado di utilizzare al meglio le proprie risorse e che è dunque pieno interesse dello Stato favorire in ogni modo questa iniziativa della società e delle persone, senza sostituirsi ad esse. In base al principio di sussidiarietà infatti la comunità civile deve sostenere il più possibile l’iniziativa che sorge dalle comunità che vivono al suo interno.
6. In ogni caso noi non chiediamo tanto che vengano finanziate le scuole cattoliche, ma che ad ogni famiglia venga riconosciuto il diritto di spendere il proprio “buono scuola” (cioè gli 8800 euro che la Provincia o lo Stato spendono ogni anno per ogni alunno) nella scuola che liberamente sceglie, statale o non statale che sia. Chi vuole spendere questo budget – che giustamente la società civile stanzia per l’educazione di ogni suo membro – in una scuola statale lo faccia, chi vuole spenderlo in un’altra scuola non statale lo faccia. Noi crediamo che i genitori insieme con i loro figli sappiano fare le loro scelte e che nessuno abbia il diritto di impedirglielo imponendo economicamente strade obbligate. E’ evidente che molti, che non vogliono questa libertà, hanno un interesse ideologico legato ad una concezione statalista della società, accanto a coloro che vogliono difendere interessi corporativi irragionevoli; costoro dovrebbero considerare che la libertà di educazione è in realtà vantaggiosa per gli operatori del settore oltre che per gli utenti, per la dinamica di intrapresa, responsabilità e collaborazione che mette in moto.
7. E’ bene riflettere sul fatto che con 8800 euro una scuola come l’Arcivescovile o qualsiasi altra seria istituzione scolastica potrebbe fornire agli alunni non solo l’ordinaria attività didattica, ma anche donare ad ogni alunno un computer portatile per l’elaborazione di tutta la documentazione oggi disponibile per via informatica per tutte le materie e regalare ogni anno un soggiorno-studio linguistico di 45 giorni all’estero, e ancora avanzare un migliaio di euro, senza oltretutto richiedere alcuna retta alle famiglie.
8. Chiediamo che lo Stato svolga la sua funzione soprattutto come garante della correttezza e della legittimità delle istituzioni scolastiche che si propongono alle famiglie. Ciò significa che tocca allo Stato fissare gli obiettivi essenziali che ogni scuola deve far raggiungere agli studenti che la frequentano (per esempio: l’alunno di un liceo scientifico deve sapere svolgere un certo elenco di operazioni matematiche, deve conoscere un certo elenco di opere letterarie, storiche, filosofiche, scientifiche, religiose, sociologiche, etc) e deve controllare che ciò venga effettivamente realizzato e che tutto si svolga nel rispetto delle normative di sicurezza, privacy, libertà, correttezza, professionalità, etc., a tutela di ogni cittadino. Non vogliamo quindi sminuire in nessun modo il ruolo dello Stato, ma far sì che sia al servizio dei cittadini e non posto come limite alla loro giusta iniziativa.
9. Chiediamo a tutte le famiglie cristiane e anche a tutte le altre di considerare seriamente la possibilità di utilizzare il servizio offerto dalle scuole cattoliche, sia quelle ufficialmente tali e sia quelle di chiara ispirazione cristiana. L’educazione dei figli è un compito da mettere in primo piano, di fondamentale importanza per il futuro della società: esso merita quindi dei sacrifici e chiede di essere portato avanti insieme.
10. Chiediamo a tutti di farsi promotori di questa esigenza veramente basilare per la libertà e lo sviluppo della nostra società e di tutti i suoi cittadini e per l’azione stessa della comunità cristiana nel mondo. Come diceva giustamente un grande educatore del nostro tempo: “toglieteci pure tutto, ma lasciateci la libertà di educare”.
Centro Decanale di Pastorale Scolastica – Rovereto

Il nunzio apostolico in Israele e Tornielli sul caso Pio XII.

La notizia che il nunzio della Santa Sede in Israele, mons. Antonio Franco, non andrà domenica alla cerimonia per la commemorazione della Shoà al museo Yad Vashem(lunedì 16 è il giorno in cui Israele ricorda appunto l’Olocausto) è oggi sulle prime pagine dei giornali italiani.
Al centro della controversia, una didascalia sotto la foto di Papa Pio XII proprio nel memoriale della Shoà. In una lettera il nunzio pontificio ha spiegato le ragioni della mancata partecipazione: “La mia assenza non significa mancanza di rispetto per il ricordo e per le vittime di questa tragedia. Lo Yad Vashem sostiene che non si può cambiare la verità storica. Ma ai fatti viene data un’interpretazione contraria a molte altre verità storiche”.
La vicenda dell’annunciata diserzione alla cerimonia ha fatto riesplodere in tutta la sua virulenza la polemica sulla figura e sul ruolo di Papa Pacelli, che viene dipinto dagli autori della didascalia quasi come un fiancheggiatore del nazismo.
Per Andrea Tornielli, vaticanista del quotidiano Il Giornale e storico di Papa Pacelli (il prossimo 22 aprile esce per i tipi di Mondadori Pio XII, un uomo sul trono di Pietro, una ponderosa biografia di 660 pagine contenente molti documenti inediti), data la situazione è sacrosanto che mons. Franco non vada alla cerimonia.
Tornielli, nel testo dello Yad Vashem si ripropongono i silenzi (e l’ignavia) di Pio XII…
La didascalia sotto la foto contiene diverse inesattezze. Si dice che il Papa abbia nascosto un’enciclica redatta dal suo predecessore, nella quale si toccavano i temi dell’antisemitismo… Bisognerebbe dire invece che per fortuna non l’ha pubblicata, perché proprio quella lettera conteneva accenni antisemiti. Si dice che non ha protestato, denunciato… Ma nel 1942 in un radiomessaggio parlò di moltissime di persone che “senza colpa propria solo a motivo della nazionalità” venivano condotte a morte. Si dice che nell’ottobre del 1943 non intervenne in alcun modo… ? documentato che fece tre interventi, e grazie a padre Pancrazio Pfeiffer, superiore generale dei salvatoriani, riuscì a intervenire sulle autorità militari tedesche per fermare la razzia nazista nel ghetto di Roma.
La didascalia afferma ancora che Papa Pio XII non diede direttive al clero… ? invece attestato e documentato anche attraverso testimonanze, che Papa Pacelli ordinò ai conventi di Roma di accogliere gli ebrei nell’ottobre 1943.
Nei libri scritti da lei su Pio XII, penso in particolare a Il Papa che salvò gli ebrei, si denunciano menzogne, omissioni ed eclatanti svarioni….
Viene coltivata una leggenda nera che tende a presentare Pio XII come filo nazista e antisemita. Oggi grazie a qualche ricerca più recente siamo in grado di capire che questi attacchi vengono dalla Russia e da ambienti del cattolicesimo progressista francese. Dietro la campagna di accuse contro Pio XII, culminata con l’uscita del dramma Il Vicario di Rolf Hochhuth rappresentato per la prima volta a Berlino nel 1963, ci sarebbe stato direttamente il Kgb e un’operazione di disinformazione gestita dai servizi segreti della Romania per conto di Mosca e finalizzata a screditare la Santa sede. L’Unione Sovietica non aveva perdonato a Papa Pacelli il grande e personale impegno profuso nel 1948 per impedire la vittoria del fronte social-comunista in Italia. Sul fronte opposto, sappiamo anche che Hitler e i nazisti lo consideravano proprio avversario. Sono attestati i contatti di Pio XII con un gruppo inglese per cercare di abbattere Hitler.
Gli storici israeliani chiedono con insistenza l’apertura degli archivi segreti vaticani. C’è ancora qualche verità da raccontare?
Si tratta di una richiesta del tutto pretestuosa e a senso unico. Si è parlato recentemente di una lettera con presunte rivelazioni di Roncalli a un dignitario ebraico… Materiale che si troverebbe in archivio in Israele e che non viene reso noto… Un archivio viene aperto quando il materiale è catalogato e consultabile, un lavoro immane ed enorme. Finora il Vaticano ha aperto l’archivio segreto fino a tutto il pontificato di Pio XI e non è ancora disponibile il pontificato di Pio XII. Ma bisogna ricordare che Paolo VI, dopo le accuse contenute nel “Vicario”, volle pubblicare tutti i documenti del periodo della seconda guerra mondiale. Quindi quello che c’è da conoscere sull’opera caritativa della Chiesa e di papa Pacelli negli anni della Shoà e in favore degli ebrei, è disponibile. Si tratta di una enorme mole di documenti che nessuno legge. Men che meno gli storici dello Yad Vashem.
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Milano – Siria. Largo alle donne!
Milano – Profilo. Il vescovo anglicano Suheil Dawani
Gerusalemme – Nel nome di san Lorenzo
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La Ru 486 e il Trentino.

Riportiamo una lettera comparsa sul Trentino.
Leggiamo continuamente notizie riguardanti l’uso della pillola RU486 e l’operato del prof. Arisi in materia di aborti farmacologici all’Ospedale S. Chiara. Questa volta si tratta di ben 178 aborti nel primo anno di sperimentazione clinica della pillola.
Per di più, per l’ennesima volta, viene affermato che questo metodo farmacologico non presenta significative controindicazioni. Il primario di ostetricia e ginecologia prof. Arisi afferma infatti: “Abolita l’anestesia e la sala operatoria, le prospettive di salute della donna che pratica l’aborto farmacologico possono essere solo positive”. Su quali basi Arisi dichiara che le prospettive possono essere solo positive? Solo sulle sue sperimentazioni? O su una letteratura scientifica ormai ampia e ben documentabile? E se vi è tale letteratura, quali ne sono i documenti?
Inoltre, ci lascia alquanto perplessi la presenza di un questionario in fase sperimentale, in cui si evidenzia il fatto che le donne consiglierebbero ad un’amica la procedura farmacologia.
La realtà sulla RU486 è però ben più complessa di quanto si voglia far credere. Citiamo, per l’ennesima volta, in brevità alcuni dati scientifici su questo delicatissimo tema. Un recente studio condotto da Centers for Disease Control and Prevention, ad Atlanta negli USA, descrive i casi di 4 morti dovuti ad endometriosi e sindrome da shock tossico associato al batterio Clostridium sordellii, casi verificati nella settimana successiva all’aborto chimico. Inoltre aggiunge alcuni effetti collaterali, come tachicardia, ipotensione, edema, vischiosità del sangue, profonda leucocitosi (M. Fischer, J. Bhatnagar, J. Guarner, et al., in “New England Journal of Medicine”, Dec. 2005).
Ma soffermiamoci sull’effetto letale. Nel settembre 2003 in California muore Holly Patterson, una giovane diciottenne, a causa di shock anafilattico. Il 19 luglio 2005 la Food and Drug Administration (FDA), l’ente di controllo sui farmaci degli USA, ha reso di dominio pubblico “quattro casi di morti settiche negli Stati Uniti, in particolare in California, fra settembre 2003 e giugno 2005, a seguito di aborto medico con RU486”, i quali si vanno ad aggiungere ad un caso analogo accertato nel 2001 in Canada.
Il 17 marzo 2006 (solo un anno fa!) la FDA ha reso noto che altre due donne statunitensi sono morte dopo aver assunto la pillola RU486 (cfr.: www.fda.gov/cder/drug/infopage/mifepristone/default.htm). Inoltre, si noti che le morti di queste donne nordamericane sono venute alla luce perché i parenti hanno chiesto delle autopsie sui cadaveri per capire le ragioni del decesso improvviso. Perciò, è legittimo supporre che le morti da RU486 potrebbero essere molto più numerose, anche al di fuori dagli USA. Infine, il prof. Greene, direttore di ostetricia al Massachusetts General Hospital di Boston, in un editoriale pubblicato sulla rivista “New England Journal of Medicine” (1 Dec. 2005), una delle più prestigiose a livello mondiale, dimostra che a parità di età gestazionale, la mortalità della donna per aborto con RU486 è 10 volte maggiore rispetto a quella con tecnica chirurgica.
? la stessa Danco, industria produttrice della pillola, a pubblicare nel suo sito, per obbligo legale, oltre 600 casi di donne che lamentano fortemente gli effetti collaterali della pillola.
Inoltre, mentre il 92% delle donne che si sono sottoposte all’aborto chirurgico sceglierebbe di nuovo questa tecnica in futuro, solo il 63% delle donne che si sono sottoposte all’aborto chimico sceglierebbe ancora questa metodica, segno che l’aborto chimico “non possiede in sé quei caratteri di indubitabile maggiore tollerabilità psicologica” (M. D. Creinin, in Contraception, Sept. 2000).
Dunque, su quali basi si può affermare di poter consigliare ad una donna la pillola RU486? Forse su basi scientifiche, oggettive, che possano andare bene per tutte le donne? O forse unicamente su basi soggettive, istintive, emotive, e quindi non univoche per tutte?
Soffermandosi sul fallimento del metodo e gli effetti collaterali riscontrati nell’uso della pillola, il prof. Arisi afferma poi: “…solo l’esperienza ci potrà dare più approfondite indicazioni”. Quanta poca considerazione delle donne nasconde tale dichiarazione! Quante donne si dovranno ancora “usare” prima di poter dichiarare finita la sperimentazione e dirsi sicuri della non pericolosità della RU486?
Sconcertante, d’altra parte, il dato che solo il 67% delle donne che hanno utilizzato la RU486 sia stato mandato dai consultori familiari, mentre un certo numero è passato per il medico di fiducia e per il pronto soccorso!
Che semplicistico, infine, leggere l’uso della locuzione “materiale abortivo”! Trattare vite umane innocenti e indifese, quali appunto i bambini in grembo (vedi ecografia), come materiale abortivo esprime la più grande intolleranza nei confronti del prossimo, senza specificare che anziché scomparire nel nulla, finisce nel water!
Il Movimento per la Vita vigila e vigilerà attentamente l’andamento delle pratiche abortiste che vengono utilizzate e promuoverà le opportune azioni in sede civile e penale per le eventuali violazioni delle leggi attuali in materia di sanità ed aiuto alla maternità.
Sandro Bordignon, presidente Movimento per la Vita-Trento
e-mail: sandrobordi@interfree.it
Mauro Sarra, componente direttivo MpV-Trento

Padre Tomas Tyn e la Verità immutabile.

Di Mattia Tanel, dei giovani di Libertà e Persona.
“L’obbligo di onorare Dio e di sottomettersi alla Sua Parola non cambia con il mutare dei tempi”.
P. Tomas Tyn O.P.
Sono tempi di soggettivismo e autodeterminazione, come ognun vede, anche all’interno della Chiesa cattolica. L’ideologia modernista, che ha spadroneggiato negli ultimi decenni, ha abituato i fedeli a costruirsi ognuno la propria religione personale, individualisticamente sostenibile, correggendo allegramente il dogma e specialmente la morale a misura delle proprie esigenze e delle proprie insindacabili opinioni. I cattolici più profetici, che sono anche fini esegeti, hanno scoperto che tutti i passi della Scrittura che non corrispondono ai “segni dei tempi” sono “interpolazioni tardive”, e quindi, “al giorno d’oggi”, non possono più impegnare la coscienza di nessuno.
In questo contesto, una frase come quella riportata sopra può fare un certo effetto. Ma per Padre Tomas Josef M. Tyn (1950-1990), domenicano e filosofo, si tratta semplicemente della prima applicazione del principio di non contraddizione: se una cosa è stata vera, lo sarà sempre. Se una cosa non è vera adesso, significa che vera non lo è stata mai, e quindi tanto vale salutarci. La verità è sempre uguale, sempre se stessa, anche laddove non fosse professata da alcuno. Tutto ciò comporta un immediato corollario pratico: se in un dato frangente storico vi è una scollatura tra le opinioni o i comportamenti diffusi nella società e la verità immutabile, sono le opinioni e i comportamenti a doversi uniformare alla verità immutabile, non viceversa. La vocazione di sacerdote, di pensatore e di apostolo di Padre Tomas – come quella di ogni vero sacerdote, pensatore e apostolo – si fonda su questi presupposti logici indubitabili.
Tomas Josef M. Tyn nasce a Brno, in Cecoslovacchia, il 3 maggio 1950. Dai suoi genitori, entrambi medici, eredita una fede ardente e un’intelligenza vivissima: cose entrambe non particolarmente gradite al regime comunista che allora opprime la sua patria. Tomas frequenta i corsi elementari e medi nella città natale, entusiasmando i suoi professori, e grazie ad una borsa di studio e ai buoni uffici dei genitori può abbandonare la Cecoslovacchia – benchè sorvegliato dal regime, come tutti gli studenti – per frequentare l’Accademia di Digione e conseguirvi il baccellierato il 1? luglio 1969.
Diventa progressivamente sempre più evidente che i talenti che il Signore ha donato a Tomas sono eccezionali. E’ inclinato soprattutto alla speculazione teoretica e alle lingue, anche orientali o antiche come il greco, l’ebraico e il latino. Parla perfettamente almeno quattro idiomi europei, e grazie ad una memoria prodigiosa giungerà a citare ordinariamente nella conversazione interi brani di filosofi nella rispettiva lingua originale. Affascinato dall’ideale domenicano di studio, contemplazione e diffusione appassionata della verità, il 28 settembre 1969 prende l’abito dell’Ordine dei Predicatori a Warburg, in Vestfalia, dove svolge il noviziato. Il 29 settembre 1970 fa la professione semplice, e inizia il corso istituzionale filosofico-teologico nella Provincia di Teutonia.
A questo punto sopraggiunge una difficoltà. Dal 1962 al 1965, a Roma, si è svolto il Concilio ecumenico Vaticano II, e l’intera cattolicità sembra preda di quella che Paolo VI definisce all’incirca in questo periodo con il termine molto appropriato di “autodemolizione”. Nei seminari e nelle università cattoliche l’eresia modernista, variamente camuffata, dilaga, con tutto il suo seguito di irrazionalità ed errori filosofici e teologici. La Provincia di Teutonia purtroppo non fa eccezione, ma Tomas è troppo sveglio per non subodorare le dotte fregnacce che molti insegnanti gli propinano: così, disorientato, “fugge” a Bologna nel 1973, dove è maestro dei novizi il suo connazionale padre Jir? Vesely O.P., e può completare serenamente i suoi studi con il lettorato-licenza presso le spoglie mortali di San Domenico di Guzman, conservate nell’omonima, magnifica Basilica adiacente al convento dello stesso Ordine dei Predicatori.
Con quali apparenze si presenta il giovane, ma già forte e maturo Tomas? Fisicamente è di statura alta, complessione massiccia, ha il viso largo degli slavi e una fronte spaziosa, delimitata da corti e sottili capelli biondi. Gli occhi, come risulta dalle foto che ci sono rimaste, sono azzurri ed esprimono una serenità, una speranza e un amore profondi. “L’aspetto di forza e sicurezza contrasta con il suo atteggiamento: uno sguardo diretto e penetrante ma modesto e sereno, un piglio deciso ma attentissimo alla sensibilità e comprensione dell’interlocutore, una voce maschia e potente ma dal tono dolcissimo, sempre pronta a tacere per ascoltare”. Nonostante le proprie qualità superiori, di cui sembra non avvedersi, è umilissimo e disponibile, sempre semplice e gioioso e benvoluto da studenti e professori. E’ devotissimo alla Vergine Maria e, da vero figlio di San Domenico, alla pratica del Santo Rosario, che raccomanda e diffonde in ogni occasione.
Il 29 giugno 1975, solennità degli apostoli S. Pietro e S. Paolo, a Roma, Paolo VI lo ordina sacerdote. Durante la cerimonia, tenendo il fatto nascosto a tutti fuorchè a un confratello (che lo rivelerà solo dopo la sua morte), Tomas offre la sua vita in sacrificio a Dio per la libertà della sua patria. Vedremo in seguito in quale modo l’offerta, così preziosa, si rivelerà gradita al Padrone della messe.
Conseguito nel 1978, ancora a Roma, il dottorato in Sacra Teologia, con una tesi fortemente incentrata sulla dottrina del veneratissimo San Tommaso d’Aquino, Padre Tyn torna a Bologna come professore di Teologia Morale presso lo Studio Teologico Accademico Bolognese. Anche nelle vesti di insegnante, naturalmente, si rivela un fuoriclasse. Nei dodici anni successivi insegnerà praticamente tutto, dalla metafisica alla logica, dalla teologia morale alla storia della filosofia, “sempre in modo semplice e teso ad ottenere comprensione da tutti i discenti e suscitare in loro passione per la Verità: di questo impegno imponente (e massacrante!) ci restano centinaia di musicassette capaci ancora oggi di entusiasmare chi le ascolta”. Scrive anche alcuni articoli per varie riviste, ma dedica il suo impegno di professore soprattutto alla preparazione accuratissima delle lezioni. Nei pochi ritagli di tempo a sua disposizione, anno dopo anno accumula gli ardui capitoli della sua opera principale, “Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis”, un tomo di quasi mille pagine che percorrono l’autodecretata dissoluzione della ragione moderna per giungere ad una nuova affermazione della liceità e della necessità del pensiero metafisico. Poco prima di morire consegnerà i dischetti contenenti le ultime sezioni dell’opera ai suoi superiori, che ne cureranno la pubblicazione postuma (Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1991).
La vita conventuale e il ministero sacerdotale di Padre Tomas si svolgono sotto il segno di una fervente dedizione, di un gioioso senso di appartenenza e della più umile disponibilità verso i superiori, i confratelli e i semplici fedeli, sempre più numerosi, che si affidano al suo consiglio e alla sua direzione spirituale. La sua obbedienza e riverenza verso la Chiesa, il Papa e la gerarchia è fuori discussione: non può giustificare, come si esprime in un’omelia, “chi continua a definirsi cristiano pur battendo il petto non già a se stesso, ma preferibilmente alla Santa Chiesa di Dio”. Non disdegna, come purtroppo alcuni oggigiorno fanno, anzi ama e pratica l’ascesi: è poverissimo, anche nel vestiario rattoppato ma sempre lindo, e “la sua castità è perfetta: guarda dritto negli occhi l’altro sesso e lascia avvicinare alla distanza inferiore al metro solo le signore di cui è certissimo dei costumi. Ai penitenti di sesso maschile suggerisce: dovete vedere, parlare e trattare ogni donna come se fosse la Vergine Maria!”.
Padre Tomas è un predicatore formidabile. La sua voce è potente, tanto da non avere bisogno di microfoni; il suo italiano perfetto, la pronuncia resa un po’ densa dall’accento moravo; l’incedere ora lineare e minuto, occasionato dalle frequenti sintesi teologiche, ora veemente e appassionato, tutto teso alla conversione dell’uditore e alla monizione fraterna. Molti, al sentirlo, credono. Le registrazioni che ci sono rimaste delle sue omelie lasciano ipnotizzati, tanto è coinvolgente l’amorevole e santo fervore che ispira la successione serrata dei sillogismi, condotti a termine senza il minimo sconto alla Verità:
“Che cosa vuol dire questo, cari fratelli? Se noi seguiamo Maria, la colonna di fuoco che ci guida nel buio di questa terra, di questo pellegrinaggio lontani dal Signore, dobbiamo anzitutto stare nella Verità perché solo la Verità ci libererà, la Verità, cari fratelli, non è il pensiero debole, la verità con la v minuscola, no, la Verità dobbiamo avere il coraggio di sbandierare, la Verità con la V maiuscola, cari fratelli, la grande Verità, la prima Verità, l’increata Verità, la Verità della pienezza dell’Essere, la Verità che è Dio!
Ecco, cari fratelli, da quale parte dobbiamo stare. Ora se noi siamo di Dio, guidati dal suo Cristo, la prima cosa che dobbiamo fare è avere il coraggio di distinguere luce e tenebre, vero e falso, bene e male. Pensate alla profezia di Isaia, il quale preso dal raptus profetico, con grande sofferenza del cuore, diceva il suo “guai!”. I profeti non amavano parlare così e nemmeno io, lo sapete anche voi che siete buoni, è la realtà che non è buona, come noi ce la troviamo dinanzi; i profeti neppure parlavano volentieri, ma lo facevano per amore della Verità e per amore di Dio parlavano così.
Allora Isaia dice: guai a voi, guai a loro che mescolano il bene con il male, il vero col falso, il dolce con l’amaro. Ecco l’eresia vera dei nostri tempi, cari fratelli, se voi al giorno di oggi parlate di Verità con quella buona, bella, sconcertante, disarmante ingenuità cristiana, io ci tengo, è un dolce e amaro nel contempo vedere quelle reazioni, perché sono divertenti sotto un certo aspetto, se voi dite con calma, con semplicità la parola “Verità”, vi guardano come se foste degli alienati mentali, capite, da ricoverare, non si accorgono invece che se non vi è una discriminazione tra il vero e il falso è proprio il caso della follia! Sono i folli che non distinguono il vero dal falso! Ora capite che per decreto legge è abolita la follia, quindi si è abolita anche la distinzione tra il vero e il falso, tra il bene e il male!”.
Padre Tomas può esprimere liberamente le verità di sempre (il che, nella Bologna cattocomunista e dossettiana, non è per nulla scontato) soprattutto per l’attenzione di alcuni suoi superiori e di colui che dal 1984 è Vescovo della diocesi petroniana, il Cardinale (dall’anno successivo) Giacomo Biffi, un Principe della Chiesa “come se ne facevano una volta”. E’ Biffi che concede a Tyn, in barba all’oscurantismo progressista, la possibilità di celebrare la Messa del sabato mattina in Basilica con il rito tradizionale detto di San Pio V. In occasione delle Messe del sabato verranno da tutta Italia ad ascoltare i suoi incitamenti a “diventar santi e gran santi!”, e alcuni si faranno sacerdoti o religiosi.
Degno di nota è il magistero controrivoluzionario che Tyn porta avanti, dal pulpito e non solo. Già nel 1980 Padre Tomas è entrato in contatto con alcuni militanti di Alleanza Cattolica, che gli fanno conoscere un piccolo gioiello, “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione”, capolavoro del peraltro equivoco leader cattolico brasiliano Plinio Correa de Oliveira. E’ una folgorazione. Padre Tomas, che ha conosciuto nella sua infanzia e adolescenza la ferocia della Rivoluzione, l’ottusità delle idee che uccidono, ne fa il proprio livre de chevet. Da allora, “il giovane domenicano non può evitare dal mettere in guardia i suoi figli dai due maggiori pericoli di allora per la fede cattolica: il progressismo intra ecclesiale e il socialismo dilagante, anche nel mondo occidentale. Se in confessionale Padre Tyn sussurra dolcemente fin quasi a bisbigliare, all’Omelia la sua voce tuona: bisogna respingere non solo il comunismo esplicito, ma quello in qualche modo implicito! Pensate alle forme pericolose del sinistrismo radicale: si vuole creare una mentalità schifosa, una mentalità che esalta il fango contro il cielo!”.
Nel 1989-90, l’antica offerta del ’75 viene dal Signore accettata. La Cecoslovacchia si ribella, e Padre Tomas si ammala gravemente; il comunismo sovietico crolla, e lui viene richiamato a Sè dal Padre il 1? gennaio 1990, a soli 39 anni. “Impressionanti certe coincidenze: all’inizio e ai primi accenni della rivolta popolare in Cecoslovacchia (estate 1989) P. Tomas accusa i primi dolori lancinanti del male. Quando la Cecoslovacchia riprende il cammino della libertà e la Chiesa ritrova la via della libertà (inverno 1989), P. Tomas, dopo lunghe sofferenze, conclude la sua immolazione (gennaio 1990)”.
Le parole che lo ricordano meglio sono, forse, queste sue proprie, tratte da un articolo:
“Di chi, senza colpa, non poté udire la predicazione del Vangelo si incaricherà Dio stesso. Certo, nemmeno costoro si salvano senza la fede, almeno implicita e misteriosamente comunicata dall’alto. Epperò, più che pensare a come Dio salvi l’umanità, i Cristiani dei paesi largamente evangelizzati dovrebbero meditare piuttosto sulla loro parte del dovere. Che ne sarà di noi, se rifiutiamo la fede così facilmente accessibile? Quali responsabilità abbiamo dinanzi alla società più pagana che ci sia, ovvero pagana dopo essere stata una volta cristiana? Basta che ci compiacciamo di essere “pochi, ma buoni” o dobbiamo fare nostro il mandato di “andare ed ammaestrare tutte le genti”? Dio vuole che siamo democratici non in cose da poco come la politica, ma in ciò che veramente conta qual è la salvezza dell’anima. Questa sì che è una possibilità, anzi, un dovere, uguale per tutti”.
Il processo di canonizzazione di Padre Tomas Tyn O.P. è stato aperto il 25 febbraio 2006 dall’arcivescovo di Bologna (succeduto a Biffi) Carlo Caffarra, nella Basilica di San Domenico.
***
[Quasi tutte le informazioni presenti nell’articolo, citazioni comprese, sono state tratte da qui: http://www.totustuus.biz/users/tyn. Allo stesso indirizzo sono reperibili svariati articoli e trascrizioni di omelie di Padre Tyn. Chi desiderasse un santino di Padre Tyn con la preghiera di intercessione approvata me lo richieda all’indirizzo mattia31@virgilio.it. Sul retro del santino è scritto: “Chi ricevesse grazie per l’intercessione del Servo di Dio, fra Tomas Tyn, è pregato di informare fra Efrem Jindracek O.P., Largo Angelicum 00184 ROMA, oppure fra Giovanni Cavalcoli O.P., vicepostulatore della causa, Convento di San Domenico, Piazza San Domenico 13, 40124 Bologna, tel. 0516400478”.]

Diffusa dalla Cei la nota sui Dico.

Conferenza Episcopale Italiana

Nota del Consiglio Episcopale Permanente

a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio

 e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto.

 L’ampio dibattito che si è aperto intorno ai temi fondamentali della vita e della famiglia ci chiama in causa come custodi di una verità e di una sapienza che traggono la loro origine dal Vangelo e che continuano a produrre frutti preziosi di amore, di fedeltà e di servizio agli altri, come testimoniano ogni giorno tante famiglie. Ci sentiamo responsabili di illuminare la coscienza dei credenti, perché trovino il modo migliore di incarnare la visione cristiana dell’uomo e della società nell’impegno quotidiano, personale e sociale, e di offrire ragioni valide e condivisibili da tutti a vantaggio del bene comune. La Chiesa da sempre ha a cuore la famiglia e la sostiene con le sue cure e da sempre chiede che il legislatore la promuova e la difenda. Per questo, la presentazione di alcuni disegni di legge che intendono legalizzare le unioni di fatto ancora una volta è stata oggetto di riflessione nel corso dei nostri lavori, raccogliendo la voce di numerosi Vescovi che si sono già pubblicamente espressi in proposito. È compito infatti del Consiglio Episcopale Permanente «approvare dichiarazioni o documenti concernenti problemi di speciale rilievo per la Chiesa o per la società in Italia, che meritano un’autorevole considerazione e valutazione anche per favorire l’azione convergente dei Vescovi» (Statuto C.E.I., art. 23, b). Non abbiamo interessi politici da affermare; solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene comune, sollecitati oltretutto dalle richieste di tanti cittadini che si rivolgono a noi. Siamo convinti, insieme con moltissimi altri, anche non credenti, del valore rappresentato dalla famiglia per la crescita delle persone e della società intera. Ogni persona, prima di altre esperienze, è figlio, e ogni figlio proviene da una coppia formata da un uomo e una donna. Poter avere la sicurezza dell’affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di sicurezza e di fiducia nella vita. E questo patrimonio è garantito dalla famiglia fondata sul matrimonio, proprio per l’impegno che essa porta con sé: impegno di fedeltà stabile tra i coniugi e impegno di amore ed educazione dei figli. Anche per la società l’esistenza della famiglia è una risorsa insostituibile, tutelata dalla stessa Costituzione italiana (cfr artt. 29 e 31). Anzitutto per il bene della procreazione dei figli: solo la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni. È quindi interesse della società e dello Stato che la famiglia sia solida e cresca nel modo più equilibrato possibile. A partire da queste considerazioni, riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume. Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile. Queste riflessioni non pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni persona; a tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra sollecitudine pastorale. Vogliamo però ricordare che il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza. Siamo consapevoli che ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive. A questa attenzione non siamo per principio contrari. Siamo però convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare. Una parola impegnativa ci sentiamo di rivolgere specialmente ai cattolici che operano in ambito politico. Lo facciamo con l’insegnamento del Papa nella sua recente Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis: «i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana», tra i quali rientra «la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna» (n. 83). «I Vescovi – continua il Santo Padre – sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato» (ivi). Sarebbe quindi incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto. In particolare ricordiamo l’affermazione precisa della Congregazione per la Dottrina della Fede, secondo cui, nel caso di «un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge» (Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003, n. 10). Il fedele cristiano è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con l’insegnamento del Magistero e pertanto non «può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società» (Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002, n. 5). Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale. Ma è anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica. Affidiamo queste riflessioni alla coscienza di tutti e in particolare a quanti hanno la responsabilità di fare le leggi, affinché si interroghino sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future delle loro decisioni. Questa Nota rientra nella sollecitudine pastorale che l’intera comunità cristiana è chiamata quotidianamente ad esprimere verso le persone e le famiglie e che nasce dall’amore di Cristo per tutti i nostri fratelli in umanità.

Roma, 28 marzo 2007

I Vescovi del Consiglio Permanente della C.E.I.

Il 26 marzo primo incontro del Movimento per la Vita giovani.

Di Mattia Tanel: “Ormai chiunque, in Italia, è al corrente della triste vicenda che ha
avuto come protagonista Piergiorgio Welby. Ma pochi conoscono la storia
di un uomo affetto dalla stessa malattia di Welby, la sclerosi laterale
amiotrofica (o Sla), che di fronte al dolore ha trovato la forza di
valorizzare la propria vita in modo imprevedibile. Quest’uomo è Mario
Melazzini, ematologo di 48 anni, padre di tre figli, presidente dell’
Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica: i giovani del
Movimento per la Vita l’hanno invitato a Trento (l’appuntamento è per
lunedì 26 marzo, ore 20.30, presso il Centro Polifunzionale di via
Prati 10) a raccontare ciò che ha vissuto e provato, insieme a ciò che
pensa riguardo al problema della legalizzazione dell’eutanasia nel
nostro Paese. Anche Melazzini ha sperimentato, come Welby, il desiderio
di farla finita: “Quando mi è stato detto che avevo la Sla [quasi tre
anni fa, ndr], il mio primo pensiero è stato quello di cercare la morte
– ha raccontato al quotidiano Avvenire -. Per un anno e mezzo ho avuto
un chiodo fisso: ricorrere al suicidio assistito. Pensavo solo a me
stesso, a un corpo che stava trasformandosi in semplice involucro,
avevo abbandonato ogni speranza”. Poi (complice la lettura del libro di
Giobbe, raccomandatagli da un amico gesuita), la rinascita. E la
decisione di esporsi anche pubblicamente per affermare che no, la
“buona morte” non è la soluzione giusta per nessuno: “Se le istituzioni
vogliono affrontare in modo concreto i problemi toccati da Welby, non
possono non tenere in considerazione le condizioni in cui vivono le
persone affette da patologie gravi che mantengono inalterate le
funzioni cognitive. Malati prigionieri del proprio corpo, e dipendenti
da macchine per poter vivere, vittime della mancanza di un’assistenza
domiciliare qualificata. Gente che ha assoluto bisogno di essere
assistita da personale preparato e di essere messa nelle condizioni di
non gravare esclusivamente sulla famiglia. Solo così in futuro potranno
diminuire i disperati appelli alla Welby: con il massimo rispetto per
lui, penso alla quotidianità di tanti malati che non hanno la forza, la
voglia, il supporto politico per far sentire la propria voce”. Da
esperienze come la sua, sostiene, “si possono trarre ricchezze
addirittura impossibili da descrivere a parole. Penso alla riscoperta
delle piccole cose, o alla vicinanza di chi ti vuole bene, che ti dà
una forza incredibile”. A coadiuvare la testimonianza di Melazzini da
un punto di vista più tecnico è stato invitato anche don Michele
Aramini, docente di introduzione alla Teologia all’Università Cattolica
di Milano, esperto di bioetica ed autore di un agile libretto dal
titolo “Eutanasia. Spunti per un dibattito” (Ancora 2006). Con questa
conferenza inizia l’attività pubblica della neonata Sezione Giovani del
Movimento per la Vita di Trento”.

La Cogo non risponde mai….

Riportiamo la lettera aperta scritta a Margherita Cogo su L’Adige recentemente dal MpV. La Cogo non ha mai risposto, come sempre…intanto ieri l’Adige ha riportato il caso di una donna costretta a usare la Ru 486 all’osepdale di Trento, contro voglia e con gravi effetti collaterali. “In merito al prestigioso traguardo raggiunto dal prof. Arisi dei 100 aborti farmacologici, si vuole ricordare che il Centro Aiuto alla Vita, nel solo 2006, ha aiutato a far nascere 103 bambini. Stupisce il fatto che si debba sempre leggere notizie relative ai successi ottenuti in fatto di aborti, con sistemi e metodi innovativi, progressisti, moderni, e quando invece si aiuta in maniera concreta una donna a portare a termine la sua gravidanza, senza nessuna scoperta scientifica particolare, se non quella dell’ascolto e dell’aiuto concreto, si passa da persone bigotte. Entrando nel merito di ciò che la vicepresidente Cogo ha affermato: “La pillola RU486, la cui efficacia e sicurezza sono dimostrate da studi scientifici, permette di praticare l’aborto senza pericoli per la salute delle persone”, si può notare come la Cogo utilizzi la solita superficialità con cui si è ormai soliti parlare di aborto e di varie forme di contraccezione. La vicepresidente parla di studi scientifici, ma senza dire quali. Il fatto è che ci risulta che la RU486 non è proprio sicura, come si vuol far credere. Un recente studio condotto da Centers for Disease Control and Prevention, ad Atlanta negli USA, descrive i casi di 4 morti dovuti ad endometriosi e sindrome da shock tossico associato al batterio Clostridium sordellii, casi verificati nella settimana successiva all’aborto chimico. Inoltre aggiunge alcuni effetti collaterali, come tachicardia, ipotensione, edema, vischiosità del sangue, profonda leucocitosi (M. Fischer, J. Bhatnagar, J. Guarner, et al., in “New England Journal of Medicine”, Dec. 2005). Ma soffermiamoci sull’effetto letale. Nel settembre 2003 in California muore Holly Patterson, una giovane diciottenne, a causa di shock anafilattico. Il 19 luglio 2005 la Food and Drug Administration (FDA), l’ente di controllo sui farmaci degli USA, ha reso di dominio pubblico “quattro casi di morti settiche negli Stati Uniti, in particolare in California, fra settembre 2003 e giugno 2005, a seguito di aborto medico con RU486”, i quali si vanno ad aggiungere ad un caso analogo accertato nel 2001 in Canada. Il 17 marzo 2006 (solo un anno fa!) la FDA ha reso noto che altre due donne statunitensi sono morte dopo aver assunto la pillola RU486 (cfr.: www.fda.gov/cder/drug/infopage/mifepristone/default.htm). Inoltre, si noti che le morti di queste donne nordamericane sono venute alla luce perché i parenti hanno chiesto delle autopsie sui cadaveri per capire le ragioni del decesso improvviso. Perciò, è legittimo supporre che le morti da RU486 potrebbero essere molto più numerose, anche al di fuori dagli USA. Infine, il prof. Greene, direttore di ostetricia al Massachusetts General Hospital di Boston, in un editoriale pubblicato sulla rivista “New England Journal of Medicine” (1 Dec. 2005), una delle più prestigiose a livello mondiale, dimostra che a parità di età gestazionale, la mortalità della donna per aborto con RU486 è 10 volte maggiore rispetto a quella con tecnica chirurgica. ? la stessa Danco, industria produttrice della pillola, a pubblicare nel suo sito, per obbligo legale, oltre 600 casi di donne che lamentano fortemente gli effetti collaterali della pillola. Inoltre, mentre il 92% delle donne che si sono sottoposte all’aborto chirurgico sceglierebbe di nuovo questa tecnica in futuro, solo il 63% delle donne che si sono sottoposte all’aborto chimico sceglierebbe ancora questa metodica, segno che l’aborto chimico “non possiede in sé quei caratteri di indubitabile maggiore tollerabilità psicologica” (M. D. Creinin, in Contraception, Sept. 2000). Chiediamo cortesemente alla vicepresidente Cogo di renderci disponibili i dati scientifici in base ai quali lei afferma l’efficacia e sicurezza e non pericolosità della RU486. Per quanto riguarda la considerazione delle donne, ognuno ha la sua. Pensiamo comunque che dietro la RU486 si nasconda una grande ipocrisia: chiudersi nella propria indifferenza e abbandonare la donna a se stessa sotto il pretesto di rispettare il suo arbitrio, non aumentando la sua libertà, ma violentandola nella sua capacità di diventare madre e derubandola della consapevolezza di portare nel suo grembo un figlio. Sandro Bordignon, presidente Movimento per la Vita-Trento e-mail: sandrobordi@interfree.it Mauro Sarra, componente direttivo MpV-Trento