La verità sulla Flotilla? Chi l’avrebbe mai detto!

Flotilla 2025 -Fonte Avvenire

Sulla Flotilla si è ormai già detto tutto, e forse anche troppo. Ma proprio per questo è il momento, a mente fredda, di tirare le somme e fornire un giudizio.

Una certa parte politica ha fatto una propaganda molto divisiva, ma in realtà il quadro, per lo meno in Italia, è piuttosto unitario nel suo sentire: non c’è infatti un solo italiano che sia favorevole all’uccisione di civili in Palestina.

Quindi i tentativi di scatenare una guerra ideologica anche da noi sono del tutto privi di senso e non portano alcun frutto.

Ma al di là degli schieramenti ideologici proviamo con sguardo distaccato a vedere i pro ed i contro della missione della Flotilla.

La nave turca che guidó la Flotilla del 2010, ove furono uccise dieci persone
  • Manifestare il proprio pensiero in situazioni drammatiche di guerra è comunque una forma di libertà e di legittima espressione, specie quando gran parte del mondo dorme, come nel caso della Ue e dell’Onu che hanno adottato pochissime e marginali iniziative;
  • Puntare il dito contro il silenzio o l’immobilismo di molte realtà sparse per il mondo aiuta a comprendere meglio la rete di complicità commerciali ed interessi economici che si muovono attorno allo Stato di Israele, che, bisogna riconoscerlo, ha ramificazioni e potenti influenze in quasi tutte le nazioni;
  • Bisogna inoltre riconoscere il coraggio e lo spirito di corpo dei partecipanti della Flotilla, i quali hanno per settimane sfidato il mare, subito un attacco (per fortuna solo dissuasivo) da droni in acque internazionali, e infine affrontato il blocco navale israeliano, pur sapendo che i precedenti tentativi (come quello della Flotilla della Libertà del 2010) erano finiti in modo tragico con l’uccisione di molti partecipanti;
  • Occorre anche riconoscere che durante l’abbordaggio israeliano i partecipanti non hanno aggredito i soldati (come nei tentativi precedenti) ma si sono consegnati pacificamente;
  • Un altro merito della spedizione è stata la capacità di attirare l’attenzione mediatica di tutto il mondo, in particolare tramite le dirette televisive che hanno preso il primo posto nei nostri telegiornali per diversi giorni;
Festività di Yom Kippur – Fonte Moked
  • Ed infine come non notare l’astuzia di scegliere il giorno della vigilia di Kippur per raggiungere il proprio obiettivo? La festività di Yom Kippur (ovvero Giorno dell’Espiazione) è per gli ebrei una festa importantissima, improntata all’espiazione dei peccati, alla riconciliazione e al pentimento, una giornata di introspezione ed esame di coscienza che certo non si concilia bene con l’aggressività; e questo i membri della spedizione lo sapevano molto bene.
Il dirigente di Hamas Zaher Birawi insieme a Greta Thunberg Fonte Facebook
  • La prima domanda è: quali erano i veri fini della missione? La motivazione iniziale era quella di consegnare aiuti umanitari. Man mano questa motivazione si è dimostrata sempre più fragile, sia per l’esiguità del carico che quelle barche a vela potevano portare (tenendo presente che eventuali provviste dovevano bastare anche ai naviganti nelle settimane di viaggio nel Mediterraneo) e sia perché gli attivisti hanno respinto l’invito del Presidente della Repubblica e del cardinale Pierbattista Pizzaballa di consegnare quei pochi aiuti alimentari in mani sicure, con promessa di destinazione alla parrocchia di Gaza. Secondo alcune fonti le stive di alcune imbarcazioni sequestrate erano del tutto vuote. Ma anche se non fosse così, l’atteggiamento dei partecipanti ha fatto in modo che quegli aiuti non arrivassero. Già diversi partecipanti si erano infatti dissociati ed erano tornati indietro quando si sono accorti che la priorità non era questa. C’è anche da tener presente che il governo italiano era già riuscito ad aprire da tempo dei corridoi umanitari diretti e sicuri.
Violenza Campus Einaudi di Torino – Fonte Facebook
  • Ma allora qual era la priorità? Su loro stessa affermazione la priorità era forzare il posto di blocco (o, secondo alcuni, addirittura creare l’incidente) per dimostrare al mondo che “gli Israeliani sono cattivi”. Premesso che il blocco navale era stato approvato da una risoluzione Onu per motivi di sicurezza internazionale, ma c’era davvero bisogno di un gesto così plateale e così rischioso quando già le immagini della distruzione di Gaza sono sotto agli occhi di tutti?
  • Gli organizzatori hanno avuto sulle spalle la grossa responsabilità dell’incolumità di queste persone, che ora vengono portate tutte in salvo grazie alla mediazione del governo italiano, che peraltro è stato uno dei pochi a proteggere militarmente (ed onerosamente) la spedizione;
  • Nel frattempo abbiamo visto in diretta televisiva gli occupanti delle imbarcazione gridare: Ci stanno per abbordare, è ora il momento che in Italia scendiate in piazza e blocchiate tutto. E così è stato fatto: strade e stazioni bloccate, scioperi a oltranza, atti di violenza, di vandalismo e di guerriglia urbana, con decine e decine di feriti tra le forze dell’ordine, oltre che l’ingente danno economico al mondo del lavoro e della produttività. E tutto questo fa davvero pensare che alle spalle ci sia stata una matrice politica ed ideologica, ove l’obiettivo era proprio l’Italia. Ma perché? In fondo l’Italia è il Paese europeo che accolto il maggior numero di profughi palestinesi, che ha inserito il maggior numero di studenti palestinesi nelle proprie scuole ed università, che ha aperto per prima un canale di aiuti umanitari, consegnando fino ad ora ben 2.500 tonnellate di aiuti tramite “Food for Gaza”;
  • Ma allora perché colpire l’Italia, perché odiarla? Perfino la voce che l’Italia “fornisce armi” è stata smentita dal governo italiano. Dal famoso 7 ottobre l’Italia non fornisce più armi ad Israele perché non è consentito farlo quando una nazione è in guerra. Prima di quella data l’esportazione di “armi” ad Israele era comunque irrisoria. Lo stesso “Fatto Quotidiano”, giornale schierato ideologicamente, ammette che l’Italia è coinvolta solo per l’1 per cento nella importazione totale di armi da parte di Israele, e che queste “armi” sono soprattutto elicotteri e radar. Ora probabilmente nemmeno più questi “articoli”, perché l’ultimo export dichiarato dal quotidiano sarebbe stato di soli 150.000 euro circa, una cifra irrisoria per un mercato che in genere sposta milioni di euro. Sappiamo che comunque i commerci hanno binari e logiche che vanno oltre le decisioni politiche. Anche l’Ucraina ha continuato a comprare gas russo dopo che è stato impedito all’Italia ed all’Europa. Anche gli Usa comprano uranio dalla Russia. Sarebbe quindi logico dire che Ucraina e Usa hanno finanziato i loro nemici?
  • In ogni modo il motto “spacchiamo tutto” proclamato (ed attuato) in questi giorni dalle manifestazioni fa ottenere maggiori simpatie verso la causa palestinese o la danneggia? E quali sono i legami tra Hamas e l’attuale guerriglia urbana? E tra Hamas (e la Jihad palestinese) e gli organizzatori della Flotilla? Secondo alcune indagini sembra che alle spalle ci sia la stessa rete organizzativa che animò la tragica Flotilla del 2010. Due sarebbero gli uomini chiave: Zaher Birawi e Saif Abu Kashk. Il primo è il responsabile, nel Regno
Zaher Birawi – Fonte India Today Global by You Tube
  • Unito, del “settore Hamas” della Palestinian Conference for Palestinians Abroad, braccio diplomantico del fondamentalismo islamico e leader di tutte le proteste “Flotilla” verso la Striscia di Gaza degli ultimi 15 anni. Il secondo personaggio è l’amministratore della Cyber Neptune, società di facciata che possiede molte delle imbarcazioni della Flotilla approdata in questi giorni, battelli il cui vero proprietario sarebbe proprio Hamas;
  • Infine preoccupa il “clima d’odio” generato dall’intera vicenda. E se è vero che l’albero si giudica dai frutti non si può che trarre alcune conclusioni. E non si parla solo di odio politico, che pure sarebbe molto grave, ma verso la persona, odio diretto verso le persone. E non mi riferisco solo a persone di governo ma anche verso cittadini, gente comune, e lavoratori delle forze dell’ordine. Inoltre preoccupa la “caccia all’ebreo” che sta dilagando, in particolare le intimidazioni e i pestaggi verso gli studenti ebrei nelle nostre università, con grande confusione tra appartenenza etnica e politica sionista, ove l’effetto è quello del razzismo.
Intanto c’è chi veramente rischia la vita – Fonte Rai News.it

Concludendo: siamo tutti universalmente sensibili verso la tragedia e le sofferenze della popolazione palestinese (come verso le altre tragedie in tante zone del mondo colpite dalla guerra e che “stranamente” non fanno notizia) ma crediamo che modi e mezzi vadano scelti con grande prudenza, altrimenti rischiano di creare l’effetto opposto. Purtroppo molti sanno che media e stampa corrono verso “ciò che fa rumore”, mentre non dedicano una riga od un reportage televisivo a chi, come la Chiesa, lavora silenziosamente non solo in Palestina ma in tutte le zone di guerra e di miseria, portando realmente aiuti umanitari, soccorrendo con cure mediche ed ospedali da campo. Missionari, suore, sacerdoti, volontari cattolici (cito solo quelli di AVSI, ma le sigle sono innumerevoli) che restano fra le bombe, vicino ai sofferenti in modo concreto. Non scioperano, non spaccano, non manifestano, ma rischiano tutti i giorni la vita restando sul posto e compiendo silenziosamente e umilmente, ignorati dai media, la loro missione.

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Autore: Stefano Biavaschi

Giornalista pubblicista, ha scritto per Corriere della Sera, Il Giorno, La Repubblica, Oggi, Avvenire, Domenica del Corriere, Il Timone, Radici Cristiane. Laureato in Lettere Moderne ed in Scienze Religiose, insegna nelle Scuole Superiori di Milano collaborando con la Cattedra di Teologia dell'Università Cattolica, nonché con emittenti televisive, come Rai e Mediaset. Da alcuni anni è conduttore a Radio Maria di trasmissioni a carattere culturale. Ha pubblicato libri in Italia e all'estero, tra cui il best seller Il Profeta del Vento, tradotto in diversi Paesi, e trattati di teologia, come: La Vera Fede, Il Credo, Guida alla Preghiera, Le Antiche Fonti della Fede: Eusebio di Cesarea e la prima storia della chiesa. Ha operato nel campo della prevenzione e del disagio giovanile. Formatore di insegnanti e catechisti, ha anche contribuito alla formazione etica dei nuovi funzionari iracheni per conto di Transparency International Italia dopo il conflitto in Iraq.