“Il giusto vivrà per la sua fede”

Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto,
mentre il giusto vivrà per la sua fede Ab 1,2-3;2,2-4

«Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: “Violenza!” e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese. Il Signore rispose e mi disse: “Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette, perché la si legga speditamente. È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà. Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”» (Abacuc 1,2-3;2,2-4).

Il profeta Abacuc condensa in un libro di soli tre capitoli, un lamento e una protesta che ancora oggi attraversa la preghiera e la riflessione di molte persone: perché Dio «permette» ingiustizie, crudeltà e sofferenze? E perché fa da «spettatore dell’oppressione»? Dio risponde invitando Abacuc a scrivere la visione su tavolette affinché possa essere letta chiaramente, con la certezza che la stessa visione, anche se dovesse tardare, «se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà». La motivazione è questa: «il giusto vivrà per la sua fede».

La scultura dal titolo «Fede», modellata in ceramica raku da Carlo Previtali nel 2012, è stata mostrata in varie esposizioni. Attraverso la tecnica impiegata, di matrice orientale, chiamata «raku» (modalità di seconda cottura dopo che l’oggetto viene decorato con smalti speciali e ossidi metallici), l’artista presenta la raffigurazione della prima delle tre virtù teologali, che appartengono cioè all’orizzonte della trascendenza di Dio, attingendo al repertorio classico di simboli e di allegorie.

L’opera plastica mostra la «Fede», simboleggiata dal busto di una donna serena che, ad occhi chiusi, si affida completamente a Dio. Con il volto al cielo, in una felice combinazione tra eleganza compositiva e ricercatezza filologica, ella si rivolge perciò a Lui con tutto quello che è, donandoGli il cuore, prezioso come l’oro.

È la virtù donata da Dio stesso e, nel contempo, la virtù che ha per oggetto il mistero, la parola, l’opera di Dio.

«Fede, Speranza e Carità uscirono/ per vedere un giardino incantevole,/ dove, con la gioia autunnale,/ frutti di rara bellezza pendevano.// E Fede disse: “Prenderò questo frutto,/ perché ha un colore dorato,/ e nel mio cuore metterà radici,/ e fiorirà con nuove virtù”.// E Speranza disse: “Prenderò questo fiore,/ perché ha un viso solare,/ e nel mio cuore avrà il potere/ di fiorire in un luogo desolato”.// E Carità disse: “No, condividiamo,/ e prendiamo di ogni cosa ciò che vogliamo,/ perché il frutto potrebbe marcire nell’aria gelida,/ e il fiore nel vento e nel freddo».

don Tarcisio Tironi
direttore M.A.C.S.

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Autore: Libertà e Persona

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