ANALISI TEOLOGICA ED ERMENEUTICA DEL PADRE NOSTRO (settima parte)

2844 La preghiera cristiana arriva fino al perdono dei nemici. Essa trasfigura il discepolo configurandolo al suo Maestro. Il perdono è un culmine della preghiera cristiana; il dono della preghiera non può essere ricevuto che in un cuore in sintonia con la compassione divina. Il perdono sta anche

a testimoniare che, nel nostro mondo, l’amore è più forte del peccato. I martiri di ieri e di oggi rinnovano questa testimonianza di Gesù. Il perdono è la condizione fondamentale della Riconciliazione dei figli di Dio con il loro Padre e degli uomini tra loro.

Del CCC 2844 si analizza la figura del discepolo.

Il discepolo secondo il modello filosofico classico

Tra allievo e maestro nella Grecia Classica vi era una relazione speciale. Suddetta relazione era un’amicizia lasciva, la quale creava non poche difficoltà. George Steiner sostiene che l’abuso compiuto dal didaskalos (maestro) ai danni del mathetes (discepolo) è deleterio per le seguenti motivazioni:

  1. Il discepolo si appropria del sapere recepito con ingratitudine, dacché è quest’ultimo a scegliere il suo maestro e potrebbe circuirlo in molteplici forme.
  2. Essere discepoli significa essere anche amanti del proprio maestro. Tale relazione serve per maturare a livello interiore, per divenire così soggetti maturi.

Cosa significa quindi essere discepoli?

L’essere discepoli sta a indicare la volontà di essere predisposti ad affrontare le differenti realtà esistenziali, in quanto il maestro ha preparato il discente a condurre la sua esistenza in totale autonomia. Si comprende che il maestro è una guida, ma anche una sorta di padre da cui liberarsi per divenire fattivamente uomini.

Il discepolo nel contesto veterotestamentario

A livello teologico esegetico il discepolato ha origini nella storia d’Israele. Si pensi a Mosè il quale ebbe la previdenza di scegliere e formare il suo successore: Giosuè in quanto Dio gli rivelò che non sarebbe giunto nella Terra Promessa. Nel Libro dell’Esodo (17, 8 – 16) si narra infatti la prima forma di responsabilità che Giosuè ebbe da discepolo: Mosè gli affida il comando dell’esercito israelita nella battaglia contro Amalek. Tale scontro avviene nel cammino verso la Terra Promessa. Mosè, Aronne e Cur si recano sulla cima di un colle mentre Giosuè guida le truppe israelite in battaglia. L’esito di suddetta battaglia è la vittoria di Israele nei confronti di Amalek. Il significato di tale atto bellico è puramente spirituale, indica infatti la lotta contro il peccato, in particolare contro l’ateismo quale trasgressione verso la virtù della religione. Il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 2125 afferma infatti che l’ateismo consta nel rigettare o rifiutare volontariamente l’esistenza di Dio. Amalek e gli amaleciti pur sapendo che Dio esiste, lo ricusano ed ecco il motivo per cui il popolo deve essere sterminato. Giosuè diviene così il discepolo di Mosè accompagnandolo in tutte le sue funzioni, soprattutto presso la tenda del convegno, quindi verso il Tabernacolo quale santuario interno che ospita l’Arca dell’Alleanza ove sono contenute le Tavole della Legge.

Il discepolato nel Nuovo Testamento

Il discepolo nel Nuovo Testamento viene chiamato mathetes e significa seguace, quindi è colui che aderisce completamente agli insegnamenti di un altro, facendone così una regola di vita. Nel Cristianesimo il discepolato ha inizio con la chiamata di Gesù riportata dall’evangelista Matteo al capitolo 4, 18:

Mentre camminava lungo il mare della Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone detto Pietro e Andrea, suo fratello, i quali gettavano la rete in mare, perché erano pescatori.

Il termine discepolo ricorre ben 294 volte nel Nuovo Testamento ed è utilizzato dai quattro evangelisti per indicare da un versante i seguaci del Battista per un altro gli adepti del Nazareno. Gesù era un Rabbi ma con una accezione: nelle scuole greche, come in quelle rabbiniche era il discepolo a designare il maestro, nei racconti evangelici si apprende che è Gesù a scegliere i discepoli. Quale motivazione? Gesù essendo consustanziale al Padre e quindi rivestito di autorità divina in tale scelta, istituisce il ministero apostolico, a Lui sempre subordinato. Si evince che la klesis (chiamata al discepolato) costituisce l’esperienza di fede dei discepoli, quindi di coloro che vengono chiamati da Dio a svolgere il ministero. Tale ministero è poi unito da particolari indicazioni, attraverso figura e simboli che indicano l’atto della chiamata. Quali sono suddetti elementi?

  1. Figura: Gesù che chiama i discepoli per trasformarli in pescatori di uomini.
  2. Simboli: sono le reti che rappresentano la professione dell’essere pescatori di uomini, la barca quale strumento di lavoro e in fine l’invito a pescare, pertanto la capacità di annunciare Cristo scindendo l’uomo dal peccato.

Etimologia degli elementi sopra citati

  1. Le reti: indicano la missione evangelizzatrice della Chiesa (cfr Lc. 5, 5 e Gv. 21, 1 – 9) che consta nell’adottare un modello teologico verticale e non orizzontale. La Chiesa è chiamata ad annunciare il Vangelo e ad essere anche ad intra, oltre che ad extra. Gli elementi di una Chiesa ad intra sono i Sacramenti, il Magistero, che consentono di anelare alla vita eterna. Solo su tali presupposti la Chiesa potrà essere ad extra ove la missione principale resta sempre l’annuncio costante del Regno di Dio e non la trasformazione della Casa del Padre in una associazione di mutuo soccorso, oppure in una assise politica. In riferimento a quest’ultimo si pensi al Sinodo dei Vescovi. Esso non deve divenire una rappresentanza del popolo, ma l’incontro dei successori degli Apostoli per confronti dottrinali, pastorali sorretti dall’egida pneumatologica.
  2. La barca: simboleggia la Chiesa. Suddetta allegoria è narrata dall’evangelista Mc (6, 45 – 52) ove Gesù calma la tempesta e cammina sul mare verso i discepoli. La barca è il primo mezzo di trasporto, il cui utilizzo risale a 6000 anni fa da parte degli egiziani. Le prima barche vennero utilizzate per la navigazione fluviale ed erano composte da piante di papiro. La barca nel pensiero egiziano è il veicolo degli dei, infatti nei loro rituali l’immagine della barca è costante e prevalente, dacché strumento di viaggio verso il divino. La barca diviene con l’avvento del Cristianesimo uno dei simboli più importanti per indicare la Chiesa. La barca ricorda infatti il modo con cui Cristo raduna le folle attorno a se. La barca è anche il simbolo della resistenza ai flutti della vita, in attesa della gloria futura.
  3. Pescatori di uomini: Gesù sceglie uomini comuni e non scribi e farisei, per mettere in evidenza che la missione evangelizzatrice è prerogativa di ogni credente. È da suddetta scelta infatti che si costituisce il sacerdozio comune, ottenuto ovviamente con il conferimento del Sacramento del Battesimo. La metafora della pesca, spiega la fattiva natura del compito dei discepoli: essi passano da un’attività che procura il cibo materiale a un’attività che offre la salvezza. L’abbandono delle reti da parte dei discepoli, indica invero la rinuncia al peccato, per aprirsi alla verità. Abbandonare le reti significa rinascere a vita nuova. L’essere pescatore di uomini è la costituzione dell’ecclesiologia. Gli apostoli saranno coloro che annunceranno alle genti il Logos e i Vescovi quali loro successori proseguiranno codesta missione. La Costituzione Dogmatica Gaudium et Spes (41, 45) in riferimento all’essere pescatori afferma: << il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino>>. Che cos’è il tempo? San Bonaventura nel Commento alle Sentenze (Summa Theologiae) prende in esame quattro accezioni del tempo: la prima accezione è quella più ampia, ove il tempo è la misura di ogni durata di un ente. La seconda accezione è quella comune ove il tempo indica ogni mutazione, sia di quella del non essere all’essere, sia di quella di un modo di essere a un altro modo di essere. Per una comprensione dell’essere bisogna comprendere l’ontologia di San Tommaso d’Aquino.

L’ontologia di san Tommaso d’Aquino

Tommaso si preoccupa di porre una sostanziale distinzione tra l’ente, l’essenza e l’essere.

L’ente è ciò che esiste ed è distinto dall’essenza. L’Aquinate distingue due tipi di enti: quello necessario (Dio) a cui convergono le creature e gli enti contingenti, quindi tutte le realtà che esistono, ma che potrebbero anche non esistere. La loro essenza è nella mente di Dio prima della creazione. L’essere (esistenza) lo ricevono da Dio come dono, passando così dalla potenza all’atto.

L’essenza è l’unione della materia con la forma. La forma è l’anima che configura il corpo. L’anima non è però preesistente alla materia, essa è infusa da Dio all’atto della creazione ed è immortale. Si comprende che il corpo non è un accidente in quanto la finalità dell’anima è l’essere anche in unione con il corpo, nel quale la grazia divina agisce. L’anima e imago Dei perché dotata di una vita spirituale, libera e cosciente (si approfondiranno in un articolo tali elementi) .

L’essere: Tommaso riconosce che l’essere è la realtà, dalla quale trascendono le categorie del pensiero. I trascendentali sono : uno, vero e buono.

  1. Uno: ogni essere è unico e distinto degli altri.
  2. Vero: ogni essere è intelligibile e corrisponde all’intelletto divino.
  3. Buono: ogni essere in quanto ente corrisponde al progetto di Dio.

Dai trascendentali tommasiani si sviluppano le cinque vie, che constatano l’esistenza di Dio.

  1. Divenire, movimento.
  2. Il vedere le cose come effetto di altro.
  3. La realtà contingente e non necessaria.
  4. I differenti gradi di perfezione presenti nella realtà.
  5. La presenza di esseri privi di intelligenza, i quali tendono a un fine, che qualcuno lo ha permesso.

1)Divenire e movimento: tutta la realtà è in movimento. Chi la muove? Un primo “motore” che è Dio.

2) In natura ogni effetto ha una causa e questa causa è effetto di un altra causa: quale? La causa prima che è eterna: Dio.

3) Nel mondo vi sono esseri che possono esistere e non esistere, soggetti a nascita e morte. Se tutto fosse contingente nulla esisterebbe e pertanto deve esistere un essere la cui esistenza non dipende da altro. Questo essere è Dio.

4) Nel mondo vi sono gradi di bontà, perfezione e verità. Vi deve essere però qualcosa di estremamente perfetto. Chi ? Dio!

5)Molti oggetti privi di intelligenza (piante, animali) agiscono in modo ordinato e finalizzato. Tale ordine e finalità non derivano dal caso, ma sono il risultato di una intelligenza ordinatrice esterna che è appunto Dio.

Relazione tra il tempo e l’ Hic et nunc

L’Hic et nunc è l’espressione che indica l’attimo presente. Esso può avere un legame con Dio? Sì in quanto la Rivelazione è evento storico, a cui ogni sapere umano deve essere subordinato. In un tempo di progressive scoperte tecnico scientifiche sembra svanire il datore dell’ingegno umano: Dio. Ecco quindi l’importanza di voler ricordare che la fede accadendo qui e ora è anticipo di quello che poi l’uomo attende. L’Hic et nunc è l’esperienza agapica costante, perché caritas, ossia carità. La carità è il vincolo dell’anima, acciocché fondata sulla fede. Essa non è una mera azione materiale, ma piuttosto ricerca del volto di Cristo unica verità. Se la carità va alla ricerca di Dio essa sovrasta l’emotività, conducendo la persona all’apertura verso il sublime amore. Da tale amore deriva anche l’attenzione al prossimo, che non può però sostituirsi al ruolo primario della Chiesa che è l’annuncio di Cristo. Una carità umana non subordinata a Lui è sterile ed insensata. I sistemi politici ed economici devono essere forze fondate sulla carità nella verità. Si desume che l’Hic et nunc è l’ora divina, in correlazione all’ora umana. L’ora divina è il desiderio escatologico dell’ora umana, che si attua in un contesto ecclesiologico, ove la Chiesa non è chiamata a divenire più umana basandosi su principi attivisti, ma piuttosto più divina. Ecco quindi l’orizzonte in cui il tempo e l’attimo presente assumono senso. Il tempo in unione a ogni momento dell’esistenza è l’accesso alla vita eterna, ove l’ esclusivo incontro con il vero “scultore” da forma all’anima, perché ogni momento è prefigurativo. Dalla prefigurazione scaturisce la costante conversione, in attesa della vita eterna.

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Autore: Emanuele Sinese

Emanuele Sinese è nato a Napoli il 24 Novembre 1991 e da anni vive a Bergamo. Ha frequentato l’Istituto di Scienze Religiose in Bergamo, conseguendo nel 2017 la Laurea triennale con la tesi Il mistero eucaristico in San Pio da Pietrelcina. Nel 2019 ha ottenuto la Laurea magistrale con la tesi La celebrazione eucaristica secondo il rito di San Pio V.  È insegnante specialista di Religione. Da ottobre 2024 prosegue gli studi presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Attualmente è anche coordinatore per la formazione teologica di alcuni docenti di religione.