
Si analizzano i canoni 2828 e 2834 del Catechismo della Chiesa Cattolica
2828 «Dacci»: è bella la fiducia dei figli che attendono tutto dal loro Padre. Egli «fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,45) e dà a tutti i viventi «il cibo in tempo opportuno>>
Si analizzano i temi della generosità e ingiustizia, avendo già redatto
sulla giustizia e bontà.
GENEROSITÀ
L’evangelista Matteo nella pericope sopra riportata, pone in risalto un attributo dell’amore di Dio: la generosità. Tale attributo divino si manifesta mediante un atto: la creazione, il cui fulcro è l’uomo. Ogni ente da Dio è stato creato in modo buono, perché conseguenza dell’intelletto divino. La generosità di Dio è correlata però alla giustizia, quindi a rendere a ciascuno il suo. Dio che cosa rende? Crea l’uomo a sua immagine e somiglianza. Quale significanza? Tra i numerosi enti che Dio ha creato, l’unico a essere detentore della ragione, quindi di quella forma razionale dell’anima è esclusivamente l’uomo. L’immagine (tsélem) è una condizione profonda, in quanto indica la natura dell’uomo, che consta nel convergere a Dio accettando e attuando le sue leggi. Somiglianza (demut) è la dimensione morale insita nell’uomo, che se attuata in modo responsabile lo rende in conformità alla fede. Dall’immagine e somiglianza di Dio scaturiscono le seguenti implicazioni:
- Speciale dignità: l’uomo ha una dignità che gli deriva dal Creatore. Questa sua dignità è l’essere a sua immagine e somiglianza.
- Capacità spirituale: gli uomini a differenza di altri animali, sono detentori di un’anima,la quale da forma al corpo. L’anima non è preesistente alla materia, essa è infusa da Dio all’atto della creazione. Tra anima e corpo vi è unità e non dualismo. Seppur la materia si dissipa con la morte, essa attenda la Parusia ove il corpo e l’anima nuovamente saranno ricongiunti.
- Dominio e responsabilità: l’uomo è un soggetto razionale, chiamato a dominare sul mondo con virtù. La virtù interpella il sé, il quale alla luce di essa, comprende fattivamente se è in conformità con la Somma alterità che è Dio o in dissonanza. Dal dominio di sé, sorgono anche le scelte a garanzia del bene comune, quali l’inclusività (riguarda lo sviluppo di tutti gli individui), l’equilibrio (concerne l’eliminazione delle asimmetrie sociali) ed inoltre condizioni immateriali come l’educazione, la cultura e la fede. Questi ultimi tre dati sono tra loro uniti. L’educazione è la volontà del soggetto di anelare alla conoscenza della suprema verità, che prima ancora di essere forma di identità culturale è manifestazione storica dell’Assoluto, che si manifesta nella Chiesa anche attraverso l’autorevolezza della gerarchia.
- Relazione con Dio: l’unica creatura che anela a rapportarsi con Dio è l’uomo. Se egli accetta la filiale vocazione vive nella totale conoscenza del mistero divino, perché ha incontrato Cristo. Se la rifiuta conduce una vita autoreferenziale, focalizzandosi sulle esclusive determinazioni narcisistiche.
Si comprende in successione, che l’immagine è la parte immateriale dell’uomo, tale da scinderlo dai comuni animali, i quali corrispondono ai soli istinti per salvaguardare la propria specie. L’immagine è la caratteristica che concede all’uomo la totale unione con il Padre. La somiglianza è bensì la realtà mentale e morale.
- Mentale: l’uomo è un ente razionale e volitivo, quindi può scegliere e agire, perché da Dio creato libero. L’etimologia dell’aggettivo libero è figlio. L’uomo in virtù della sua figliolanza divina, deve accettare se vuole attuare la sua razionalità e anelare alla salvezza la legge di Dio in quanto unica opportunità di vita risoluta.
- Morale: riguarda ancora una volta la giustizia. L’uomo fu creato innocente, ma l’utilizzo irrazionale della libertà (peccato originale) ha escluso tale innocenza, che Cristo ha però ridonato mediante il suo sacrificio, perpetrato ogni dì nella Celebrazione Eucaristica.
INGIUSTIZIA
Nell’ultimo romanzo di Dostoevskij i Fratelli Karamazov l’autore riflette sulla sofferenza, quale conseguenza dell’ingiustizia, giungendo però ad una visione nichilista. Egli infatti nella figura del personaggio Ivan rimprovera a Dio il mancato intervento a favore di chi soffre, ribellandosi così all’amore di Dio. Dio però contrasta le ingiustizie e tiene conto del male compiuto dalle sue creature. Cristo stesso ha indicato che chi compie atti iniqui sarà condannato. Quali sono gli atti iniqui? San Paolo nella Prima Romani capitolo 1 indica le differenti forme di ingiustizie: malvagità, cupidigia, malizia, omicidi, calunnie, offese. Quale speranza? La speranza è il Vangelo che è donato anche agli ingiusti, affinché si salvino, dopo una fase di conversione interiore ed esteriore. Chi ha commesso atti malvagi deve certamente espiare, se previsto l’atto immorale commesso, tenendo conto che Dio mai lo abbandonerà, purché egli muti concretamente. Il Vangelo è infatti l’opposizione unica e reale al peccato, origine di ogni ingiustizia.
2834 «Prega e lavora». «Dobbiamo pregare come se tutto dipendesse da Dio, e agire come se tutto dipendesse da noi». Dopo avere eseguito il nostro lavoro, il cibo resta un dono del Padre nostro; è giusto chiederglielo e di questo rendergli grazie. Questo è il senso della benedizione della mensa in una famiglia cristiana.
Del canone 2834 si analizzano i seguenti temi: preghiera e lavoro.
Prega e lavora, oppure Ora et labora è la locuzione associata alla Regola benedettina. La preghiera e il lavoro sono due momenti che scandiscono le giornate nelle comunità religiose, quindi due cardini pregnanti.
PREGHIERA
La preghiera è il respiro dell’anima che ridona pace nelle tempeste della vita. Essa è poi corroborata nella spiritualità benedettina dalla meditazione della Sacra Scrittura che avviene in quattro momenti:
- Lectio (lettura attenta della Parola di Dio)
- Meditatio ( meditazione sul brano letto per comprenderne il suo significato più profondo)
- Oratio ( si offre la propria risposta a Dio mediante la preghiera)
- Contemplatio ( è la capacità di adorare il Signore in silenzio)
LAVORO
Il lavoro è subordinato alla preghiera come ben affermava san Benedetto da Norcia. Egli impose ai monaci di lavorare cinque ore al giorno in inverno e otto ore in estate, affinché si guadagnassero da vivere. Il lavoro ribadisce san Benedetto aiuta a pregare bene e la preghiera aiuta a lavorare in modo giusto. L’ozio è il nemico dell’anima e quindi i fratelli in determinate ore devono essere occupati in lavori manuali e in altre ore nella lettura divina, chiosa il benedettino. Il lavoro salva dall’ozio, perché fugge anche da quel mondo immaginario in cui la mente si rifugia, rischiando di compiere così i peccati di pensiero. Sorge corretta l’istanza di cosa siano i peccati del pensiero. Essi sono sostanzialmente tre: il desiderio del male, il gaudio peccaminoso e la delectatio morosa.
- Il desiderio del male: è il pensiero che predispone l’anima a voler compiere il male in futuro. Se l’anima cede a suddetta tentazione diabolica il desiderio diviene efficace, perché il soggetto compie volontariamente e consapevolmente il male. Se non cede, ma la persona si lascia intorbidire da quanto è in contrasto con la santità e la sapienza di Dio tale desiderio si definisce inefficace. L’inefficienza deve essere però sempre rimessa dalla confessione sacramentale, dacché il tentatore agendo sulla persona, può condurlo a cedere alle sue lusinghe.
- Il gaudio peccaminoso: è la compiacenza del male compiuto da se stessi o da altri.
- La delectatio morosa: è la compiacenza prolungata nel tempo dei pensieri impuri, che conducono così alla lussuria. Sant’Agostino nel De Trinitate (12,12) ricorda che le cose appena giunte all’anima, se non in conformità con Dio devono essere respinte.
Riprendendo la tematica del lavoro, si ribadisce che non bisogna però divenire dipendenti dall’impiego. Se così accade, san Benedetto afferma che si è ceduti a una forma di vanagloria e non di obbedienza a Dio.
RIPOSO
Il riposo non consta nell’esclusiva attività onirica, esso ha forme ben più radicate. La prima è la santificazione della domenica, Pasqua della settimana imposta come giorno festivo dall’Imperatore Costantino nel 321 d. C. Il fine della domenica è il banchetto eucaristico ove l’uomo incontra Dio. Il riposo è inoltre evento escatologico. La tradizionale preghiera Requiem aeternam è infatti l’attesa della risurrezione. Al momento della morte, l’anima che è immortale giunge a seconda della propria condizione in Paradiso, in Purgatorio, oppure all’Inferno ove al ritorno glorioso di Cristo si ricongiungerà con la materia. Si precisa che la preghiera Requiem aeternam trae origine dal IV libro di Esdra, ripresa in seguito dai Padri della Chiesa nel VI secolo, entrando così a far parte del Graduale Romano. Il riposo, riprendendo quanto sopra citato è il compimento della salvezza, quale partecipazione alla vita gloriosa di Dio. Esso è inoltre adesione alla santità del sabato ove Dio si riposò e indicò all’uomo come comportarsi. In Esodo 23, 12 l’autore redige: possono respirare il tuo bue, il tuo asino, i figli della tua schiava e il forestiero.