Canoni del Catechismo della Chiesa Cattolica in riferimento al Padre Nostro. (Si raggruppano i primi tre canoni della parte quarta, seconda sezione del Catechismo della Chiesa Cattolica).
2803 Dopo averci messo alla presenza di Dio nostro Padre per adorarlo, amarlo, benedirlo, lo Spirito filiale fa salire dai nostri cuori sette domande, sette benedizioni. Le prime tre, più teologali, ci attirano verso la gloria del Padre, le ultime quattro, come altrettante vie verso di lui, offrono alla sua grazia la nostra miseria. « L’abisso chiama l’abisso » (Sal 42,8).
2804 Il primo gruppo di domande ci porta verso di lui, a lui: il tuo nome, il tuo regno, la tua volontà! È proprio dell’amore pensare innanzi tutto a colui che si ama. In ognuna di queste tre petizioni noi non « ci » nominiamo, ma siamo presi dal « desiderio ardente», dall’«angoscia » stessa del Figlio diletto per la gloria del Padre suo. « Sia santificato […]. Venga […]. Sia fatta… »: queste tre suppliche sono già esaudite nel sacrificio di Cristo Salvatore, ma sono ora rivolte, nella speranza, verso il compimento finale, in quanto Dio non è ancora tutto in tutti.
2805 Il secondo gruppo di domande si snoda con il movimento di certe epiclesi eucaristiche: è offerta delle nostre attese e attira lo sguardo del Padre delle misericordie. Sale da noi e ci riguarda, adesso, in questo mondo: « Dacci […]; rimetti a noi […]; non ci indurre […]; liberaci ». La quarta e la quinta domanda riguardano la nostra vita in quanto tale, sia per sostenerla con il nutrimento, sia per guarirla dal peccato; le ultime due riguardano il nostro combattimento per la vittoria della vita, lo stesso combattimento della preghiera.
Lo “Spirito filiale” canone 2803
Lo Spirito che cosa è? Lo Spirito in ebraico si definisce ruach, in greco pneuma e si può tradurre con vento, respiro, ma anche alito. Il vento indica la dinamica, la spazialità in quanto è il movimento dell’aria, che corre veloce in molteplici direzioni. Lo Spirito ha queste caratteristiche quindi. Lo Spirito è come una brezza che ispira la mente, ma a volte è anche un uragano che scuote le coscienze per rinnovarle e conformarle a Cristo. Lo Spirito è la sostanza vitale della terra e dell’uomo, essi infatti sono stati creati in virtù del pneuma. Tutto ciò che sulla terra ha alito di vita, lo ha perché provocato dal soffio di Dio. Tra soffio e Spirito Santo vi è circolarità. L’evangelista Matteo cita questa unione nel momento drammatico della morte di Cristo, ove il Divin Maestro morendo emette lo Spirito. Emise lo Spirito, ἀφῆκεν τὸ πνεῦμα, aphēken to pneuma, quale significato? Gesù lasciò andare lo Spirito manifestando così la sua obbedienza al Padre. A livello teologico l’emissione dello Spirito Santo è un dono escatologico per gli uomini, che i discepoli per primi hanno ricevuto, Cristo infatti affermò: ricevete lo Spirito Santo. In tale annunciano Cristo volontariamente diffonde la sua vita filiale a tutti coloro che in Lui credono, ponendo fine così al potere della morte. Gesù morì per obbedienza volontaria al Padre. Egli compì tale scelta per virtù propria, infatti affermò: io do la mia vita, per riprendermela di nuovo. L’ultima pericope è allusione alla risurrezione dei morti. Il grido che Lui emise fu a indicare il potere; ossia Cristo è l’unico che può risuscitare le anime dal sonno della morte. San Luca evangelista riferisce: Padre nelle tue mani consegno il mio spirito. Non è un riferimento alla Pentecoste, ma alla sua vita, però Gesù, donando la sua vita al Padre fa sì che il Padre, la effonda sui discepoli attraverso lo Spirito. San Giovanni al cap. 19,30 ribadisce: è chinato il capo, consegnò lo spirito. In questo frangente il riferimento è alla Pentecoste quindi al giorno in cui effonde ai discepoli lo Spirito Santo, già preannunciato nella prima apparizione da risorto con le seguenti parole: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi. Detto questo soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo.
2804/2805: sette domande e sette benedizioni
Le prime tre domande sono teologali e sono: il tuo nome, il tuo regno, la tua volontà. Le ultime quattro sono canali che conducono a Lui. In riferimento alle tre domande sopra citate, avendole già esplicitate nel precedente articolo, richiamo la vostra attenzione sul numero sette. Il sette indica la totalità, la completezza. In relazione a Dio, il numero sette sottolinea la perfezione e l’eternità. Il numero sette rimanda così a Genesi 1, 1 – 29 ove Dio in sei giorni creò il mondo e il settimo giorno si riposò. Il riposo è soprattutto il tempo da dedicare a Dio. In Genesi 2, 4 il numero sette ricorda i sette anni che Giacobbe trascorse a servizio di Labano (fratello di Rebecca, padre di Lia e Rachele). Sette inoltre sono gli anni di abbondanza, ma anche di carestia in Egitto. Nelle tre petizioni nome, regno e volontà il credente è toccato dall’amore sublime di Dio che si attua nel sacrifico del Salvatore.
Il secondo gruppo di domande sono richieste al Padre le quali avvengo in modo distintivo nell’Eucaristia forma per eccellenza di incontro con Dio. Tali richieste sono: dacci, rimetti a noi, non ci indurre, liberaci dal male. Avendo esplicitate anche le suddette, voglio porre l’attenzione sul peccato. Il senso di queste richieste poste dall’uomo a Dio è la petizione della salvezza, quindi dell’accesso alla vita eterna, alla quale si giunge solo se scevri da ogni attaccamento al peccato. L’attuale cultura ha eliminato il peccato, perché non riconosce più l’esistenza dell’anima. L’anima è substantia del leib che da appunto forma al korper. L’uomo non è un esclusiva realtà neuronale, che agisce in virtù della dopamina. Egli è corpo e anima, che come ben cita il CCC al n. 2805 ha bisogno del nutrimento eucaristico per sostenersi e per essere guarito dal peccato.
2806 Attraverso le prime tre domande veniamo rafforzati nella fede, colmati di speranza e infiammati di carità. Creature e ancora peccatori, dobbiamo supplicare per noi, quel « noi » a misura del mondo e della storia, che offriamo all’amore senza misura del nostro Dio. Infatti è per mezzo del nome del suo Cristo e mediante il regno del suo Santo Spirito che il Padre nostro realizza il suo disegno di salvezza per noi e per il mondo intero.
Non ci soffermiamo su questo canone, perché lo riconosciamo come molto chiaro.
Sia santificato il tuo nome
2807 Il termine « santificare » qui va inteso non già nel suo senso causativo (Dio solo santifica, rende santo), ma piuttosto nel suo senso estimativo: riconoscere come santo, trattare in una maniera santa. Per questo, nell’adorazione, tale invocazione talvolta è sentita come una lode e un’azione di grazie. Ma questa petizione ci è insegnata da Gesù come un ottativo: una domanda, un desiderio e un’attesa in cui sono impegnati Dio e l’uomo. Fin dalla prima domanda al Padre nostro, siamo immersi nell’intimo mistero della sua divinità e nel dramma della salvezza della nostra umanità. Chiedergli che il suo nome sia santificato ci coinvolge nel disegno che egli « nella sua benevolenza aveva […] prestabilito » (Ef 1,9), « per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità » (Ef 1,4).
2808 Nei momenti decisivi della sua Economia, Dio rivela il suo nome, ma lo rivela compiendo la sua opera. Questa però si realizza per noi e in noi solo se il suo nome da noi e in noi è santificato.
2809 La santità di Dio è il centro inaccessibile del suo mistero eterno. Ciò che di esso è manifestato nella creazione e nella storia, dalla Scrittura viene chiamato la gloria, l’irradiazione della sua maestà. Creando l’uomo « a sua immagine e somiglianza » (Gn 1,26), Dio lo corona di gloria, ma l’uomo, peccando, viene privato « della gloria di Dio ». Da allora, Dio manifesta la propria santità rivelando e donando il proprio nome per restaurare l’uomo « a immagine del suo Creatore » (Col 3,10).
I punti 2807 e 2808 essendo chiari non richiedono particolari spiegazioni.
2809: la gloria di Dio: Nell’Antico Testamento gloria si esprime con il termine Kabod. Kabod in riferimento a Dio non indica l’essenza, ma il modo attraverso il quale Egli si manifesta in tutto il suo splendore. Lo splendore di Dio si manifesta sul Sinai ove la sua gloria assume l’aspetto del fuoco. Fuoco è allegoria dello Spirito Santo. Da qui scaturisce la preghiera di Mosè: fammi vedere la tua gloria. Da tale gloria Mosè ne uscì dal Sinai con il volto raggiante. Questa manifestazione di gloria non si conclude sul monte, essa investe l’intero tempio di Gerusalemme il cui primario riferimento è l’Arca dell’Alleanza.
Isaia e la gloria di YHWH
Isaia vede la gloria del Signore sotto l’aspetto di un re. Il profeta nel racconto biblico vede il suo trono elevato, i lembi del suo mantello che riempiono il santuario e la corte dei Serafini che proclama la sua gloria. Questa visione di gloria che Isaia ha è di santità, la quale per essere tale, deve purificare l’uomo e liberarlo dall’immondezza che lo circoscrive.
Gloria nel N.T.
Gloria in greco ha due forme lessicali distinte:
1. Τιμή (timê) il cui significato è dignità applicabile a Dio come all’uomo.
2. Δόξα (doxa) è utilizzato esclusivamente per Dio e di riflesso per l’uomo.
Nel N.T. troviamo frequentemente doxa.
Cristo è colui che manifesta la gloria di Dio, è l’immagine e sostanza del Padre. La gloria quindi cosa è? Essa è il volto di Dio che irradia gli uomini. Cristo però non ha lasciato che la gloria rimanga assisa nell’alterità, l’ha resa manifesta incarnandosi, quindi vivendo, agendo ossia nel suo ministero e in fine nella morte quindi assurgendo alla sua gloria le creature. Suddette manifestazioni cristiche sono narrate nei Vangeli.
1. In riferimento ai Vangeli si fa riferimento a Luca per ciò che concerne la natività, quindi l’Annunciazione ove la gloria discesa nell’Arca dell’Alleanza ora discende in Cristo mediante Maria. Maria è la donna gloriosa per antonomasia, a cui tutti dovrebbero fare capo, in particolare taluni scienziati e politici che all’atto della procreazione, non reputano l’embrione vita. L’embrione è vita e persona nel frangente creativo. Riprendendo la dimensione biblico narrativa, la natività è il frangente in cui la gloria del Signore avvolge di luce i pastori. Dal punto di vista biblico sono le guide del popolo d’Israele (profeti) anticipo del Buon Pastore che è Cristo. A livello giuridico i pastori sono i presbiteri e i vescovi (S. Concilium 11, Inter Mirifica, 3) che hanno il compito di condurre il gregge non nella sola dimensione dell’esclusivismo antropologico, ma anzitempo in quello spirituale. La figura del presbitero come anche dell’episcopo è risollevare l’uomo dalla polvere che è il peccato.
2. Agendo: quando Gesù riceve il Battesimo inizia la sua missione, ove compie miracoli, proferisce parole, quali anticipi della gloria che vivrà a Gerusalemme.
3. Morendo: la morte del Messia è l’ingresso nella sua gloria(Lc. 24, 26) e i segni che lo accompagnano sono la rivelazione della sua stessa gloria, alla quale gli uomini possono partecipare. Le stigmate sono il rimando indiretto alla risurrezione. Cristo apparendo ai discepoli, si presenta con le ferite dei flagelli e dei chiodi, manifestando così la sua vittoria sulla morte e la sofferenza. Alla sofferenza di Cristo possono essere congiunte le molteplici sofferenze umane, le quali sono vinte dalla Pasqua. È codesta un allegoria che vuole mettere in luce che se ogni dolore, il quale ovviamente si imprime nell’animo e nel fisico è offerto a Dio, esso non è fine a se stesso. Circa le stimmate, interesse di molti, non posso fornire maggiori delucidazioni perché non vi sono in merito studi scientifici. Chiarisco inoltre che tali segni non vanno assolutizzati, essi sono forme che lo Spirito Santo adotta per congiungere alcuni in modo più intenso alla passione di Cristo. I ricettori di tali doni, non li hanno mai evocati, perché per essi sono di confusione morale, oltre che di ingente dolore fisico. Si evince che taluni doni soprannaturali(miracoli, bilocazioni, stimmate) derivano dall’evento pasquale e sono segno di particolare vicinanza da parte di Dio Padre alle sue creature. Tali eventi non giustificano la Rivelazione, la quale non ha bisogno di essere giustificata, essi sono segni di vicinanza (miracoli, guarigioni) e di unione mistica (stimmate, bilocazioni, scrutazione dei cuori) da parte dell’Essere verso i suoi essenti.
Il canone 2810 del CCC prosegue così:
Nella Promessa fatta ad Abramo e nel giuramento che l’accompagna, Dio si impegna personalmente ma senza svelare il proprio nome. Incomincia a rivelarlo a Mosè e lo manifesta agli occhi di tutto il popolo salvandolo dagli Egiziani: «Ha mirabilmente trionfato» (Es 15,1). Dopo l’Alleanza del Sinai, questo popolo è « suo » e deve essere una «nazione santa» (o consacrata, poiché in ebraico è la stessa parola), perché il nome di Dio abita in mezzo ad essa.
Alleanza dall’ebraico brit che si traduce anche con patto. L’alleanza nella Bibbia ha avuto situazioni differenti: si pensi al diluvio universale, il simbolo dell’alleanza è l’arcobaleno. Un secondo momento si ha sul Monte Sinai ove Dio consegna a Mosè le tavole della Legge non come aggravio, ma come forma di relazione con gli esseri da Lui creati. L’alleanza antica ha in se anche degli elementi tangibili, ne è un esempio la Birt Milah ossia la cerimonia di circoncisione effettuata nell’ottavo giorno di vita del neonato. Essa ha un riferimento biblico, rintracciabile in Genesi 17, 10 – 14 ove Dio ordina ad Abramo di essere circonciso, il cui senso maggiore è l’escissione di tutti i piaceri superflui ed eccessivi, ma anche la totale appartenenza a Dio che si attua con la rinuncia alle passioni impudiche. Nel N.T. L’alleanza è Cristo che porta a compimento quella antica. Non si attendono ulteriori alleanze, ma la Parusia.
Nazione Santa: è un concetto arcaico, ma anche attuale. Si riferisce in origine a Israele il popolo amato, che aveva il compito soprattutto attraverso la casta sacerdotale di mediare tra Dio e le altre nazioni. Con l’avvento del Cristianesimo in particolare nella Chiesa primitiva, la nazione santa era un gruppo di persone sacre, scelte per la liturgia. All’apice della nazione santa vi era il vescovo, il quale scelto dal popolo avevo la responsabilità massima nel condurlo a Cristo. Nel concetto di nazione santa ovviamente vi sono anche le realtà umane, rappresentate dalle istituzioni, in particolare quella politiche, le quali dovrebbero garantire e preservare i diritti inalienabili e per quanto concerne l’Europa proporre la valorizzazione, anche culturale delle radici cristiane. L’Europa ha identità grazie al Cristianesimo, il quale le ha consentito ogni forma di evoluzione ed emancipazione su differenti campi, si pensi agli enti educativi, sanitari e caritatevoli.
2811 Ma, nonostante la Legge santa che il Dio Santo gli dà e torna a dargli, e benché il Signore, « per riguardo al suo nome », usi pazienza, il popolo si allontana dal Santo d’Israele e « profana il suo nome in mezzo alle nazioni ».Per questo i giusti dell’Antica Alleanza, i poveri tornati dall’esilio e i profeti sono stati infiammati dalla passione per il suo nome.
Pazienza di Dio? In Esodo 34, 6 Dio è makrothymos ossia longanime, magnanime, paziente. Dio è legato al popolo amato il quale è dalla dura cervice e Dio utilizza così la makrothumei, affinché nessuno si perda e perisca. La pazienza di Dio non va però confusa con l’impassibilità di Dio. Essa è il lungo respiro della sua passione, del suo amore che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. La pazienza è in fine una virtù, un dono dello Spirito Santo elargito per grazia dal crocifisso risorto. La pazienza è così in congiunzione con l’umiltà, quindi con il riconoscersi incompiuti e fragili e così bisognosi dell’agape. Cipriano di Cartagine affermò: il fatto di essere cristiani è opera della fede e della speranza, ma perché la fede e la speranza possano giungere a produrre frutti abbisognano della pazienza.
2812 Infine, è in Gesù che il nome del Dio Santo ci viene rivelato e donato, nella carne, come Salvatore: rivelato da ciò che egli È, dalla sua parola e dal suo sacrificio. È il cuore della sua preghiera sacerdotale: Padre santo, «per loro io consacro me stesso; perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17,19). È perché egli stesso «santifica» il suo nome che Gesù «ci fa conoscere» il nome del Padre. Compiuta la sua pasqua, il Padre gli dà il nome che è al di sopra di ogni altro nome: Gesù è il Signore a gloria di Dio Padre.
Che cos’è la verità? Pilato va alla ricerca della verità, i filosofi greci vanno alla ricerca della verità, l’uomo odierno necessita della verità. Cosa è la verità? In greco verità si indica con aletheia il cui significato è non nascondimento. Aristotele sostiene che la verità si ottiene quando l’intelletto giunge a una conoscenza che gli permette di agire, passando da potenza ad atto. In teologia la verità è un ipostasi con due nature: Cristo con natura umana e divina in unione senza scissione e confusione. La verità è la realtà immanente, ma prima ancora trascendente dato che Dio è fondamento del cosmo è solo da Lui provengono gli enti. La verità viene poi posta in dissonanza con la fede nell’epoca moderna. In questo vasto periodo storico in soggetto è pensato in ottica materialista. Si pensi a Cartesio: l’uomo è una macchina, oppure a Freud che mediante il saggio “l’Interpretazione dei Sogni” tenta di fornire una risposta alle nevrosi umane, giungendo ad a chiosare che la causa è la censura sessuale. Per Freud il soggetto è esclusiva materia pulsionale, l’anima non esiste, non vige. In riferimento si ribadisce che la fede non è di intralcio alla scienza, anzi entrambe sono chiamate a dialogare pur adottando linguaggi differenti. Interpretando l’enciclica Fides et Ratio di San Giovanni Paolo II papa la ragione per non essere autosufficiente necessita del trascendente, di quel trascendente che si chiama Dio. L’eliminazione di Dio dagli apporti culturali ha sviluppato il relativismo e il nichilismo, ove l’uomo non accettando alcun valore si reputa Dio di se stesso. L’uomo è entità razionale, perché Dio lo ha così creato. Ogni scoperta umana è plausibile perché l’altro per eccellenza che è il divino l’ha concessa.
2813 Nell’acqua del Battesimo siamo stati «lavati […], santificati […], giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio» (1 Cor 6,11). Lungo tutta la nostra vita il Padre nostro ci chiama «alla santificazione» (1 Ts 4,7), e, poiché è per lui che noi siamo «in Cristo Gesù, il quale […] è diventato per noi santificazione» (1 Cor 1,30), riguarda la sua gloria e la nostra vita che il suo nome sia santificato in noi e da noi. Sta qui l’urgenza della nostra prima domanda.
«Chi potrebbe santificare Dio, giacché è lui che santifica? Ma traendo ispirazione da queste parole: “Siate santi, perché io sono santo” (Lv 11,44), noi chiediamo che, santificati dal Battesimo, possiamo perseverare in ciò che abbiamo incominciato ad essere. E lo chiediamo ogni giorno, perché ogni giorno ci lasciamo sedurre dal male, e perciò dobbiamo purificarci dai nostri peccati con una purificazione incessantemente ricominciata […]. Ricorriamo, dunque, alla preghiera perché la santità dimori in noi».
Giustificati: la dottrina della giustificazione fu interpretata in modo errato da Lutero che giunse ad affermare che la salvezza di ottiene per sola fede (sola fides) attraverso la grazia (sola gratia) di Dio e non per le opere. L’uomo apprende tale giustificazione dalle sole scritture.
Ermeneutica paolina: Paolo da fariseo zelante era consapevole che un giorno sarebbe giunto il giudizio di Dio e quindi la punizione di tutti coloro i quali avessero infranto le sue leggi. Paolo una volta convertitosi a Cristo afferma che Cristo stesso nel giorno del giudizio, giudicherà il mondo. Il criterio del giudizio quale sarà? La legge di Dio che Cristo ha compiuto in modo perfetto. Si diviene giusti attraverso colui che pur non conoscendo il peccato, venne fatto peccato. Si è giusti quindi nella dimensione in cui si accetta l’unione in toto a colui che Dio ha inviato sulla terra, per rivelare il senso fattivo di misericordia.
La santificazione del nome secondo il CCC 2814
Secondo questo canone, la santificazione dipende inseparabilmente dalla nostra vita e dalla nostra preghiera che il suo nome sia santificato tra le nazioni:
«Chiediamo a Dio di santificare il suo nome, perché è mediante la santità che egli salva e santifica tutta la creazione. […] Si tratta del nome che dà la salvezza al mondo perduto, ma domandiamo che il nome di Dio sia santificato in noi dalla nostra vita. Infatti, se viviamo con rettitudine, il nome divino è benedetto; ma se viviamo nella disonestà, il nome divino è bestemmiato, secondo quanto dice l’Apostolo: “Il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani” (Rm 2,24). Noi, dunque, preghiamo per meritare di essere santi come è santo il nome del nostro Dio». «Quando diciamo: “Sia santificato il tuo nome”, chiediamo che venga santificato in noi, che siamo in lui, ma anche negli altri che non si sono ancora lasciati raggiungere dalla grazia di Dio; ciò per conformarci al precetto che ci obbliga a pregare per tutti, perfino per i nostri nemici. Ecco perché non diciamo espressamente: il tuo nome sia santificato in noi; non lo diciamo perché chiediamo che sia santificato in tutti gli uomini».
Santificazione: essa consiste nel passaggio dallo stato di peccato allo stato di grazia. Santificazione in ebraico si definisce qadash e in greco hagiazo e significa separato, ossia scisso da quanto non conforme alle leggi divine. A livello teologico la santità implica la giustificazione (citata sopra) lo Spirito di Dio e la perfezione priva di peccato. Avendo già illustrato i primi due elementi si pone l’attenzione sulla questione della perfezione. In cosa consiste la perfezione? Nel compimento della vocazione cristiana che è appunto la santità. Origene afferma che si giunge alla santità con la volontà di aderire a Dio. La volontà è la capacità di esercitare l’intelletto attivo, quindi di porre in atto i dettami di Dio
Il Padre Nostro nel nome di Gesù secondo il CCC 2815
Questa domanda, che le compendia tutte, è esaudita attraverso la preghiera di Cristo, come le sei domande successive. La preghiera al Padre nostro è preghiera nostra se si prega nel nome di Gesù. Gesù nella sua preghiera sacerdotale chiede: « Padre Santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato » .
Custodisci nel tuo nome: è l’unità della Chiesa. L’unita attorno al Vicario di Cristo che Gesù stesso volle e dichiarò. La Lumen Gentium ribadisce che la Chiesa è il popolo di Dio gerarchicamente ordinato e la Chiesa quale madre e maestra costantemente prega, affinché coloro che si sono scissi si uniscano nuovamente accettando il primato petrino. Suddetta unità si attua anche nella collegialità di tutti i vescovi con il papa. La disobbedienza è un peccato, perché genera confusioni e scissioni. Ogni credente laico o appartenente alla gerarchia deve preservare l’unità della fede, anzitempo con l’obbedienza, quindi nel non annunciare se stessi, ma Cristo, nel non celebrare il momento, ma l’Eucaristia, nel non giustificare il peccato, ma nel correggere il peccatore, nel fornire anzitutto il pane spirituale e poi quello terreno. L’uomo ha primariamente bisogno di incontrare Dio. Questo incontro avviene nel tu: Gesù di Nazareth. Il tu poi diviene un noi trinitario, perché la ruah se non soffocata congiunge e unisce a Dio che è Padre e Signore. L’uomo se aperto allo Spirito Santo non perde la sua somiglianza con Dio perché con perseveranza vorrà vincere i peccati.
