Il culto dell’Assunzione di Maria si è originato nel V secolo d. C. nella cultura popolare, la quale nutre la stessa teologia. Il 1 novembre 1950 papa Pio XII, dopo differenti consultazioni e avvalendosi dell’infallibilità papale, mediante la Costituzione Apostolica Munificentissimus Deus proclama, con suddetta formula il dogma dell’Assunzione di Maria:
La Vergine Maria, completato il corso della sua vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo.
Dimensione teologica del dogma dell’Assunzione di Maria
La Vergine Santissima terminata la vita terrena è stata assunta in cielo, quindi in Paradiso in anima e corpo. Tale assunzione è anticipo della risurrezione della carne, che per le altre creature mortali avverrà con la Parusia. Maria è quindi l’unica creatura storica ad essere assunta al cielo in anima e corpo, acciocché non violata dal peccato originale. Si comprende quindi anche la circolarità tra dogma dell’Assunzione e Immacolata Concezione. Entrambi hanno per fine l’uomo in cammino verso la Beatitudine Perfetta. Sorge spontanea l’istanza se Maria è una creatura, come mai non è stata toccata dal peccato originale? Utilizzando le parole di Sant’Alfonso Maria de Liguori Maria da Dio è stata scelta come canale di congiunzione per l’umanità, Ella infatti ha partorito il Verbo e quindi non poteva essere in alcun modo intaccata dal peccato. Ha così vinto l’azione diabolica dell’antico tentatore, perché mediante il suo sì ha permesso l’ingresso nel mondo della grazia.
Associazione di Maria a Cristo
Alcuni passi biblici come Genesi 3, 15; Luca 1, 18, Apocalisse 12 e Prima Corinzi 15, 20 – 23 sono propedeutici per la comprensione dell’Assunzione di Maria. La Vergine è la primizia e la glorificazione a cui è decretata, raggiunge il culmine mediante l’incoronazione a Regina degli Angeli. Tale incoronamento è la giusta riconoscenza da parte di Dio, verso una creatura che mai ha conosciuto la corruzione del peccato originale e quindi degli ulteriori peccati.
Dottrina del peccato originale
- Il peccato originale è l’atto di ribellione compiuto da Adamo ed Eva progenitori del genere umano, la cui conseguenza fu la cacciata dal Paradiso Terrestre. In cosa consiste tale peccato? Anzitutto nella tentazione. Dio dopo aver creato Adamo ed Eva li pose nel giardino dell’Eden comandando loro di nutrirsi liberamente di tutti i frutti degli alberi lì presenti, eccetto quello della conoscenza del bene e del male. Eva però tentata dal serpente, simbolo della conoscenza e dell’intelligenza cede al peccato. Alla conseguenza del peccato vi è un interlocuzione: Dio domanda infatti ad Adamo dove sei? Adamo confessa di aver peccato, perché la donna che Lui gli ha posto accanto lo ha indotto a tale atteggiamento. Dopo l’interlocuzione segue la condanna da parte di Dio nei confronti del serpente, ma non dell’uomo e della donna, Egli infatti li riveste di peli di cammello. Il vestito è simbolo di dignità e cura da parte di Dio verso le sue creature.
- Ermeneutica: il peccato originale fu una vera e propria ribellione contro il divino, quale supremo creatore. Il peccato originale incluse quindi l’intelletto e la volontà. L’intelletto consta nel disconoscere la veridicità del Signore e la sua bontà infinita, tale da cedere alle lusinghe del demonio. La volontà riguarda invece la ferma decisione di ricusare Dio. L’uomo sostanzialmente bramò di divenire autonomo, eliminando però Dio dalla sua esistenza. Da tale superbia scaturirono poi differenti conseguenze: in relazione all’anima Adamo ed Eva persero non solo l’innocenza, ma l’idea stessa di timor di Dio ossia di riverenza, riconoscenza di essere sue creature. In relazione all’intelletto gli occhi dei progenitori si aprirono alla malizia, la quale offuscò la conoscenza di Dio. Essi infatti affermarono : Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo e mi sono nascosto. (Cfr. Gen 3, 8 – 13).
- La questione della nudità: con il peccato originale Adamo ed Eva perdono l’innocenza, non sapevano di essere nudi ed immortali. La conseguenza più nefasta fu la perdita della grazia divina e la morte dell’anima.
La necessità di un Salvatore
Il fulcro della storia è il Venerdì Santo in quanto attraverso il cruento e necessario sacrificio della croce, l’umanità è definitivamente redenta. Il Figlio di Dio nella condizione divina, obbedisce al Padre, il cui amore raggiunge un estremo: la sua morte sulla croce. Il Logos attraverso la croce dona per grazia alle creature, la possibilità di essere partecipi della sua gloria. Nel trafitto l’uomo trova la sua dignità. Il mistero della croce è così la manifestazione dell’eros di Dio per l’uomo, quell’eros che come ben redige Pseudo Dionigi è la forza che non permette all’amante di rimanere in se stesso, ma lo spinge a unirsi all’amato. La croce è il nuovo albero dal quale Dio mendica l’amore della sua creatura. Egli infatti ha sete dell’amore di ognuno di noi, affinché in relazione con Lui si salvi. Il trafitto è colui dal quale sgorgano sangue ed acqua; ossia Battesimo ed Eucaristia. Il Battesimo elimina la colpa antica e allo stesso tempo dischiude nel neofita l’amore trinitario. L’Eucaristia invece è la comunione frequente di quell’amore, che ha assunto sembianza umana e che ci chiama a nutrirci di Lui in attesa della Pasqua perenne.
Maria e il fine dell’uomo
Il destino dell’uomo è la gloria, proprio come è avvenuto per Maria. Prima del peccato originale anche gli uomini erano detentori del dono preternaturale: l’immortalità, ma a causa della superbia sono divenuti esseri per la morte. Se l’uomo non avesse peccato, non sarebbe morto, ma bensì assunto come Maria in anima e corpo in un passaggio indolore. È a causa del peccato che la morte ha fatto il suo ingresso nel mondo, ma per mezzo di Cristo la direzione verso la visione beatifica è stata riaperta.
I cristiani vadano oltre l’Essere e tempo di Heidegger
Il filosofo Heidegger ha dedicato una riflessione precisa e attenta sulla morte, in particolare nell’opera “Essere e tempo”. Heidegger vuole costituire un ontologia fondamentale, ossia una speculazione sull’uomo nel mondo. Egli infatti afferma:
- Non vi è l’uomo senza il mondo: l’uomo sostiene Heidegger è un essere del mondo. Egli ha però una concezione esclusivamente materialista, in quanto reputa l’uomo solo come parte del mondo, eliminando così la dimensione soprannaturale. Per Heiddeger essere uomo significa entrare in relazione con le sole realtà terrene. Da questo essere per il mondo, deriva poi la cura, ossia la preoccupazione del compimento del sé. Un compimento però esclusivamente terreno.
- Il dramma della morte: la morte chiosa Heidegger è necessaria. Egli la definisce inoltre come impossibilità della possibilità. Quale significanza? Con la morte, l’essere decade, divenendo così un nulla. La morte accade ed è irrisione dei progetti umani, conducendo così l’umano nel vuoto, nel nulla. La morte è la forma più autentica del Dasein, quindi dell’essere, perché possibilità che struttura l’esistenza dell’uomo, senza però essere aperto all’altro per eccellenza che è Dio. Una vita scissa da Dio è apoteosi terrena, ove giunti al fine si cade nel baratro della dannazione, perché volontariamente si è eliminato il Salvatore.
Conclusioni
La speranza cristiana scaturisce dalla Pasqua che si rivela anche nelle differenti ricorrenze, quali la Vergine Maria e i Santi. Il fine di ogni culto è l’apertura al trascendente, in attesa del suo ritorno glorioso, ove la morte non prevarrà, ma bensì verrà definitivamente annientata. Il cristiano non cede quindi a filosofie positiviste, ma si subordina a Cristo reale verità. Per il cristiano la fede non è una congiunzione poetica o di natura cosmica come lo fu per Heidegger ove Dio è una possibilità. Per il credente Dio è l’essere da cui scaturiscono gli essenti per atto d’amore e in relazione a questo amore, per grazia divengo figli nel Figlio e assurgono in circolarità al libero arbitrio alla salvezza. Ecco quindi anche il fine ultimo del dogma dell’Assunzione di Maria: essere aperti al trascendente, per poter ottenere la stessa corona di gloria che Lei ha ottenuto.
