Introibo
Il Padre Nostro è la più antica e fondamentale preghiera cristiana, istituita da Cristo stesso e revisionata dalla CEI nel 2020 anche se i Cardinali Giacomo Biffi e Carlo Maria Martini erano in accordo per una revisione di tale preghiera nell’assemblea tenutasi nel 2000 al Consiglio permanente della CEI.
Origine del Padre Nostro
Gesù nel Discorso della Montagna (Mt 6, 9 – 13), annunciando le beatitudini, insegna ai discepoli la modalità corretta di pregare, quindi di relazionarsi intimamente con il Padre. Le prime quattro richieste sono rivolte a Dio e le ultime sono entità antropologiche, sempre subordinate al teologico. Gesù propone una trascendenza immanente di Dio, ove la dimensione dell’onnipotenza e dell’alterità divengono storia in Lui che è l’Unigenito. Anche l’evangelista Luca, in forma però breve, pone in risalto la dimensione didattica di Gesù, il quale ritirandosi in un luogo appartato insegna ai discepoli a pregare, sull’esempio questa volta di Giovanni Battista suo precursore.
Didaché capitolo VIII, 2 – 3 riferimento al Padre Nostro
La Didaché è un testo cristiano di origini sconosciute, redatto probabilmente tra il I e il II secolo d. C. fra la Siria e l’Egitto. I Padri della Chiesa lo considerarono un apocrifo ed ecco perché non venne incluso nei testi neotestamentari. I capp. 7 – 10 trattano dei Sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia in particolare ai versetti 2 – 3 essa chiosa così:
Ti ringraziamo, Padre nostro, per la vita e la saggezza che ci hai fatto conoscere per mezzo di Gesù tuo Servo, a Te sia la gloria per sempre. Come questo pane spezzato fu sparso sui monti e fu raccolto e divenne uno, così la tua Chiesa si raccolga dalle estremità della terra nel tuo regno, poiché tua è la gloria e la potenza in eterno per mezzo di Gesù Cristo. Ma nessuno mangi o beva della tua Eucaristia, se non è stato battezzato nel nome del Signore, poiché anche riguardo a questo il Signore ha detto: “Non date ciò che è santo ai cani”.
Il riferimento è si rivolto al Battesimo e all’Eucaristia ma include anche la preghiera del Padre Nostro ed esso lo si rintraccia oltre alla pericope iniziale in quella di mezzo: “sui monti”. Il monte rimanda al luogo in cui Gesù dopo essersi trasfigurato, insegna ai discepoli a pregare.
Analisi teologica del Padre Nostro
Primo punto – Chi è Cristo?
Tertulliano disse: è il Signore nostro è lo Spirito di Dio, la Parola di Dio ed anche la ragione di Dio. Lui è anzi la Parola della ragione, la ragione della Parola e lo Spirito dell’una e dell’altra, il quale ha fissato per i discepoli del Nuovo Testamento ha fissato una nuova preghiera.
Gesù è così la nuova grazia di Dio che tutto ha rinnovato, attraverso l’incarnazione ossia la presentazione al mondo in “veste” umana per essere poi crocifisso per la redenzione del mondo. Cristo è colui che ha poi portato a compimento le antiche profezie; infatti nel Vangelo si annuncia che Lui è lo Spirito di Dio, la Parola di Dio, la ragione di Dio. La preghiera che Lui insegnò (Padre Nostro) è composta da suddette tre dimensioni.
È fatta di
1. Spirito ed ecco il motivo per cui ha molta efficacia.
2. Parola. La parola è il logos, quindi Cristo.
3. Ragione
Gesù quando ha insegnato a rivolgersi a Dio in preghiera ha anzitutto posto in risalto la capacità di orare nel segreto. Segreto, quale scopo? Cristo conduce l’uomo ad una fede matura, proprio per eliminare le apparenze tipiche di taluni farisei e a credere esclusivamente in Dio affidando a Lui le proprie preghiere, senza eccedere nel proferire le parole come spesso accade ai farisei quindi a coloro i quali, oltre a farsi ammirare dalle genti, pensano che Dio a priori non conosca lo statuto della loro anima. La brevità della preghiera non indica però la frivolezza delle parole, in quanto tale semantica deve essere sorretta da vocaboli beati, pur nella loro semplicità. Nella preghiera del Padre Nostro si può affermare che l’intero Vangelo venga sintetizzato, in quanto Cristo indica fattivamente chi è Dio, cosa significa che avvenga il suo regno e come giungere a tale regno.
Secondo punto: ermeneutica teologica del Padre Nostro
Padre: è il sostantivo che Cristo adotta per rivolgersi a Dio. Lui è la prima persona a chiamare Dio con il nome di Padre. Nemmeno Mosè il profeta più importante dell’Ebraismo pur chiedendo il nome al Signore dei Signori, poté definirlo padre. Ai battezzati, per grazia di divenire figli nel Figlio è stata offerta la possibilità di chiamare Dio con l’appellativo di Padre. Tale possibilità la si ha per mezzo di Cristo il quale già in altri contesti ha rivelato la sua figliolanza divina: Sono venuto nel nome del Padre(Gv. 5, 43). Padre glorifica il tuo nome(Gv. 12, 28). Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini(Gv. 17, 6).
Nostro: Dio è Padre dei cristiani tutti, per azione pneumatica, la quale si attua già nel Battesimo. Il Battesimo imprime la dimensione trinitaria che poi si accresce con gli ulteriori sacramenti. L’aggettivo possessivo nostro indica anche l’universalità cosmica, quindi la volontà che Dio ha di raggiungere attraverso una grazia particolare, che Lui solo conosce tutti coloro che credono in Lui. Certo codesti, non potranno equipararsi ai cristiani in quanto hanno una conoscenza deficitaria del divino, perché non hanno accettato o conosciuto il Figlio. Certo la salvezza è offerta anche a costoro, in forme che solo Dio conosce, ma ai cristiani è stata data la pienezza in quanto per mezzo della sposa di Cristo: la Chiesa sono offerti tutti i mezzi per comprendere e attuare qui e ora la salvezza. Ecco quindi il senso del monito: molto vi è stato dato e molto vi verrà richiesto. Il battezzato in Cristo ha una responsabilità alta, in virtù del fatto che possiede i mezzi per giungere alla Beatitudine Perfetta(Sacramenti, Magistero, Sacra Scrittura, Orazioni).
Che sei nei cieli: questa espressione non indica un luogo, ma un modo di essere. Dio è la trascendenza. Dio è al di là e al disopra di tutto. È la maestà di Dio codesta ed è la presenza nel cuore dei giusti. Il cielo è la reale patria, verso cui si tende nell’ottica della speranza. Il cielo è così simbolo dell’alterità di Dio. I cieli sono i cieli del Signore. I cieli stanno a indicare che Dio è tre volte santo, ma allo stesso tempo è anche accanto agli uomini, pur essendo alterità rispetto ad essi. La pericope che sei nei cieli attesta inoltre che il pellegrinaggio terreno non è fine a se stesso, ma diretto alla Beatitudine Perfetta, quindi al Regno che Dio ha preparato per i suoi seguaci.
Sia santificato il tuo nome: quale significato? Riprendendo Isaia 6, 3 e Apocalisse 4, 8 si può indicare che le creature angeliche definiscono Dio come Santo, Santo, Santo. Santificare il suo nome indica il senso ontologico, ossia l’essere di Dio, appunto Santo. A tale santità partecipa anche l’uomo, che esiste in virtù dell’arché divenuto logos. L’appartenenza divina è sempre aperta all’alterità che si ramifica nell’incontro gesuano, ma anche nell’esercizio del sacerdozio comune affinché i lontani divengano vicini e riconoscano la loro imago dei.
Venga il tuo regno: è l’attuazione hic et nunc della sua volontà, quindi nella realizzazione della salvezza, in quanto il cosmo è destinato a cessare e con esso tutti i regni della terra. Rimane quindi il solo Regno di Dio che è la speranza attiva dei cristiani, il desiderio primo ed ultimo dei votati al martirio. I martiri quali primi imitatori di Cristo lasciano sbigottiti i pagani di un tempo, come quelli di oggi. I martiri sono inoltre la gioia degli angeli, dacché uniti a loro lodano l’Eterno. Certo nell’annuncio del Regno di Dio i bisogni terrestri non vengono elusi. Il cristiano non è un panteista, ma prima di desiderare i beni materiali è bramoso dei doni soprannaturali a cui quelli naturali sono subordinati. Cercate dapprima il regno e allora vi saranno date in abbondanza anche queste cose(Mt. 6, 33; Lc. 12, 31)
Sia fatta la tua volontà: è l’obbedienza a Dio. Cos’è l’obbedienza? Dal latino ab audire e significa ascoltare. Il credente è colui che si pone in ascolto della Parola di Dio. Affermare di fare la sua volontà significa di volersi a Lui affidare totalmente ed apprezzare il modo in cui opera. Riconoscere la volontà di Dio significa affermare che la sua saggezza, supera quella umana. San Paolo in Romani 11, 33 – 36 ribadisce:
O Dio, come è immensa la tua ricchezza, come è grande la tua scienza e la tua saggezza! Davvero nessuno potrebbe conoscere le tue decisioni, né capire le vie da te scelte verso la salvezza. Chi mai ha potuto conoscere il tuo pensiero, o Signore? e chi mai ha saputo darti un consiglio? Chi ti ha dato qualche cosa per riceverne il contraccambio? Tutto viene da te, tutto esiste grazie a te e tutto tende verso di te. A te sale, o Dio, il nostro inno di lode per sempre. Amen
Pregare per fare la volontà di Dio indica anche che solo il suo piano è di salvezza, che tocca l’animo umano se esso è aperto ovviamente alla docilità dello Spirito Santo. Le sole opere buone, scisse dalla fede non consento all’uomo di essere salvato. La volontà di Dio interpella anche quella umana: essa è in conformità o in dissonanza con il Divin Redentore? Cristo ha sempre compiuto la volontà del Padre anche nel frangente più drammatico, ossia la consegna da parte dei Giudei a Pilato e la morte in croce. Nel Getsemani però Gesù ha proferito: Padre non si fatta la mia, ma la tua volontà. Pregare che sia fatta la volontà di Dio significa anche considerare l’alterità; l’altro affinché conosca la verità e si salvi. Ecco che ognuno è chiamato con la Parola, l’esempio e la vita di fede attiva ad esercitare il sacerdozio comune, affinché Dio possa mediante ogni battezzato condurre a se le anime. Sia fatta la tua volontà è inoltre un’attestazione trionfale. La volontà di Dio trionferà su Satana e sui malvagi. Satana ha un tempo limitato e soprattutto non ha più la possibilità di redimersi. L’uomo invece sino all’ultimo istante terreno può riabilitarsi.
Come in cielo così in terra: indica l’unione tra Dio e il cosmo. Egli creò gli enti, tra cui la terra in modo perfetto, ma a causa del peccato l’armonia si è interrotta. Suddetta armonia però Cristo l’ha ristabilita mediante il sacrificio della croce. La terra cosa indica? La sovranità di Dio perché tutto è a Lui sottoposto. La terra è il luogo temporale ove ogni battezzato in relazione alla propria vocazione, esercita la sopra citata volontà di Dio. Il cuore della terra è certamente l’uomo, considerato però non nell’esclusività materiale, tipica della corrente scientista, ma bensì nell’unità corpo spirito. L’uomo non è un oggetto che può essere violentato dalle moderne forme tecnico scientifiche, ma è bensì il soggetto agente di Dio. Esso lo rappresenta in attesa del suo ritorno glorioso. Ciò che nobilita l’uomo e si il corpo che è tempio dello Spirito e tabernacolo di Cristo, ma anche l’anima, la quale in congiunzione alla materia è redenta e attende la risurrezione finale. L’uomo è la creatura per eccellenza superiore alle altre, perché dotato di anima razionale, la quale se contempla Dio è a imago dei. Se contempla se stessa è destinata alla dannazione. Ecco quindi il senso anche ecologico della terra. La dimensione ecologica, non può trascendere l’uomo, ma deve partire da esso, subordinando a se gli sviluppi della scienza e della tecnica.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano: Il pane quotidiano è Cristo. L’evangelista Gv. 6, 35:
Io sono il pane della vita.
In successione questo è il mio corpo: l’Eucaristia. Chiedere a Cristo il nostro pane quotidiano sta a indicare la fattiva volontà di vivere di Lui, di non essere mai scissi dal suo corpo. Il corpo di Cristo è l’economia storica, perché salvifica. In successione il senso del pane quotidiano è la capacità di non affannarsi, quindi di non fondare la propria essenza sull’esclusività materiale. L’uomo è si materia, ma anche anima. Ciò che fornisce identità e senso alla materia è l’anima, la quale in unione con la virtù della sapienza medita Dio.
Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori:
Il senso di tale pericope è l’exomologesis quindi l’umiltà di riconoscersi peccatori e di volersi accostare al sacramento della Riconciliazione, il cui senso non è l’umiliazione del penitente, ma la ricostituzione dell’anima. Perché la locuzione debito? Il peccato è un debito, acciocché interrompe la relazione agapica con Dio e con gli altri. A livello biblico e teologico il concetto di debito non ha accezione giuridica, ma condonante, ossia riconoscersi destinatari della grazia e in virtù di essa perdonare. Ecco quindi il senso di rimetti a noi i nostri debiti. Per meglio esplicitare il senso, si cita il brano di Mt. 18, 21 ove Pietro rivolgendo a Gesù la domanda quante volte dovrò perdonare mio fratello, Gesù risponde settanta volte sette. Pietro pone all’attenzione del Maestro un quesito complesso: il perdono. Il perdono ha certo una caratteristica: dimenticare il male subito, congiungendosi così al mistero della croce di Cristo. San Josemaría Escrivá, confrontandosi con la parabola del servo debitore, ricorda che nessuno può considerarsi non debitore. Non vi sono al mondo alcuni, nemmeno i Santi, che possono restituire al Signore quello che Lui nel cruento sacrificio della croce ha donato soffrendo. Ecco quindi il monito a non attuare una controrisposta malvagia ai torti subiti i quali, pur certamente meritano di essere risolti, ma sempre sull’esempio di Cristo. Se dovesse giungere la tentazione di non perdonare, si ricordino le parole del padre misericordioso riportate da Luca al capitolo 15:
Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto.
Non ci indurre in tentazione (in seguito si approfondirà la questione che ha suscitato scalpore)
L’antico tentatore sino alla fine dei tempi in forma ordinaria, quindi mediante la tentazione, condurrà l’uomo a peccare e soprattutto ad autocondannarsi allo Sheol che nella tradizione cristiana è l’inferno, se il peccato, in particolare è mortale. L’inferno è luogo eterno ove non vi è alcuna possibilità di redenzione, perché le anime in coscienza si sono da sè condannate. Dio ha un piano univoco: la salvezza, la quale si palesa in Cristo nella dimensione del libero arbitrio. L’uomo è a imago Dei perché dotato di raziocinio e quindi di capacità massima per comprendere le leggi divine, tale da essere salvato. L’inferno è il rispetto che Dio ha per le sue creature, in quanto Egli non si impone, ma propone nell’incarnazione del Verbo. La tentazione certo toccò anche Gesù ma Lui ha indicato le “armi” per eccellenza, per contrastare il diavolo. Esse sono i Sacramenti, in particolare la Riconciliazione e Eucaristia e la preghiera. L’uomo non deve farsi cogliere dal sonno che ha colto i discepoli. Il sonno in tal frangente è spirituale ed indica l’incapacità di corrispondere all’amore di Dio. Non indurci in tentazione significa quindi chiedere a Dio di scinderci dal maligno, per poter così godere di Lui.
Ma liberaci dal male
Dio non può compiere il male né per natura, né per volontà, in quanto in esso non può venire meno il principio attivo che muove tutta la natura, ovvero l’amore. Dio crea per amore. Si evince che non può essere causa del male e causare male agli altri. La causa del male è il diavolo che persuade sia a livello interiore, che esteriore l’uomo. Il diavolo quindi induce a peccare. Il peccato è un atto promosso dal tentatore. Per peccare vi è ovviamente bisogno della volontà, la quale è mossa dall’intelletto. La volontà in relazione al peccato agisce però in modo irrazionale, perché il desiderio della volontà dovrebbe essere la beatitudine e non la miseria, che è appunto il peccato.
Il diavolo può persuadere l’uomo in due modalità: visibile e invisibile.
1. Visibile: influendo sui sensi, come avvenne per Adamo, ma anche per Cristo che ha saputo però contrastarlo.
2. Invisibile: attraverso la persuasione e disposizione.
3. Persuasione: l’intelletto viene illuminato dalla fede, se la volontà l’accetta esso ha agito in modo corretto, se no ha agito in modo irrazionale.
4. Disposizione: l’intelletto umano deve convergere al bene eterno. Nel cosmo Dio ha creato tutto con ordine e nessuno può mutare tale ordine. Chi invece lo muta, commette peccato, in quanto l’intelletto è chiamato a partecipare alla legge eterna, mediante quella naturale.
Il male presenta forme differenti:
- 1. L’ignoranza volontaria: quando un soggetto pur conoscendo Cristo vuole ignorarlo. Così commette peccato.
- 2. Per debolezza: sono gli appetiti sensitivi, quindi le passioni, che se non conformi alla verità inducono a peccare. Si pensi alla genitalità. Essa è corretta nella dimensione della donazione procreatrice e non nell’esclusività del piacere.
- 3. Per malizia: il peccato se perpetrato nel tempo e non confessato diviene un habitus.