VIAGGIO NELLA SANTITÁ CAPPUCCINA. San Felice da Cantalice primo Santo Cappuccino (2)

Fonte Frati Cappuccini

Fra Felice vegliava di notte. Con la lampada accesa in mano cercava nella

chiesa se vi erano dei confratelli e li pregava di andare a riposo. Quando pensava di essere solo iniziava la sua solenne e drammatica preghiera. Anch’io, iniziando a riflettere per comporre, nella luce della sua esperienza, i lineamenti essenziali della santità cappuccina1, lo voglio imitare: nella moderna Chiesa domestica dei fratelli cappuccini cerco i pochi curiosi lettori che spiano la trama e l’evoluzione di questa vita di un santo, di questa santità così lontana, apparentemente, dalla modernità, e li invito a ritirarsi, a non essere semplicemente spettatori di un dramma perduto, di personaggi che vivevano in un’Italia, in una Roma più ristretta e variopinta di toni religiosi e clericali, di un popolo più semplice e povero, di processioni e cerimonie religiose, di bambini chiassosi per le strade, di carrozze e di cavalli scalpitanti sul selciato.

Penetrare nella santità di un santo non è un affare pubblico e allo scoperto, è un velarsi in una solitudine nascosta, in un ascolto di gridi e di silenzio, è come immergersi in una notte di tenebre e in una solitudine di deserto che possono preparare la luce dell’aurora e del giorno: Et nox sicut dies illuminabitur (Sal 138, 12). É un discorso dell’anima che cerca di animarsi, di muoversi e ravvivarsi nello spirito che animava e ravvivava questo santo della primavera cappuccina. É quindi una conversione anche intellettuale, oltre che spirituale. Una vita che possiede toni alti e bassi, luci abbaglianti e spazi di buio non solo documentario.

Fra Felice – mi viene da chiedere – chi sei tu? Qual è il tuo segreto? Cosa nascondi nei tuoi gesti quotidiani disadorni e umili? Egli risponde, ma non direttamente con parole, che sono poche e “mozze”. La sua rivelazione nasce dal silenzio, dal silenzio di una lontananza di storia di secoli, dal segreto di un deserto di silenzio interiore dove nasce la parola, e più si addensa questo silenzio, più cresce la parola che illumina e rivela il mistero. Nel mondo contemporaneo sembra ormai dominare soltanto il puro “brusio verbale”, una parola ormai uccisa dall’abuso mediatico e televisivo, perché ha divorziato dal silenzio. Fra Felice non si sarebbe mai messo in mostra, se non per essere umiliato. Faceva tutto nel silenzio, nel nascondimento, in modo che nessuno sapesse ciò che faceva. Egli si considerava indegno di stare tra i frati. Amava servire e scomparire. Il suo ritratto furtivo, tracciato di nascosto dal Cavalier d’Arpino quando era giovane garzone del Pomarancio, rivela il suo volto umano immerso nel silenzio e che è attento ad una parola interiore2.

Bisogna guardarlo a lungo e allora sembra che, mentre converge in un centro invisibile che lo plasma, possa iniziare a dire quelle parole che nascono da un fecondo silenzio. Credo che le parole raccolte in questo tentativo di cammino nei sentieri della santità cappuccina troveranno la loro piena espressività comunicativa nel momento in cui faranno sprofondare in quel silenzio, dove non ci sono parole adatte per esprimere ciò che si sente.

Fonte Santo del giorno

Fra Felice era un uomo di preghiera, mistico realista sempre orientato verso un’esperienza d’incontro con la verità di sé, con Dio, nel profondo della propria intimità3. Da qui la tipologia della sua santità. Una santità che è diventata un modello, un magistero di operosità, un’attrazione di apprendistato.

Questa sua formidabile interiorità era per così dire spiata già durante la sua vita da molti frati che stavano nascosti in chiesa di notte ad osservare e ammirare nel silenzio i gesti oranti di Felice. E da qui si sprigiona il suo magistero e il modello della sua santità come annota efficacemente Mariano D’Alatri:

«bisognerebbe cercare di conoscere meglio l’influsso (non ufficiale, ma carismatico e reale) da lui esercitato sulla vita e nella storia dell’Ordine cappuccino, nell’ubertoso campo della perfezione religiosa e della santità. Non mancano certo gli indizi per scoprire i canali e le forme di detto influsso. Basti accennare alla larghissima diffusione delle sue immagini (“Pictura est laicorum litteratura”, e non soltanto degli illetterati!), delle “vite”, delle reliquie, del culto, di particolari formule di preghiere e, quel che più conta, all’impegno di imitarlo specialmente da parte dei fratelli laici cappuccini, alcuni dei quali sono stati annoverati nell’albo dei beati e dei santi. É infatti accertato che, tra i cappuccini, fra Felice fu il santo maggiormente amato e seguito come modello. Una indicazione in tal senso la si può ravvisare persino nel gran numero dei frati che, entrando in Religione, presero il nome di Felice. Cosi, nel 1650, tra i circa 11.000 cappuccini d’Italia, 277 si chiamavano Felice e, fino al 1966, il Necrologio della provincia Romana registra 217 frati che portarono lo stesso nome. Ma forse l’influsso da Felice esercitato fu più vasto e profondo di quanto si possa immaginare… E il suo esempio ha fatto scuola. In questo modo egli diventa uno dei padri o artefici della forma di vita cappuccina, non dal punto di vista gerarchico o giuridico, bensì sotto l’aspetto carismatico, così da poter figurare a giusto titolo accanto alla schiera dei frati che, negli anni 1535-36, e immediatamente seguenti, diedero alla riforma cappuccina la “vera immagine di religione”»4.

Fonte Provincia Serafica Immacolata Concezione

Sono significative alcune testimonianze di fratelli laici rilasciate durante il processo di canonizzazione voluto da papa Sisto V. Fra Agostino Roncalli da Bergamo († 1623), descrivendo la preghiera del santo, con evidente riferimento all’insegnamento orale e pratico ricevuto durante l’anno del noviziato, affermava:

«Alcune volte io andava in chiesa la notte, lo trovavo in chiesa all’orazione… stava inginocchioni e teneva la corona in mano; e lui aveva questo che, quando vedeva qualche frate in chiesa, stava con silenzio e non faceva atto alcuno e cercava di far secretamente quello che faceva, Io l’ho inteso dire agl’altri frati, che il detto fra Felice soleva dir orazioni e far aspirazione; e quando vedeva qualche frate in chiesa fuor dell’ora solita, li diceva: Che fai che non ti vai a riposare?… Soleva dir certe orazioni, quali lui diceva canzoni, che insegnava alli putti ordinariamente; e una era: O Giesù, Giesù, / figliuolo di Maria, / chi ti possedesse / quanto bene averia»5.

Nelle testimonianze processuali si trovano altre “canzoni” come queste: “O dolce amore, Giesù, sopra ogni amore, / scrivimi nel cuor quanto mi amasti / Giesù, tu mi creasti, / ch’io ti dovessi amare”. – “Giesù, Giesù, Giesù, / Pigliati il mio cuore / e non me lo render più”. – “Chi la croce stringe bene / Giesù Cristo li sovviene / e il paradiso ottiene / e la gloria eternale”. – “In questa nostra terra / è nata una rosella, / una bella Verginella, / ch’è Madre di Dio”. – “Croce di Cristo in fronte mia, / parole di Cristo in bocca mia, / amor di Cristo nel cuor mio: / mi raccomando a Giesù Cristo / e alla sua dolce Madre Maria”6.

Un altro fratello laico fra Domenico da Carbognano (fl. 1587) così descriveva la preghiera del santo:

«Detto fra Felice nell’orazione soleva esser assiduo, nel giorno in quel tempo che li avanzava dalla cerca, ma la notte soleva continuamente levarsi o alle due o tre di notte, e andava in chiesa, dove stava sino che sonava la prima del matutino. Subito sonato, si partiva e andava in cella. E come li frati ritornavano dal mattutino, egli ritornava in chiesa e vi stava sino a che aveva udita la prima messa, alla quale esso serviva e poi si comunicava… Era secretissimo nelle cose sue, e faceva ogni opera acciò che li frati non sapessero che cosa egli facesse. Ben soleva molte volte dire a me che bisognava far orazione a Cristo con amore, e che Dio benedetto non voleva altro da noi se non atti d’amore. E questo me lo diceva con grande affetto, come io potevo scoprire»7.

Un altro fratello, fra Angelo da Penne (fl. 1587), abruzzese, così depose:

«Lui usava assai l’estrazione nell’orazione, e biasimava quelli che, quando legevano e trovavano qualche bel passo, non chiudevano il libro e si fermavano a meditare. Ed esso averia cominciato a dire la corona, ma non la finiva per la meditazione ed estrazione. Sempre faceva orazione, quando andava alla cerca. Sempre alzava la mente, e la mente era quella che lavorava… Mi diceva che subito che entrava in orazione, si levava a contemplare ora la Passione e ora la Natività di nostro Signore, secondo i tempi. Soleva dire che la vigna dei frati era la chiesa. E secondo che altri l’ornava bene e coltivava, fruttava bene. Volendo dire che nella chiesa bisognava farci orazione solennemente e frequentemente»8 .

Ma la descrizione più impressionante della preghiera e della vita di san Felice la troviamo nella deposizione di fra Alessio da Sezze Romano († 1621). Ne riportiamo alcuni tratti significativi:

«Io l’ho cognosciuto per uomo semplicissimo, e questo perché trattava familiarmente con un cardinale come che averia fatto con un pover uomo. E tutti trattava egualmente. Non dimostrava più affezzione ad una persona che all’altra. E nel conversare era semplicissimo, e non aveva in bocca se non parole sante e di edificazione… Era tanto geloso della Religione… Quando era in casa, o stava in cella ritirato o in chiesa o all’infermeria e fugeva la conversazione de tutti… Ogni giorno si communicava. E anco ho inteso dire che ogni giorno diceva la corona della Madonna…

«Quando andava alla cerca, come incontrava quelli che lo conoscevano (che erano quasi tutti putti, donne, uomini, cardinali e prencipi) e a quelli che li parlavano, soleva dire: Deo Gratias! Sia laudato Giesù Cristo!”. E alle donne e alli putti soleva dimandare se avevano detto la corona. E qualche volta aveva intorno 15 o 20 putti, quali tutti solevano dire: “Dimmi santarello!”, perché soleva chiamare li putti con questo nome. E diceva: “Siate benedetti, dite la corona”. E qualche volta che aveva fino a 30 putti intorno, li diceva: “Vuoi che ti dica santarello? Voglio prima che cantiamo un poco insieme; e dite come dico io: O Giesù, o Giesù, o Giesù, / pigliate il mio core / e non me lo rendere più. E diceva: “Cantiamo un’altra volta, ma alzate un poco più la voce, come dico io”, ripetendo lo stesso nome di Giesù con più alta voce, dicendo l’istessa spirituale canzone: “Piglia il mio cuore, e non me lo rendere più”. E so di più che, quando visitava qualche infermo o persona tribulata, compativa grandemente quella infermità e quella tribulazione, e quasi si trasformava con la pietà in quella paziente; e li diceva che dicessero insieme con lui una bella canzone: “Chi la croce stringe bene / Giesù Cristo li sovviene / e il paradiso ottiene / e la gloria eternale”. E molte volte, facendo dire questa canzona a l’infermi e tribolati la contemplava con devozione e gli uscivano le lacrime da gl’occhi per devozione delle parole e compassione del prossimo, pregando che facesse pian piano questa orazione seco. E diceva a l’infermi e tribolati, quando erano nel colmo del male o tribulazione, che si restringessero in loro istessi con la croce di Cristo, che così si guadagnava il paradiso…Fu di tanta carità verso il prossimo che quanti vedeva, secondo che se li offeriva, tutti invitava a l’amore di Cristo, della beata Vergine e di san Francesco. E molte volte per le piazze, per le strade, per le case, per le cantine, per li artisti, alli prelati e altre sorte di gente diceva parole per convertire li peccatori; e qualche volta diceva qualche detto della Scrittura, delle Profezie, le quali egli sentiva predicare…

Fonte Catalogo Generale ei Beni Culturali

«Aveva questo in sé che, nel trattare con la gente e in particolare con me, diceva: «Frate Alessio, non potemo andare di giorno come si fa la notte. Con tutto che andamo per le strade e nelle case nella conversazione delle genti, non bisogna che restamo senza qualche orazione e in particolare certe elevazioni della mente in Dio benedetto, pregandolo che non ci abbandoni e ci dia la sua grazia…». Altre volte diceva: «Facemo qualche orazione con la lingua, con la bocca, orazione vocale, dicendo il Pater noster o veramente l’Ave Maria, Sia lodato Giesú Cristo e la sua santissima Madre e altre cose simili, perché il frate senza orazioni il demonio ha gran forza a tentarlo».

«Quanto poi a l’orazione solitaria della notte in chiesa, come io l’ho osservato moltissime volte, lui teneva questa regola. Come andava in chiesa tra le dui e un’ora e mezza di notte, accendeva una candela e cercava tutta la chiesa; e se ci trovava frati, li diceva umilmente che si andassero a riposare acciò che potessero stare piú vigilanti poi al mattutino. Quando al parere suo che alla chiesa non ce fosse nessuno, lui cominciava li suoi esercizi spirituali in variati modi; stava alle volte con tanto fervore che non si sentiva altro che dire: « O, o, o! ». E averia durato questo motivo tre ore; poi pigliava un altro, e diceva: «Non ci era nessuno, non ci era nessuno!». E replicava questo moltissime volte. «Almeno ci fosse stato uno che avesse detto una parola in favor suo!». Poi si levava in spirito e diceva: «O signor mio Giesú Cristo, o signor mio Giesú Cristo!», più volte, «che abbandonamento è questo!». Di poi pigliava un pianto rotto con tanta ansietà e affanno che pareva volesse spirare: perché li frati osservavono in questi motivi: tutti quelli che lo sentivono, si compungevano in lacrime per devozione.

«Alle volte si metteva alla porta della chiesa in piede e caminava verso il santissimo Sacramento adagio adagio con le braccia in croce, e diceva queste parole e non altro: «Benedetto sia Dio, benedetto sia Dio!». E questo averia durato per spazio di doi ore in circa. Altre volte si stendeva avanti il santissimo Sacramento con la faccia in terra sul pavimento e con le braccia in croce: sarebbe stato qui alle volte per spazio di un’ora e di doi, senza fare nessuno motivo. Altre volte si metteva a cantare con una voce sottolissima come di putto, e non si poteva intendere quello che si dicesse; ma si sentiva bene la devozione che usciva da quell’azzione da quelli che erano presenti. Lui pensava in queste azzioni essere solo, ma ci erano tal volta presenti 15 o 20 frati. Fra l’altre volte, una volta il padre Lupo spagnolo, il quale portava grandissima devozione e credito a fra Felice, se ne andava di nascosto dentro il pulpito della chiesa per sentire li motivi di fra Felice. Li intesi dire una volta a questo gran padre che raccontava al padre Monopoli che fu cardinale, che allora era predicatore giovane: «Sappiate certo, padre mio, che fra Felice ha lo spirito di Dio, perché le azzioni che fa lui nella chiesa non sono umane, ma è trasportato dallo spirito». Che questa sia verità, l’effetto che fa negl’altri che lo sentono, come ha fatto a me, pensate come lo sente lui dentro di sé». Un frate una notte l’osservò e si messe sotto lo sgabello, nascondendosi ivi per non essere visto da fra Felice. Fra Felice andò sopra quello scabello e cominciò li suoi esercizi con quelli motivi suoi ordinarii. Qual povero frate, che stava sotto detto scabello de l’altare maggiore, gli venne uno sternuto. Fra Felice ebbe tanto dispiacere che colui avesse sentito le cose sue, che lo riprese aspramente e li disse che non andasse spiando in questo modo, ché Dio lo castigarà.

«Una notte, per il tempo delle raccolte piovose, in mezzo della chiesa si spogliò ignudo, solo lasciandosi le mutande, e gridava: «Misericordia, Iddio! Misericordia, Iddio!». E durò questo modo di dire più d’un’ora, sempre con la disciplina in mano, dicendo: «Signore, non guardare alli nostri peccati: abbici misericordia!». Io osservai da quella notte in poi che la pioggia cessò, e si fecero le raccolte.

«Dimandai poi io una volta al beato Felice, domandandolo: «Padre vecchio, io non trovo pace ne l’orazione; datemi qualche rimedio». Mi rispose: «Non credo remedio, soldato novello, figlio mio, insino a tanto che non avemo imparato a servire Dio con il poco e con l’assai. Iddio vuole essere servito a suo modo: alle volte vuole certi servizi di contrastamenti e di battaglie e che noi portiamo con pazienzia quelle distrazzioni, senza consentire con la volontà; altre volte vuole essere servito con la pace e con la quiete. E io dubbito d’essere uno di quelli perché, doppo che io sono frate, non ho avuto mai tribulazione né infermità, ma sempre pace: e per questo sospetto di me stesso, perché vedemo che tutti li amici intrinsici di Dio sono passati per amaritudini e tribulazioni. Però prega Dio per me». E le su dette cose le so di propria scienza. E queste cose le faceva per ordinario, quando più e quando meno»9.

Fonte Rivista San Francesco

Da queste testimonianze possiamo ricavare alcune linee di fondo della santità di Felice, anzi quella sintesi fondamentale di santità che egli addita come punta di diamante, nucleo centrale e insostituibile dal quale si irraggia ogni altro aspetto, come ha rivelato a un suo confratello, ossia che bisogna far orazione a Cristo con amore, e che Dio benedetto non vuole altro da noi se non atti di amore. Questo è il suo segreto, il cuore della sua santità. L’amor di Dio era la concreta sua verità, senza ragionamenti. «Aveva gran carità verso Dio, e perciò si occupava volentieri in cose che in fatti o in parole si trattasse della passione di Cristo»10. Era il suo libro dove attingeva la sua verità. E di fronte a tanti libri esposti sugli scaffali di una biblioteca privata, faceva valere la sua sapienza guardando a un Crocifisso e dicendo a un avvocato: «Signore, chi non intende questo libro non sa che cosa sia libri; e se intende questo libro, intende tutti li altri libri»11. Una foto istantanea: «Stava in coro appoggiata la testa a un braccio guardando il Crocifisso»12. Per questo «aveva Iddio nel cuore e soleva sempre dire ‘Gesù’, e farlo dire alli altri, quando trovava putti overo li preti: ‘Di’ Gesù!’»13 .

Egli indica solo una cosa: fare atti di amore, sempre, nel buio e nella luce, negli alti e bassi della vita, e trovare in questo esercizio Colui che è Amore. Gli altri aspetti derivano da qui. La sua semplicità, vera infanzia spirituale, la sua «dotta ignoranza» perché egli non sapeva né leggere né scrivere. Lo sguardo a terra, la corona in mano e il cuore rivolto a Dio cammina per le vie di Roma. «Giva col corpo per le strade di Roma – scrive Mattia Bellintani da Salò nella sua biografia – e stava con lo spirito in solitudine molto ritirata; entrava per tutte le case, né usciva mai dall’intimo secreto del cuor suo; ragionava con tutti, e tuttavia era intensissimo a gli interni ragionamenti con Dio»14. Non cerca la sensazione e l’apparenza e nemmeno il colloquio. Ma è disponibile, sensibile alle sofferenze e tribulazioni della gente, sentendole dentro di sé e quasi trasformandosi con la pietà in esse e così diventa la Caritas in persona per i suoi contemporanei15. Egli si lascia interrompere, si ferma per un breve saluto, uno scherzo, una canzone con dei bambini. Con essi ama cantare con un repertorio assai ricco e vario di “madrigaletti” sul Natale, l’Incarnazione, la Passione, l’Amore divino, la Vergine, le virtù e i novissimi, che usa quale strumento di apostolato. Quello che riceve lo distribuisce tra i poveri che lo chiedono lungo la strada. Fr. Felice visita anche gli infermi nelle case private, negli ospedali di S. Giacomo degli Incurabili, di Santo Spirito e di S. Giovanni in Laterano. Durante una carestia, assiste per un anno intero centinaia di famiglie. Anche in quei frangenti, a fra Felice il pane veniva dato in abbondanza. E così l’umile cercatore, senza comitati e servizi di stampa, poté alleviare la miseria di tanti poverelli16.

Il segreto di tutto questo amore caritativo sta in un processo di semplificazione derivante in Felice dal suo impegno di concentrazione di se stesso in Dio e in lui il suo animo riposa placato nelle più profonde esigenze. Per questo «nel conversare era solitario e parlava poco; quando s’incontrava con frati diceva: Deo gratias, e passava via; e parlava sempre di cose spirituali e con li predicatori metteva qualche dubio che esso si cavava dalli inni e dalle antifone»17. Come tutti i nostri santi “parlava poco”, ma faceva molto, pregava molto, «la sposa sua era la chiesa»18. «E quando lui udiva qualche predicatore e li era domandato: Fra Felice, che te ne pare?, lui diceva: Bo, bo, poco dico e poco fo o manco fo»19.

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  1. Sul tema della santità cappuccina mi sono avventurato varie volte con diversi contributi che tengo presenti e in parte utilizzo in questo ultimo saggio e sono i seguenti: I primi lineamenti di una “scuola cappuccina di devozione”, in Italia Francescana 59 (1984) 111-140; Testimonianze sulla vita cappuccina dai processi dei santi (1587-1641), in I frati cappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo. A cura di C. Cargnoni. Vol. III/1-2: Santità e apostolato. Roma-Perugia, Edizioni Frate Indovino, 1991, 4617-5272; Sulle orme dei santi. Il Santorale cappuccino: Santi, Beati, Venerabili, Servi di Dio. [A cura di Costanzo Cargnoni. Con la collaborazione di Servus Gieben direttore del Museo Francescano e di Pietro Maranesi. Presentazione di Jon Corriveau, Ministro Generale OFMCap. Introduzione di C. Cargnoni (p. IX-XXIV). Roma, Istituto Storico dei Cappuccini – Postulazione Generale, 2000. 21,5 cm., XXIV-440 p., ill.; Spiritualità, santità e devozioni, in I Cappuccini in Emilia-Romagna. Storia di una presenza. a cura di Giovanni Pozzi (†) – Paolo Prodi. [Bologna, EDB Edizioni Dehoniane, [2002]. 116-197; “Veri figlioli de lo eterno Padre”. La verità nella storia dei santi cappuccini, in Messaggero Cappuccino (Imola, Bo) n. 10 (2006) 12-15; La santità oggi: una via percorribile? Il carisma dell’Ordine cappuccino, in Rivista Storica dei Cappuccini di Napoli 3 (2008) 249-275; Santità francescana tra impegno educativo e carità sociale: la testimonianza del beato Giuseppe Tovini e del servo di Dio Cecilio Maria Cortinovis, in Santità francescana oggi. Significato figure formazione, a cura di Paolo Martinelli (Teologia spirituale, 16). Bologna, Edizioni Dehoniane, 2010, 65-83; Santi e santità nell’Ordine cappuccino, in Sulle orme dei santi. Il Santorale cappuccino: Santi, Beati, Venerabili, Servi di Dio. Seconda edizione. S. Giovanni Rotondo /FG), Edizioni Padre Pio da Pietrelcina – Postulazione Generale OFMCap., 2012, 9-56 (testo che seguo e in parte ripropongo e sviluppo più ampiamente); Punti luminosi della spiritualità cappuccina, in I Santi Cappuccini. Umili lavoratori nella vigna del Signore. Prefazione di S. Em. Card. Angelo Comastri. [Presentazione di Fr. Carlo Calloni, Post. Gen.]. Con breve compendio di Spiritualità cappuccina a cura di P. Costanzo Cargnoni ofmcap. A cura della Postulazione Generale OFMCap. Teramo, Edizioni Palumbi, 2017, 7-22. ↩︎
  2. Questo mirabile ritratto si conserva a Roma presso il Museo Francescano, V-L-90/1. ↩︎
  3. Cf. Vincenzo Costantini, Felice da Cantalice. Il santo delle sei lettere, in I Cappuccini si raccontano I, Roma, Provincia Romana dei Frati Minori Cappuccini, 2009, 134-144. ↩︎
  4. Cf. Mariano D’Alatri, Il santo delle vie di Roma, in Sulle orme dei Santi. Il Santorale cappuccino: Santi, Beati, Venerabili, Servi di Dio. Seconda edizione riveduta e aggiornata, a cura di C. Cargnoni con la collaborazione di Carlo Calloni. San Giovanni Rotondo, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina – Roma, Postulazione Generale OFMCap., 2012, 65-66. ↩︎
  5. FC III/2, Roma-Perugia 1991, 4655s. – La sigla FC I-V = I frati cappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo. A cura di C. Cargnoni. Vol. I: Ispirazione e istituzione. Vol. II: Storia e cronaca. Vol. III/1-2: Santità e apostolato. Vol. IV: Espansione e inculturazione. Vol. V: Indici. Perugia-Roma 1988/1988/1991/1991/1993. ↩︎
  6. Cf. Sulle orme dei Santi. Il santorale cappuccino: santi, beati, venerabili, Servi di Dio. Seconda edizione. San Giovanni Rotondo, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, 2012, p. 60. I madrigaletti o canzoni di fra Felice sono raccolte in Processus sixtinus, Romae 1964, 387-389. ↩︎
  7. FC III/2, 4675. ↩︎
  8. FC III/2, 4719s. ↩︎
  9. FC III/2, 4681s, 4684, 4686-4688, 4690-4692. ↩︎
  10. Ibid., 4687. ↩︎
  11. Ibid., 4688. ↩︎
  12. Ibid., 4703. ↩︎
  13. Ibid., 4705. ↩︎
  14. Dalla biografia di san Felice stesa dal Bellintani, ritrovata e pubblicata da Vincenzo Criscuolo, Uno scritto inedito di Mattia da Salò: la biografia di san Felice da Cantalice, in Coll. Franc. 82 (2012) 173, tutto l’art. 157-238. ↩︎
  15. Scrive ancora Mattia da Salò: «Questa è la virtù che ha illustrato questo santo religioso, insieme con la oratione, et sono queste due virtù state in lui due ale, che a volo hannolo portato a Dio et al prossimo, a Dio l’oratione, al prossimo la carità; et communicandosi l’una l’altra i suoi frutti, la carità dava all’oratione spirito e vita, la oratione alla carità fuoco e fiamma. Et sicome orando faceva la carità a’ prossimi in pregar per loro, così ne’ servigi di carità teneva lo spirito levato in Dio, orando sempre a Dio con puro cuore»: cf. Vincenzo Criscuolo, Uno scritto inedito di Mattia da Salò: la biografia di san Felice da Cantalice, in Coll. Franc. 82 (2012) 197-198. ↩︎
  16. Su questi e altri aspetti della vita di san Felice cf. M. d’Alatri – S. Gieben, San Felice da Cantalice nella devozione popolare. Roma, Istituto Storico dei Cappuccini – Provincia Romana dei Cappuccini, 1987; Miguel Gotor, Felice da Cantalice e i cappuccini, in I beati del papa. Santità, Inquisizione e obbedienza in età moderna. Firenze, Leo S. Olschki, 2002, 43-48; Ilarino da Milano, Fra Felice da Cantalice il Santo delle vie di Roma, in L’Italia Francescana 23 (1948) 126-141; Mariano da Alatri, Fra Felice da Cantalice, il santo del popolo romano. Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1958; Vincenzo Criscuolo, San Felice da Cantalice e la Roma del ‘500, in San Felice da Cantalice. I suoi tempi, il culto e la diocesi di Cittaducale dalle origini alla canonizzazione del santo. Convegno di Studi Storici nel IV Centenario della morte di S. Felice da Cantalice. Rieti-Cantalice-Cittaducale, 28-29-30 settembre 1987. Atti’, Rieti, Editrice Il Velino – Cantalice, Comune di Cantalice, 1990, 63-76; Mariano d’Alatri, San Felice da Cantalice: il segreto di una vita, in San Felice da Cantalice. I suoi tempi, il culto e la diocesi di Cittaducale dalle origini alla canonizzazione del santo cit., 225-236. ↩︎
  17. FC III/2, 4652. ↩︎
  18. Ibid., 4668. ↩︎
  19. Ibid., 4663. ↩︎

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Autore: Libertà e Persona

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