Le parole, che Papa Leone XXIV ha fin qui pronunciato, hanno stupito moltissime persone per la verticalità trascendente, cui sembrava stessimo disabituandoci, dopo una sequenza secolare ed ininterrotta di pontefici, dal secolo scorso fino a Papa Benedetto XVI, negli ultimi dodici anni. Sembrava che il Santo Padre Papa Francesco fosse volto alle cose della terra, mentre
Egli, in realtà, trepidava di amore per quei fratelli meno fortunati nei quali vedeva il Cristo Sofferente. Solo una distanza apparente, segnata da accenti diversi, ma non nella sostanza, se avessimo avuto l’attenzione di guardare alle parole tutte di Papa Francesco e non solo a quelle di comodo per questa o quella corrente interna alla Chiesa. Chi seguì, per esempio, le omilie a Santa Marta, o le catechesi, avrà ascoltato come i temi, che in questi giorni sembrano essere attribuiti solo a Papa Leone, si sarebbe accorto che Papa Francesco li aveva ben presenti e ne faceva chiaro annuncio, certo molto attento a quelle opere che dichiarano la fede: uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede (cf Gc 2, 18). Chi non colse questa verità, fermandosi alle possibili imperfezioni della natura umana, non colse Cristo nell’unità del Corpo che è la Chiesa. Dunque, ora, nella continuazione del percorso iniziato duemila anni fa, Pietro ci conferma nella Fede con inequivocabili parole e gesti. Ha colpito come in Papa Leone XIV, già agostiniano e missionario e vescovo ben conosciuto da Papa Francesco e da lui scelto, trascendenza ed immanenza siano intimamente connesse in un connubio indissolubile. Così che guardando al Cielo, non potremo ignorare il povero, e mirando il povero non potremo ignorare le realtà ultime per le quali il povero ed ogni credente sono chiamati. Tralasciando numerosi aspetti importanti dell’ultima omelia di Papa Leone, vogliamo soffermarci su una sola espressione che stranamente da nessuno è stata sottolineata, né spiegata. Nella seconda parte dell’omilia, il Santo Padre ha parlato di Chiese sorelle. Cosa si intende per Chiese sorelle e cosa intendeva il Santo Padre, molto attento ai termini? Chiese sorelle è un’espressione che ricorre nel magistero e che fu inaugurata da San Paolo VI. Più volte fu ripresa con chiaro significato da San Giovanni Paolo II. Le Chiese sorelle sono le Chiese di rito orientale con la Chiesa Cattolica testimoni della nascita della Chiesa e della missione dell’annuncio. Mentre tutte le altre chiese sono dette separate. Quindi, il Santo Padre non si riferiva alla Chiesa Anglicana o alle chiese protestanti. Il Santo Padre, certamente, conoscendo bene la materia non ha specificato “in considerazione della sua finalità circoscritta alla precisazione di una terminologia teologicamente corretta in proposito” (cf Nota sull’espressione «Chiese sorelle», 30 giugno 2000. Molto importanti le precisazioni del Documento testé citato cui rimandiamo per una lettura attenta ed integrale.
CELEBRAZIONE EUCARISTICA
PER L’INIZIO DEL MINISTERO PETRINO DEL VESCOVO DI ROMA LEONE XIV
CAPPELLA PAPALE
OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV
Piazza San Pietro
Domenica, 18 maggio 2025
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Cari fratelli Cardinali,
fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
distinte Autorità e Membri del Corpo Diplomatico!
Un saluto ai pellegrini venuti in occasione del Giubileo delle Confraternite!
Fratelli e sorelle, saluto tutti voi, con il cuore colmo di gratitudine, all’inizio del ministero che mi è stato affidato. Scriveva Sant’Agostino: «Ci hai fatti per te, [Signore,] e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te» (Le Confessioni, 1, 1.1).
In questi ultimi giorni, abbiamo vissuto un tempo particolarmente intenso. La morte di Papa Francesco ha riempito di tristezza il nostro cuore e, in quelle ore difficili, ci siamo sentiti come quelle folle di cui il Vangelo dice che erano «come pecore senza pastore» (Mt 9,36). Proprio nel giorno di Pasqua abbiamo ricevuto la sua ultima benedizione e, nella luce della Risurrezione, abbiamo affrontato questo momento nella certezza che il Signore non abbandona mai il suo popolo, lo raduna quando è disperso e «lo custodisce come un pastore il suo gregge» (Ger 31,10).
In questo spirito di fede, il Collegio dei Cardinali si è riunito per il Conclave; arrivando da storie e strade diverse, abbiamo posto nelle mani di Dio il desiderio di eleggere il nuovo successore di Pietro, il Vescovo di Roma, un pastore capace di custodire il ricco patrimonio della fede cristiana e, al contempo, di gettare lo sguardo lontano, per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi. Accompagnati dalla vostra preghiera, abbiamo avvertito l’opera dello Spirito Santo, che ha saputo accordare i diversi strumenti musicali, facendo vibrare le corde del nostro cuore in un’unica melodia.
Sono stato scelto senza alcun merito e, con timore e tremore, vengo a voi come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia, camminando con voi sulla via dell’amore di Dio, che ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia.
Amore e unità: queste sono le due dimensioni della missione affidata a Pietro da Gesù.
Ce lo narra il brano del Vangelo, che ci conduce sul lago di Tiberiade, lo stesso dove Gesù aveva iniziato la missione ricevuta dal Padre: “pescare” l’umanità per salvarla dalle acque del male e della morte. Passando sulla riva di quel lago, aveva chiamato Pietro e gli altri primi discepoli a essere come Lui “pescatori di uomini”; e ora, dopo la risurrezione, tocca proprio a loro portare avanti questa missione, gettare sempre e nuovamente la rete per immergere nelle acque del mondo la speranza del Vangelo, navigare nel mare della vita perché tutti possano ritrovarsi nell’abbraccio di Dio.
Come può Pietro portare avanti questo compito? Il Vangelo ci dice che è possibile solo perché ha sperimentato nella propria vita l’amore infinito e incondizionato di Dio, anche nell’ora del fallimento e del rinnegamento. Per questo, quando è Gesù a rivolgersi a Pietro, il Vangelo usa il verbo greco agapao, che si riferisce all’amore che Dio ha per noi, al suo offrirsi senza riserve e senza calcoli, diverso da quello usato per la risposta di Pietro, che invece descrive l’amore di amicizia, che ci scambiamo tra di noi.
Quando Gesù chiede a Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» (Gv 21,16), si riferisce dunque all’amore del Padre. È come se Gesù gli dicesse: solo se hai conosciuto e sperimentato questo amore di Dio, che non viene mai meno, potrai pascere i miei agnelli; solo nell’amore di Dio Padre potrai amare i tuoi fratelli con un “di più”, cioè offrendo la vita per i tuoi fratelli.
A Pietro, dunque, è affidato il compito di “amare di più” e di donare la sua vita per il gregge. Il ministero di Pietro è contrassegnato proprio da questo amore oblativo, perché la Chiesa di Roma presiede nella carità e la sua vera autorità è la carità di Cristo. Non si tratta mai di catturare gli altri con la sopraffazione, con la propaganda religiosa o con i mezzi del potere, ma si tratta sempre e solo di amare come ha fatto Gesù.
Lui – afferma lo stesso Apostolo Pietro – «è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo» (At 4,11). E se la pietra è Cristo, Pietro deve pascere il gregge senza cedere mai alla tentazione di essere un condottiero solitario o un capo posto al di sopra degli altri, facendosi padrone delle persone a lui affidate (cfr 1Pt 5,3); al contrario, a lui è richiesto di servire la fede dei fratelli, camminando insieme a loro: tutti, infatti, siamo costituiti «pietre vive» (1Pt 2,5), chiamati col nostro Battesimo a costruire l’edificio di Dio nella comunione fraterna, nell’armonia dello Spirito, nella convivenza delle diversità. Come afferma Sant’Agostino: «La Chiesa consta di tutti coloro che sono in concordia con i fratelli e che amano il prossimo» (Discorso 359, 9).
Questo, fratelli e sorelle, vorrei che fosse il nostro primo grande desiderio: una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato.
In questo nostro tempo, vediamo ancora troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri. E noi vogliamo essere, dentro questa pasta, un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità. Noi vogliamo dire al mondo, con umiltà e con gioia: guardate a Cristo! Avvicinatevi a Lui! Accogliete la sua Parola che illumina e consola! Ascoltate la sua proposta di amore per diventare la sua unica famiglia: nell’unico Cristo noi siamo uno. E questa è la strada da fare insieme, tra di noi ma anche con le Chiese cristiane sorelle, con coloro che percorrono altri cammini religiosi, con chi coltiva l’inquietudine della ricerca di Dio, con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, per costruire un mondo nuovo in cui regni la pace.
Questo è lo spirito missionario che deve animarci, senza chiuderci nel nostro piccolo gruppo né sentirci superiori al mondo; siamo chiamati a offrire a tutti l’amore di Dio, perché si realizzi quell’unità che non annulla le differenze, ma valorizza la storia personale di ciascuno e la cultura sociale e religiosa di ogni popolo.
Fratelli, sorelle, questa è l’ora dell’amore! La carità di Dio che ci rende fratelli tra di noi è il cuore del Vangelo e, con il mio predecessore Leone XIII, oggi possiamo chiederci: se questo criterio «prevalesse nel mondo, non cesserebbe subito ogni dissidio e non tornerebbe forse la pace?» (Lett. enc. Rerum novarum, 21).
Con la luce e la forza dello Spirito Santo, costruiamo una Chiesa fondata sull’amore di Dio e segno di unità, una Chiesa missionaria, che apre le braccia al mondo, che annuncia la Parola, che si lascia inquietare dalla storia, e che diventa lievito di concordia per l’umanità.
Insieme, come unico popolo, come fratelli tutti, camminiamo incontro a Dio e amiamoci a vicenda tra di noi.