(rielaborazione di commenti tratti dal libro di Messori ‘Dicono che è risorto’)

Riprendiamo il discorso interrotto nel precedente articolo (QUI). Dopo le premesse, avevamo iniziato l’esame del testo di Giovanni capitolo 20, versetti 1-8, con questo paragrafo, che riproponiamo. A seguire, lo sviluppo della ricerca.
Fotogrammi ingranditi e sequenze al replay

Cominciamo ad approfondire il mistero analizzando alcuni punti. E qui prendiamo in prestito le vivide spiegazioni tratte dal citato volume ‘Dicono che è risorto – Un’indagine sul Sepolcro vuoto’ di Vittorio Messori, I edizione settembre 2000 (citeremo il testo in corsivo qua e là, soprattutto ai capitoli XII e XIII).
Mettiamoci nei panni di Pietro e (soprattutto) di Giovanni: cosa può aver dato loro la certezza inequivocabile della resurrezione? È la stessa domanda che sin da giovane si è posto il parroco di Tivoli che citavamo prima. Sin da seminarista, Persili fu ossessionato da quella frase ‘eìden kaì epìsteusen’, cioè vide e credette. Un’espressione sintetica e lapidaria che segna un momento solenne: è in quell’istante che nasce il cristianesimo stesso. Dunque, ancora: che cosa vide Giovanni di così sbalorditivo per credere? Gli apostoli erano forse gente credulona? Tutt’altro, tanto che Pietro – colui che aveva rinnegato Gesù tre volte in una notte dopo essergli vissuto fianco a fianco per tre anni – rimase perplesso, senza riuscire a capire subito a quell’evidenza così strana. Nessuno degli apostoli si aspettava o credeva in un evento del genere, sebbene fosse stato preannunciato chiaramente da Cristo. Insomma, quella faccenda era un po’ grossa da digerire. Anche questo rifiutare l’evidenza o esitare (di Pietro, come di Tommaso o di altri) da’ sapore di autenticità alla vicenda. Se il Vangelo fosse stato scritto ‘a tavolino’ creando miti leggendari senza fondamento nella realtà, come dicono alcuni non credenti, tutto sarebbe stato più ‘lineare’: scenari sconvolgenti in stile hollywoodiano, nessuna esitazione nell’applaudire al trionfo di Cristo (men che meno in Pietro, capo degli apostoli) nessun disaccordo tra gli apostoli. I Vangeli apocrifi sono lì a dimostrare come si creano i miti ‘a tavolino.
La domanda (perché credette?) è di straordinario interesse, eppure ci si accontenta di spiegazioni che in realtà non spiegano nulla. Ad esempio, da una nota apposta alla traduzione ecumenica della Bibbia: “Il discepolo vede nella tomba vuota e nelle bende piegate con cura il segno che lo conduce a riconoscere, nella fede, la risurrezione di Gesù”. Siamo ben lontani da una spiegazione soddisfacente: la tomba vuota è tutt’altro che un segno inequivocabile. La sola scomparsa del cadavere autorizzava tutte le supposizioni, a cominciare dal furto, come pensa piangendo, per stare allo stesso Giovanni, Maria di Magdala (20,11ss.). Anche la presenza di ‘bende per terra’ e del sudario ‘piegato a parte’ non sono prove definitive. È vero che a Maddalena era apparso l’angelo a spiegare (o meglio, ad alludere) che Cristo era risorto; tuttavia, la testimonianza di una donna non era un fatto decisivo, ma da prendere con le molle. Casomai i discepoli ebbero tutti quanti la certezza della resurrezione qualche tempo dopo, quando Gesù apparve loro più volte nel suo corpo glorioso, facendosi addirittura toccare con mano. Eppure, già nella mattina di Pasqua abbiamo spiegata la certezza di quell’avvenimento. Cerchiamo allora di analizzare tutti gli aspetti della situazione. Occorre uno sforzo interpretativo, un approfondimento.
Per interpretare certi fatti occorre indagare l’ambiente e la mentalità in cui accadono
Per capire meglio dovremmo quindi partire dallo studio degli usi ebraici. La preparazione del corpo di Gesù fu molto accurata e non affrettata. Non mancava certo il tempo poiché il giorno del riposo del sabato iniziava con lo spuntare della terza stella della sera. Giuseppe di Arimatea e Nicodemo fecero comprare dai loro servi un grosso rotolo di tela (non esistevano certo lenzuoli funerari già fatti) per ricoprire il corpo di Gesù, rimasto quasi nudo poiché le sue vesti erano finite ai romani. Dal rotolo fu subito ricavato un lenzuolo, la sindone, in cui il corpo fu avvolto. E ciò per due motivi: non toccare il cadavere impuro con le mani e non disperdere il sangue. Il sangue rappresenta l’uomo e secondo gli ebrei andava salvato, tanto che per chi moriva di morte violenta si imponeva di seppellire anche le zolle di terra in cui ne fosse caduta qualche goccia (citiamo, di passaggio, la scena da ‘Passion of the Christ’ nella quale, dopo la flagellazione, si vedono Maria e la Maddalena che raccolgono accuratamente con degli stracci il sangue sparso per terra).
Successivamente si passò alla ravvolgitura del corpo con fasce larghe (un po’ come le mummie dell’antico Egitto), versando nel frattempo all’interno e all’esterno la mistura di aloe e mirra di cento libbre di Nicodemo. Erano ben trentatré chili, di cui una parte fu versata sulla pietra sepolcrale e un’altra usata per ungere le pareti interne della tomba. Il rimanente della mistura fu versato sulla sindone. Le fasce messe attorno al corpo di Gesù avevano anche la funzione di impedire una troppo rapida evaporazione del liquido aromatico che si sarebbe avuta con la sindone a diretto contatto con l’aria. Venne poi applicato sul capo, già ricoperto dalla sindone, un sudario cioè un fazzolettone.
La spiegazione si dipana tra bende, fasce e lenzuoli
Detto questo, possiamo affrontare con maggior precisione l’analisi del testo greco. Possiamo ad esempio comprendere che ciò che vide Giovanni non erano bende o legacci, ma fasce larghe. E soprattutto queste fasce non erano, come traduce erroneamente il testo della C.E.I., ‘per terra’ bensì ‘distese’. Persili, da buon conoscitore del greco e del latino, ci dimostra in alcuni passaggi le ragioni di questa traduzione. ‘Keìmena tà othònia’ significa fasce appiattite; tali parole ci lasciano capire che le fasce apparvero agli occhi di Pietro e Giovanni intatte e ripiegate su se stesse. Costituiscono la prima prova della resurrezione: era infatti umanamente impossibile che il corpo di Gesù fosse uscito dalle fasce o asportato senza manometterle o svolgerle.
Ma nel sepolcro c’era una traccia ancora più straordinaria: la posizione del sudario. Essa era così sorprendente da far comprendere pienamente l’evento della resurrezione e da giustificare quel ‘vide e credette’.
Per inciso, occorre sottolineare un’altra superficialità delle traduzioni offerte ai fedeli. Per tre volte in questi versi (vv 5, 6 e 7) appare il verbo vide. In realtà l’originale greco rende molto meglio le sfumature di significato, anzi la progressione della scoperta. Il primo vide (blepei) è in realtà un vocabolo che significa constatare, in un’accezione neutra; il secondo (theorei) andrebbe tradotto come contemplare, cioè con una coloritura che esprime lo stupore e la meraviglia; l’ultimo vide (eìden) è invece da intendersi come vedere pienamente ovvero con gli occhi della mente, comprendere una verità.
Torniamo al sudario. La traduzione proposta dal Persili è: ‘…e il sudario, che era sul capo di lui, non con le fasce disteso, ma al contrario avvolto in una posizione unica’. È fondamentale capire il senso di quella ‘posizione unica’. Perché era unica? Risposta: perché era singolare, eccezionale, irripetibile. Infatti, normalmente avrebbe dovuto trovarsi disteso sulla pietra sepolcrale; invece era rialzato e avvolto. La sua conformazione e posizione è una sfida alla forza di gravità. Insomma, il sudario appariva come un involucro con la forma del capo di Gesù. Si tenga presente che il corpo del Risorto era al contempo materiale (tant’è che Gesù si faceva toccare, mangiava e beveva) ma anche immateriale (Gesù entra nella sala dove sono i discepoli a porte chiuse, passando attraverso la materia). Dunque, Gesù non solo non usci materialmente dal sepolcro (il ribaltamento della pietra era solo un segno esteriore) ma non uscì neanche dalle fasce. Il suo non fu uno spostamento da un luogo ad un altro ma il passaggio misterioso da una dimensione del tempo a quella dell’eterno. Questo fatto avvenne con una sorta di lampo di luce e di calore. Scomparso il corpo, le fasce che lo tenevano avvolto, più pesanti, si abbassarono sulla sindone e assunsero la posizione distesa ed appiattita. Il sudario del capo, più leggero e più piccolo, rimasto come inamidato per l’istantaneo essiccarsi dei profumi liquidi che lo impregnavano, restò al contrario (rispetto alle fasce) avvolto.
Tutto ciò giustificò l’immediata comprensione della realtà da parte di Giovanni ed il suo arrendersi all’evidenza. Rimane però un altro tipo di reazione, quella di Pietro il quale, pur intuendo, non accettò subito pienamente quella realtà. Pietro era psicologicamente diverso, aveva bisogno di più tempo per assimilare quel fatto così grande. Forse era meno aperto di Giovanni e più titubante (i dubbi e le esitazioni di Pietro sono molteplici e lo rendono vicino a ciascuno di noi). Tuttavia, anche qui ritorna il sapore di autenticità del resoconto, al quale accennavamo prima. Se i redattori del vangelo avessero composto il testo fantasiosamente o avessero creato di sana pianta una mitologia fasulla, non si sarebbero soffermati in particolari che potevano porre in cattiva luce il primo capo della comunità cristiana o che mettevano in dubbio l’accettazione della realtà della resurrezione. Che cosa c’è di più scandaloso o imbarazzante del primo capo della comunità cristiana (e con lui molti altri discepoli, che dimostrano di non aver capito nulla) che incappa a ripetizione in svarioni e autogol clamorosi?
Interessante su questo aspetto, l’annotazione di Massimo Rossi, o.p. che abbiamo citato prima, il quale rileva: ‘La sosta fuori dall’ingresso (del sepolcro) è la distanza che resta tra il vedere e il credere; e paradossalmente, colui che si arresta, Giovanni è proprio colui che aveva corso più in fretta. Vedere non significa automaticamente credere, come toccare non significa immediatamente conoscere.’
Precisiamo infine, a conclusione di questo studio, la traduzione dei versetti 5-7 proposta da Persili: “(Giovanni) chinatosi, scorge le fasce distese ma non entra. Giunge intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entra nel sepolcro e contempla le fasce distese e il sudario, che era sul capo di lui, non disteso con le fasce, ma al contrario avvolto in una posizione unica”.
Conclusione: corriamo incontro a Gesù risorto con l’ansia gioiosa di Pietro e Giovanni ma anche con lo sguardo di Maria
L’invito per ciascun fedele, di fronte a questo mistero, è quello comportarci con la stessa ansia di Pietro e Giovanni, irresistibilmente attratti da Gesù.
Ma anche con l’umiltà di Maria, della quale il Vangelo di Luca ci restituisce l’atteggiamento introspettivo con queste parole: ‘Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore’ (Lc 2,19).
Serbare le parole, cioè trattenerle, non lasciarle scappare via. Maria custodisce le parole. Poco oltre questi versetti del Vangelo di Luca troviamo Gesù che dice: ‘Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano’. Qui ‘osservano’ traduce il greco fylassontes, da fylasso che vuol dire trattenere, far la guardia. Maria ha trattenuto la parola di Dio e l’ha fatta sua, così sua che in lei si è fatta carne. Questo trattenere e custodire, però, si prolunga in un movimento interiore di riflessione. Maria conserva le parole ‘meditandole’. In greco si dice ‘symballousa’ che letteralmente vuol dire mettere insieme, collegare, raccogliere, unire.
Come Maria meditiamo per credere, meditiamo per vedere… Vedere con il cuore e con la mente.
