(rielaborazione di commenti tratti dal libro di Messori ‘Dicono che è risorto’)
Il brano di Giovanni capitolo 20, versetti 1-8, è incentrato sulla scoperta della resurrezione di Cristo. È il compimento di un mistero di salvezza, un evento necessario per attribuire pienezza di senso alla precedente passione e morte in croce.
La descrizione si completa in poche frasi ma di una importanza fondamentale. Si può dire che è in questi vividi e palpitanti tratti di cronaca che si gioca la nostra fede; è qui che c’è l’architrave che la regge, o dovrebbe reggerla. Perché se non capiamo o rifiutiamo il fatto della resurrezione, Gesù rimane un grande uomo e niente di più.
Dunque, la resurrezione è un accadimento decisivo. E non è importante solo il fatto raccontato in sé stesso, ma pure il modo in cui avvenne. Anche il dettaglio rivela, illumina, sostiene.
L’analisi di questa pagina deve essere perciò particolarmente accurata. È piena di stupore ma c’è il rischio di non coglierlo se non ci accostiamo con il cuore aperto. Possiamo tuttavia anche trovare illuminazioni con un approccio di conoscenza diverso, che coinvolge la mente. La razionalità, forse, può diventare la chiave per aprire il cuore in un percorso che ci pone al fianco di Pietro e Giovanni che corrono ansiosi verso il sepolcro. Verso la spiegazione del senso della vita e del senso della missione che li attende.
Resurrezione: la scoperta dei discepoli da riprendere anche oggi con occhi sempre nuovi
Se vorrete seguirci nell’analisi del brano di Giovanni, proporremo in estrema sintesi le spiegazioni, le valutazioni e le conclusioni alle quali sono pervenuti studiosi qualificati, con esiti sorprendenti. In particolare, riprenderemo l’esposizione e i commenti contenuti nel libro ‘Dicono che è risorto’ di Vittorio Messori; il quale a sua volta ha ripreso uno studio di don Persili, un parroco di Tivoli appassionato di greco ed esperto degli usi ebrei del tempo di Gesù.
Nel contesto dell’approfondimento scientifico che vogliamo intraprendere appare particolarmente evidente la necessità di appoggiarci a studiosi capaci di interpretare le scritture valutando le sfumature lessicali di varie lingue usate quel tempo. Sia di quella parlata, l’aramaico, sia di quella usata nella stesura originaria del testo, il greco; ma anche del latino, usato nella traduzione detta Vulgata.
Inoltre, altro presupposto importante per una seria e approfondita ricerca è la buona conoscenza degli usi ebraici del tempo. Questo rilievo vale per completare l’analisi semantica e lessicale calando il brano che stiamo esaminando nell’ambiente storico e culturale dell’epoca. Purtroppo, per vari motivi, non sempre il testo adottato della C.E.I. riesce ad interpretare quello originario nella pienezza del suo significato.
Ma veniamo al brano di Giovanni. Prima di passare alla lettura diretta, vediamo di inquadrarlo, di tentare una ‘messa a fuoco’. Restiamo pure nel linguaggio cinematografico perché sembra di trovarci davanti ad un film moderno.
E, a questo punto, prendiamo in prestito alcuni sprazzi di una colorita omelia pasquale (31 marzo 2002, chiesa dei Santi Bartolomeo e Stefano di Bergamo) tenuta da Massimo Rossi, frate domenicano:
‘Assistiamo a scene rapide e incalzanti, come dei flash: i due discepoli corrono al sepolcro; e pure Maddalena, visto che il racconto prosegue con la donna che piange all’ingresso della tomba. A proposito della tomba: Pietro e Giovanni vedono le bende e il sudario, e niente altro… Maddalena vede invece due angeli seduti vicino a dove era stato posto il corpo del Signore… Breve scambio di parole tra loro e poi, ecco l’incontro di lei con il Risorto. Ennesima corsa della donna dagli apostoli per dare l’annuncio di avere incontrato il Signore. Corse avanti e indietro, esitazioni a entrare, silenzi, smarrimento, dubbio e incertezza, riconoscimento… moti del corpo e dello spirito; pause di sospensione che la fede ben conosce. L’iniziale incapacità a riconoscere il Risorto sta ad indicare che la relazione con Gesù, dopo la sua vittoria sulla morte, non è più come prima: ora bisogna incontrarlo nei segni che ci ha lasciato.’
Tutti i racconti della resurrezione segnalano in coloro che incontrano il Signore questo andirivieni di emozioni. Insomma, assistiamo ad una azione frenetica e misteriosa. Per intuirne il significato dobbiamo quindi passarla al rallentatore ed al replay, misurando ogni parola.
Fotogrammi ingranditi e sequenze al replay
Cominciamo ad approfondire il mistero analizzando alcuni punti. E qui prendiamo in prestito le vivide spiegazioni tratte dal citato volume ‘Dicono che è risorto – Un’indagine sul Sepolcro vuoto’ di Vittorio Messori, I edizione settembre 2000 (citeremo il testo in corsivo qua e là, soprattutto ai capitoli XII e XIII).
‘Mettiamoci nei panni di Pietro e (soprattutto) di Giovanni: cosa può aver dato loro la certezza inequivocabile della resurrezione? È la stessa domanda che sin da giovane si è posto il parroco di Tivoli che citavamo prima. Sin da seminarista, Persili fu ossessionato da quella frase ‘eìden kaì epìsteusen’, cioè vide e credette. Un’espressione sintetica e lapidaria che segna un momento solenne: è in quell’istante che nasce il cristianesimo stesso. Dunque, ancora: che cosa vide Giovanni di così sbalorditivo per credere? Gli apostoli erano forse gente credulona? Tutt’altro, tanto che Pietro – colui che aveva rinnegato Gesù tre volte in una notte dopo essergli vissuto fianco a fianco per tre anni – rimase perplesso, senza riuscire a capire subito a quell’evidenza così strana. Nessuno degli apostoli si aspettava o credeva in un evento del genere, sebbene fosse stato preannunciato chiaramente da Cristo. Insomma, quella faccenda era un po’ grossa da digerire. Anche questo rifiutare l’evidenza o esitare (di Pietro, come di Tommaso o di altri) da’ sapore di autenticità alla vicenda. Se il Vangelo fosse stato scritto ‘a tavolino’ creando miti leggendari senza fondamento nella realtà, come dicono alcuni non credenti, tutto sarebbe stato più ‘lineare’: scenari sconvolgenti in stile hollywoodiano, nessuna esitazione nell’applaudire al trionfo di Cristo (men che meno in Pietro, capo degli apostoli) nessun disaccordo tra gli apostoli. I Vangeli apocrifi sono lì a dimostrare come si creano i miti ‘a tavolino’.
La domanda (perché credette?) è di straordinario interesse, eppure ci si accontenta di spiegazioni che in realtà non spiegano nulla. Ad esempio, da una nota apposta alla traduzione ecumenica della Bibbia: “Il discepolo vede nella tomba vuota e nelle bende piegate con cura il segno che lo conduce a riconoscere, nella fede, la risurrezione di Gesù”. Siamo ben lontani da una spiegazione soddisfacente: la tomba vuota è tutt’altro che un segno inequivocabile. La sola scomparsa del cadavere autorizzava tutte le supposizioni, a cominciare dal furto, come pensa piangendo, per stare allo stesso Giovanni, Maria di Magdala (20,11ss.). Anche la presenza di ‘bende per terra’ e del sudario ‘piegato a parte’ non sono prove definitive. È vero che a Maddalena era apparso l’angelo a spiegare (o meglio, ad alludere) che Cristo era risorto; tuttavia, la testimonianza di una donna non era un fatto decisivo, ma da prendere con le molle. Casomai i discepoli ebbero tutti quanti la certezza della resurrezione qualche tempo dopo, quando Gesù apparve loro più volte nel suo corpo glorioso, facendosi addirittura toccare con mano. Eppure, già nella mattina di Pasqua abbiamo spiegata la certezza di quell’avvenimento. Cerchiamo allora di analizzare tutti gli aspetti della situazione. Occorre uno sforzo interpretativo, un approfondimento.
LO SVILUPPO E LA CONCLUSIONE DELLA RICERCA NELLA SEGUENTE PUNTATA…