Trump e Zelensky al bivio tra una guerra giusta e una pace ingiusta

… oppure tra una guerra ingiusta e una pace giusta.

A seguito della pubblicazione del mio ultimo articolo (QUI) su alcune scottanti e delicate questioni relative al conflitto russo-ucraino, mi è stato richiesto dalla redazione un ulteriore commento sui recenti sviluppi diplomatici e politici.

Ringrazio per la fiducia, anche se posso spendermi solo in veste di opinionista e non certo di esperto.

D’altro canto, posso assicurare la mia totale indipendenza e assenza di interessi, al contrario di molti commentatori e giornalisti, ben più accreditati di me, che lavorano però per testate che stanno in piedi solo grazie a munifiche sovvenzioni, non solo statali ma anche di ‘sponsor’ internazionali. 

Come del resto emerge dal recente scandalo dell’agenzia USAID, per citare solo uno degli innumerevoli canali di sostegno, che ha finanziato la propaganda globalista sostenendo i media e gli organi di informazione occidentali (vedi interessante articolo ‘Usaid e la guerra dell’informazione: l’Agenzia finanzia migliaia di media in tutto il mondo’ QUI). Parliamo di un budget che per il 2025 si attesta a 268 milioni di dollari e che nel 2023 è andato a sostegno di 6200 giornalisti, 707 testate giornalistiche non statali e 279 organizzazioni del settore dei media dedicate al rafforzamento dei media indipendenti (fonte: https://rsf.org/en/usa-trump-s-foreign-aid-freeze-throws-journalism-around-world-chaos ripresa da Byoblu QUI ). Per non parlare di altri vari progetti finanziati, di chiaro sapore ideologico woke, gender, manifestazioni LGBT, pro-vaccino, pro Big Pharma, in parte denunciati sul sito della Casa Bianca (vedi articolo ‘At USAID waste and abuse runs deep’ al seguente LINK) come esempi di sprechi e abusi.

Non è quindi irrilevante sapere da dove arrivano i fondi che sostengono l’informazione cosiddetta ‘generalista’. Eh sì perché, come recita un proverbio scozzese ‘chi paga i musicisti sceglie la musica’.

Quando ascolto i telegiornali in TV o gli approfondimenti di notizie a me sembra che la musica che ci fanno ascoltare da tutte le parti assomigli un po’ a quella rap: ossessiva, martellante, maligna. La melodia della verità viene invece bandita, quasi che fosse di disturbo. 

Donald Trump e Volodymyr Zelensky, nello Studio Ovale della Casa Bianca, Washington,
28 febbraio 2025. SAUL LOEBAFP

E veniamo al recente confronto Trump-Zelinsky che sta tenendo banco, giustamente, nelle notizie di cronaca.

A dir la verità mi sembra che un certo tipo di musica stia un po’ cambiando. Sta emergendo in qualche commentatore, non più facilmente ricattabile con lo stigma di ‘putiniano’, la denuncia della follia di voler continuare il conflitto a tutti i costi; e soprattutto la follia di voler mandare sui campi di guerra forze europee con il sostegno di un budget per spese militari faraonico (il programma ReArm Europe che la Commissione UE sta preparando ammonterebbe a 800 miliardi di euro), costituito da risorse inevitabilmente distolte a sanità, famiglie e imprese. Una follia che i cittadini europei ben comprendono ma i politici non ancora. Costoro continuano ad ascoltare il rap. Altri sono come intontiti dagli effetti di rave party e ondeggiano, persistendo nel seguire ritmi secchi che stanno affievolendosi di volume. 

Purtroppo, noi occidentali siamo vittime di un complesso di superiorità, di un auto-inganno che ci porta a salire sopra un piedistallo dal quale elargire la nostra superiorità morale e democratica. Poi però la realtà ci mostra il conto e ci scopriamo lillipuziani che pretendono di far strisciare ai loro piedi i giganti. E ci rimaniamo un po’ male.

Forse questo è uno degli effetti dell’ideologia woke o gender. I politici europei, soprattutto, vivono una disforia (che vuol dire sofferenza) per la propria condizione: si sentono Grandi Potenze ma non lo sono. Si percepiscono in un periodo sbagliato. Però vogliono che tutto il mondo li riconosca come tali.

Il che può causare molti problemi. Il peggiore è quello di affrontare gli interlocutori con arroganza, anziché con l’umiltà dei propri limiti. Io credo che l’arroganza che dimostriamo in certe situazioni (e qui accomuno Trump, Zelensky, la NATO e i partner europei) sia una maschera della propria frustrazione. 

Faccio un esempio: Trump che umilia Zelensky o prende a sberle l’Unione Europea non manifesta la sua potenza ma piuttosto cerca di mascherare la sconfitta del piano strategico americano di colpire la Russia. Perché, sia ben chiaro: obiettivo primario della guerra in Ucraina (portata avanti vilmente per procura) è la sconfitta dell’avversario russo; quello secondario la colonizzazione e asservimento del popolo ucraino, non certo la disinteressata sua difesa o la tutela della democrazia.    

Trump quindi porta avanti una exit strategy che non gli faccia perdere la faccia, scaricando tutte le scorie tossiche sui partner deboli e sullo scodinzolante alleato ucraino, cornuto e mazziato.  

Altro problema collegato all’arroganza è la retorica. Anche questa è una maschera che complica non poco le relazioni internazionali. Sulla propaganda bellica ho già detto molto nel mio precedente articolo citato. Ma ci sono altri aspetti di propaganda che sono macigni nel percorso di pace, per chi dovrà sedersi ad un tavolo di trattative con la Russia. Vorrei soffermarmi almeno su due di queste argomentazioni retoriche, ormai consunte e ridicole.

La prima: Occidente, alfiere e paladino della democrazia, che interviene dove è minacciata. 

Una patente di legittimità con la quale ci sentiamo in diritto di invadere Paesi ‘poco democratici’ per mandarli poi sempre inevitabilmente in rovina. Cerchiamo di capirla: la missione di portare la democrazia è un inganno che ha smesso di funzionare, non ci crede più nessuno. Inoltre, la qualifica di difensore della democrazia, della corretta informazione, dei diritti e della libertà, visti i risultati, suona oggi ‘ai beneficiari’ come minaccia e si ritorce verso chi afferma di voler promuovere tutto questo. Il discorso di Vance alla UE (ecco qui un breve commento) ha avuto il merito di far aprire gli occhi sulla repressione della libertà che si respira nel nostro continente quando non si è allineati al pensiero unico di Bruxelles. 

La retorica interventista in Ucraina al motto ‘c’è un aggredito e c’è un aggressore’ ha definitivamente perso ogni credibilità se consideriamo l’atteggiamento riservato dai nostri politici europei al popolo palestinese, vittima di una feroce pulizia etnica eppure non degno di essere considerato aggredito. 

A proposito di aggrediti e aggressori: nonostante le censure propagandistiche, emerge sempre più la conoscenza della recente storia ucraina. E si capisce allora che quella guerra non è iniziata nel 2022 ma nel 2014 quando c’è stato un popolo aggredito (Donbass), umiliato da milizie neonaziste che hanno provocato 14.000 morti tra civili. E c’era un aggressore anche allora che non era straniero bensì, teoricamente, fratello. Per chi ancora non fosse a conoscenza dei fatti, ripropongo questa breve sintesi di quegli avvenimenti.

La seconda argomentazione retorica che vorrei commentare, quasi dogma indiscutibile, è questa: se non contrastiamo la Russia con nuove basi militari, infittendo truppe e armamenti in tutta Europa e soprattutto ai suoi confini, Putin invaderà l’Europa. Anzi è già pronto. Non c’è più tempo!

Mi chiedo: veramente c’è qualcuno che ci crede? Pensiamo a quante lacrime, sangue e sacrifici sono costati alla Russia in tre anni di guerra i territori del Donbass conquistati sul campo. Quante vite, quanti miliardi, quante sofferenze e quanto tempo! E stiamo parlando di popoli russofoni e quindi amici, che in gran parte hanno accolto i russi come liberatori, dopo aver sperimentato da parte del regime ucraino massacri di popolazione e prove di repressione culturale (sanzioni per l’uso della lingua russa e contrasto a manifestazioni della cultura russa). Pare possibile che Putin voglia avventurarsi in guerre per la conquista sul campo, palmo a palmo come in Ucraina, di territori in Polonia, Germania, Italia, Grecia, etc.? Ma chi glielo fa fare e con quali vantaggi sperati?

Ci vorrebbero far credere alla minaccia dell’imperialismo russo per le sue mire di espansione in Europa eppure, dopo la caduta del muto di Berlino, abbiamo assistito alla continua espansione ad est della NATO, in violazione ad ogni accordo. Cosa succederebbe se, specularmente, gli Stati del Centro America e il Messico dovessero entrare nell’orbita russa e ospitare missili puntati contro gli USA?

Per lo scontro russo-ucraino, se vogliamo scartare l’esito più catastrofico di una guerra mondiale (non escluso un esito nucleare, come ultima chance di una Russia messa al tappeto) rimane in piedi solo l’ipotesi di una pace. Il problema è come, quando e in che modo arrivarci.

Il buon senso dice: prima è meglio è, magari affermando ciò che il titolo del presente articolo insinua: meglio una pace ingiusta che una guerra giusta.

Eppure, ci sono interferenze su queste campane di pace. Qualcuno si ostina a preferire il rap martellante e cupo della guerra.

La recente novità è che Trump ha pragmaticamente cambiato la narrazione e, come promesso, vuole procedere verso la pace. Una pax americana, beninteso, quindi non certo giusta. Ma pur sempre meglio di una guerra senza speranze di vittoria, che non può giovare agli interessi ucraini e occidentali. 

A questo punto anche la UE e la NATO avrebbero bisogno di una exit strategy. Ma la strada non è percorribile senza perdere la faccia. Il problema è che, mentre Trump può scaricare gli insuccessi americani su Biden, Zelensky e alleati europei, la UE ha il cerino in mano e non può puntare il dito contro altri. O meglio lo potrebbe fare solo se Ursula von der Leyen e la sua maggioranza lasciassero il posto ad una compagine che governi in totale discontinuità (cosa impossibile fino a nuove elezioni); o fossero convinte ‘spintaneamente’ dall’incalzare degli eventi a desistere dai loro propositi bellicisti. Un po’ come sta succedendo per il Green Deal, che potrebbe essere affossato, in vari obiettivi, dalla sua insostenibilità. 

C’è una notizia, da noi oscurata, che merita di essere valutata. La prendo da un post del 1° marzo di Tucker Carlson, influentissimo giornalista americano (l’unico occidentale che ha potuto recentemente intervistare Putin), che annuncia un possibile gravissimo scandalo di corruzione, collegata agli aiuti in Ucraina. Lo riporto nella traduzione in italiano nell’articolo ‘Ucraina: guerra e corruzione. Carlson annuncia terremoto politico-giudiziario internazionale’,  QUI di seguito:

Una delle cose più sorprendenti della conferenza stampa di ieri di Zelensky è stata la reazione di Lindsey Graham. I due sono vecchi amici, ma Graham lo ha rinnegato nel giro di un’ora. Non si è trattato solo di una slealtà opportunistica: è stato un vero e proprio scaricabarile. Lindsey Graham sa cosa sta per arrivare. Negli ultimi tre anni, con il tacito sostegno dei suoi patron occidentali, il governo ucraino ha commesso un numero impressionante di crimini gravi. Gli ucraini hanno venduto enormi quantità di armi americane sul mercato nero internazionale a un quinto del loro valore. Queste armi sono ora nelle mani di gruppi armati in tutto il mondo, tra cui Hamas, i cartelli della droga messicani e le forze che controllano la SiriaDio solo sa cosa abbiano fatto gli ucraini con i patogeni presenti nei biolaboratori americani sul loro territorio: nemmeno le agenzie di intelligence statunitensi ne sono certe. Gli ucraini hanno anche assassinato diverse persone in vari Paesi attraverso omicidi politici e hanno tentato di ucciderne altre, inclusi giornalisti americani e un capo di Stato europeo. Tutto questo è vero e, prima o poi, verrà alla luce. Meglio iniziare a dare la colpa a Zelensky adesso.

Ecco, se davvero i dossier di questa corruzione fossero nelle mani di Trump, essi potrebbero essere un’arma di pressione per fare come dice lui e procedere presto alla pace, senza altri bagni di sangue e salassi finanziari. L’accertamento che una consistente parte dei fiumi di armi e denaro destinati alla guerra in Ucraina sono stati dirottati per alimentare terrorismo, arricchire intermediari e per altre porcherie aprirebbe terribili scenari. Una resa dei conti che farebbe saltare le teste di molti guerrafondai. 

Forse, paradossalmente, la diffusione di queste infamità potrebbe suscitare voglia di pulizia e voglia di pace.

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Autore: Roberto Allieri

Nato a Pavia nel 1962, sposato e padre di quattro figli, risiede in provincia di Bergamo. Una formazione di stampo razionalista: liceo scientifico, laurea in giurisprudenza all’Università di Pavia e impiego per oltre trent’anni in primario istituto bancario. L’assidua frequentazione di templi del pensiero pragmatico e utilitarista ha favorito l’esigenza di porre la ragione al servizio della ragionevolezza e della verità. Da qui sono seguite esperienze nel volontariato pro-life, promozione di opere di culto, studi di materie in ambito bioetico, con numerose testimonianze e incontri per divulgare una cultura aperta alla vita, ancorata alla fede e alla famiglia. Collabora al Blog Oltre il giardino QUI Vedi tutti gli articoli di Roberto Allieri