La diocesi di Milano apre agli Lgbtq+?

Fonte Diocesi di Milano

Con toni diversi rispetto a quelli degli estremisti «catto gay», la diocesi di Milano – la più vasta diocesi d’Italia e una delle più malmesse dal punto di vista religioso – apre ai linguaggi ambigui dei fautori del gender.

E lo fa organizzando tre «incontri di pastorale» per sostenere i

«genitori con figli Lgbtq+».

Il titolo degli incontri suona eccentrico ad orecchie cattoliche, formate alla dottrina del Vangelo e del Catechismo di Giovanni Paolo II, ma è volutamente suadente per altri: «Viaggiare insieme, con prospettive diverse». Servizio per la Famiglia

Le riunioni avranno per protagonisti i genitori stessi, con il supporto scientifico della professoressa Chiara D’Urbano «psicologa e psicoterapeuta», oltre che «consultore del Dicastero per il clero della Santa Sede».

La prima avrà come titolo «Mio figlio fa coming out. Esperienze su reazione iniziale e difficoltà nel comunicare». La seconda «Alla ricerca di una mappa di navigazione. Esperienze su percorsi di condivisione e desiderio di futuro». L’ultimo incontro si chiamerà «Parliamone» e offrirà la sintesi finale del percorso, attraverso il «dialogo in gruppi».

«L’ufficio Diocesano per la Pastorale Familiare», scrive il sito della diocesi ambrosiana, «sollecitato dall’invito di papa Francesco in Amoris Laetitia» a rielaborare la «pastorale familiare» per renderla più «missionaria, in uscita, di prossimità» ha costituito in tal senso un «gruppo di lavoro». Composto da «quattro sacerdoti e sei coppie di sposi» per pensare e proporre contenuti pastorali «rivolti ai genitori cristiani con figli Lgbtq+».

I contenuti pastorali che verranno proposti negli incontri «sono stati progettati dopo una fase di ascolto» delle esperienze di tanti genitori «con figli Lgbtq+» a partire dalle «loro paure, solitudini, pregiudizi e sofferenze».

Certo, in tal caso, non si vogliono negare le buone intenzioni dell’ufficio diocesano e anzitutto di sua eccellenza mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano. Ma è proprio corretto, in ambienti ecclesiali e nel contesto della «dittatura del relativismo» che conosciamo, fare uso delle stesse sigle e dello stesso linguaggio (come Lgbtq o coming out) che adoperano come una bandiera ideologica, se non come una clava, i gruppi più settari, fanatici e blasfemi che si riuniscono al Pride?

Papa Francesco, chiamato in causa e spesso tirato per la talare a proposito della cosiddetta «Chiesa in uscita» è un parafulmini prezioso, alla bisogna. Eppure proprio nella citata Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia (2016) dava spazio al suo insegnamento, ampio e articolato, sul gender e sull’antropologia cristiana che si fonda sulla «diversità biologica tra maschio e femmina» (n. 56).

Il Papa scriveva che l’ideologia del gender «nega la differenza e la reciprocità naturale tra uomo e donna». E per lui questa visione «prospetta una società senza differenze di sesso» e «svuota la base antropologica della famiglia». Più gender, insomma, meno famiglie!

Ed è esattamente ciò che insinuano la sigla Lgbtq+ e i discorsi delle lobby di cui essa è espressione: non conta il sesso biologico di nascita, conta l’orientamento, che sia «lesbo», «gay», «bisessuale», «transessuale» o perfino «queer». Tutto può andare bene, purché ci sia «l’amore»: non si ha ancora il coraggio di parlare di poligamia, certo, ma ormai si promuove l’analogo «poliamore».

Il + della sigla è ideologicamente decisivo. Perché fa capire bene che ciò che si propone è una visione fluida, autoreferenziale e «non binaria» dei generi, aperta all’infinità degli orientamenti possibili, infinità che nessuna sigla, pur estendibile a piacimento, è in grado di contenere. È questo l’amore che si vuole proporre ai giovani delle parrocchie?

Il magistero di Francesco è colmo di critiche, piuttosto chiare, sia all’ideologia del gender «sbaglio della mente umana», sia al cambio di sesso, che all’abortismo e alla parificazione della «famiglia tradizionale» con altri tipi di relazioni.

Ma in molte diocesi come quella di Milano, in nome della «carità pastorale», si fa finta di non sapere che l’impostazione oggi prevalente, come scrive il pontefice, «induce progetti educativi e orientamenti legislativi» sbagliati e censori, in cui «l’identità umana» viene consegnata «ad un’opzione individualistica», mentre «la vita umana e la genitorialità» divengono «realtà componibili e scomponibili».

Facciamo attenzione, altrimenti invece di essere una coraggiosa e missionaria «Chiesa in uscita», diverremo un’insignificante e voltagabbana «chiesa in ritirata».

Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo.

Autore: Fabrizio Cannone

Fieramente italiano, romano e cristiano, sposato con 3 figli, collabora con varie testate e siti web.