Davanti ai cambi di sesso, si nota subito una divaricazione di giudizio, sia sui giornali che tra la gente: riservato e scettico il fronte conservatore, entusiasti e sorridenti i progressisti. Ma se colui che ha cambiato sesso è un neonazista ed è stato arrestato per «incitamento all’odio e diffamazione» che si fa?
È la questione che in questi giorni sta creando notevole imbarazzo ai cantori delle «magnifiche sorti e progressive» a causa dell’inatteso «cambiamento di genere» di Sven Liebich, 53 anni, definito dal Fatto quotidiano come un «noto attivista neo-nazista tedesco».
Per «insulti e aggressioni verbali» durante «il Gay Pride del 2022», Sven Liebich è stato condannato ad agosto scorso «ad un anno e mezzo di reclusione». Ma già a novembre, solo 3 mesi dopo l’incarcerazione, è diventato ufficialmente Maria-Svenja Liebich e questo è stato possibile «grazie alla nuova legge tedesca sull’autodeterminazione del genere». La quale, di evidente ispirazione trans-progressista, consente «il cambio di genere legale» senza alcuna «necessità di perizie mediche», né di interventi chirurgici.
Quindi, secondo il quotidiano semi anticonformista diretto da Marco Travaglio, ora è il tribunale ad essere in serie difficoltà perché «si trova a dover decidere» in quale «carcere rinchiuderlo»: maschile, come da sesso biologico e nativo, o femminile, come da sesso dichiarato e ormai legale?
In realtà, fino ad oggi, lo schieramento nichilista e anti-biologia, a cui appartengono quasi tutti i quotidiani italiani, non ha mai avuto dubbi in proposito. Ed anzi a voler ignorare le dichiarazioni del libero cittadino, carcerato o meno, sulla propria «identità di genere» si era a rischio di denuncia e infamia sociale per «transfobia», «sessismo», «omofobia» o «patriarcato».
Ma se è un neonazi a volere e ottenere la mitizzata (e non criticabile) «transizione di genere», allora pure i quadrati hanno 3 lati. Anche perché Sven, pardon Maria-Svenja era già stat* condannat* «per le sue posizioni anti-Lgbtq+» e perfino «contro la politica gender»: e dunque un macho così brutale, si sussurra velatamente alla plebe, come fa sinceramente a «sentirsi donna»?
Secondo il mainstream quindi, in questo caso – in questo solo caso! – diventa legittimo e perfino doveroso e banale emettere «dubbi sulla finalità di questa scelta». Capito? Stavolta tornare al «biologismo» tradizionale e alla natura non nuoce, anzi Il Fatto osserva come nulla fosse che «Non esiste un automatismo per trasferire chi cambia genere» in un penitenziario «corrispondente al nuovo sesso». Ma davvero?
Lo avessimo scritto noi per uno dei tanti episodi di carcerati che improvvisamente cambiano sesso – sempre, guarda caso, arrestati maschi, riscopertisi donne dietro le sbarre – ci avrebbero coperti di insulti e ironie pesanti. Ma stavolta no. Perché visto il «passato di Liebich», è da sapienti chiedersi se «il cambio di genere» non sia per caso una «provocazione politica» o magari solo «un espediente per sfuggire» al carcere maschile.
Del resto, assicura La Stampa, riportando il pensiero di «un portavoce del tribunale»: «Non è detto che un uomo», dopo il cambio di genere, «venga automaticamente trasferito in una prigione femminile». «Verrà effettuata», nel caso del nazista tedesco, e da chi di dovere, «una valutazione individuale». Per una volta dunque lo scetticismo sull’identità di genere non è segno di «transfobia».
Perché se a chiedere di diventare donna è un «nazi tedesco», allora il dubbio sulla sua nuova identità rimane (anche perché nazi=maschilismo, maschilismo=donna non regge). Se invece il carcerato fosse un progressista cubano o un attivista arcobaleno, beh allora porre il dubbio significherebbe già essere «nella logica del patriarcato».
